Curiosità popolari di Ficarra negli scritti di Pitré

Curiosità popolari di Ficarra negli scritti di Pitré

Vittorio Tumeo

Curiosità popolari di Ficarra negli scritti di Pitré

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sabato 26 Febbraio 2022 - 08:00

Dall’aneddoto degli ‘furnacannili ad alcuni canti tradizionali

Il paese di Ficarra, come gli altri centri del comprensorio nebroideo, ha alle spalle una tradizione popolare e di costume davvero peculiare. Numerosi sono i cunti e i proverbi che la riguardano e che hanno sfidato i secoli sopravvivendo nell’immaginario collettivo dei ficarresi ancora oggi. Questo patrimonio di sapere orale ha destato l’interesse già nel XIX secolo dei padri degli studi antropologici siciliani.

Lionardo Vigo Calanna (1799-1879)

Lionardo Vigo, per esempio, in Raccolta amplissima di canti popolari siciliani (Catania 1870) riporta due serenate raccolte a Ficarra: “Quant’ha ca non ti viju, cosa amata, /M’ha ‘bunnatu lu cori di suspiri, /Criju ch’ha’ statu in cammira malata, /Quali malincunia putisti aviri? /Non t’haju vistu a finestri affacciata /Siccomu ha’ statu tu l’autri matini: /Criju ca ha’ statu troppu maltrattata, /Dammi ‘na pocu di li to’ patiri”. Ed ancora: “Non durmiti gnurnò, non tantu sonnu, /Ca lu sonnu è d’amuri e vi fa dannu, /Ca c’è lu vostru amanti a lu cunlornu, /Ccu strumenti d’amuri va sunanni, /Sona di prima sira sin’a jornu, /E li vostri biddizzi va ludannu: /O amuri, va risbigghiacci lu sonnu, /Ca senti lu sô amanti ’npena e affannu”. Giuseppe Pitré invece, in Canti popolari siciliani, vol. 1 (Palermo 1870), e anni dopo Salvatore Salomone Marino, in Le reputatrici in Sicilia nell’età di Mezzo e moderna (Palermo 1886), riportano invece che “il Vigo, (…) dice di aver una fante di Ficarra, che vantasi di saper piangere”. Era questa una “reputatrice”, vero e proprio mestiere un tempo diffuso nell’Isola soprattutto nelle provincie di Catania e di Messina. Si trattava di donne che venivano ingaggiate per piangere e lamentarsi durante le veglie funebri: un aspetto della teatralità dei Siciliani che è rimasto impresso nella storia e nel folklore dell’Isola.

La processione dell’Annunziata di Ficarra in una foto del 1907 (Archivio A. Piccolo)

In Fiabe e leggende popolari siciliane (Palermo 1888), Pitré racconta invece dell’arrivo “della SS. Nunziata di Ficarra” e riferisce di un’usanza paesana consistente in una prova: legare i buoi per vedere dove avrebbero condotto la statua di Maria. Di tale tradizione, che il Pitré oltre a Ficarra riporta anche per la Madonna di Gibilmanna, per il Crocifisso di Monreale, per Santa Maria del Monte di Recalmuto, per la Madonna di Dinnammare a Messina, ad oggi non si hanno documenti che la possano confermare a Ficarra. Ma gli scritti più curiosi che l’antropologo ottocentesco propone sono quelli relativi alla spiegazione delle “ingiurie” con cui i ficarresi sono intesi. In Proverbi siciliani raccolti e confrontati con quelli degli altri dialetti d’Italia, vol. 3, (Palermo 1880), Pitré riporta tre nomignoli legati alla coltura della terra, con cui i Ficarrisi erano identificati. Il primo, “cavigghiunari”, è un epiteto che deriva da cavigghiuni, legnetto aguzzo a forma di grosso chiodo. Dalla produzione dell’olio, l’attributo di “ogghialori”, ed infine il più curioso: “giammirgazzi”, accrescitivo plurale di giammerga, farsetto, appellativo che si riferisce proprio al modo di vestire.

Giuseppe Pitré (1841-1916)

Nelle Curiosità popolari tradizionali, avvenimenti faceti raccolti da un anonimo siciliano nella prima metà del secolo XVIII (Palermo 1885), l’autore riporta un aneddoto di cui si ha memoria tuttora, “comunissimo ai giorni nostri, e mi piace di riferirla, meno spiritosa certamente ma legata ad altre capestrerie, quale me l’ha favorita il sig. G. Crimi Lo Giudice, che la raccolse in Naso sua patria”. Racconta il Pitré che “in Ficarra, paese a poche miglia da Naso, si doveva celebrare la festa dell’Annunziata, che è la protettrice; e il procuratore di quella festa, non avendo potuto trovar cera nei paesi vicini, era andato per comprarla in Palermo. Fatta la compra, se ne ritornava sopra una barca a vela; ma, prima di toccar la riva di Brolo, un’ondata di mare, gli bagnò intieramente la cera, ed egli, ritenendo che le candele bagnate non fossero più buone ad illuminare la Chiesa, era cosi dolente, che per poco non gli scappavan le lagrime. Un Nasitano, che si trovava sulla stessa barca, forse per ischerzo, gli disse, che non valeva la pena d’impensierirsi tanto per cose da nulla, dappoiché il medesimo fatto era accaduto a’ Nasitani più volte, ed essi ci avevano rimediato mettendo le candele al forno. Giunto in Ficarra, quel povero diavolo fece come gli aveva suggerito il Nasitano, ma le candele nel forno squagliarono, e la festa non potè più celebrarsi”. Da ciò, dicevano gli anziani già nell’Ottocento, nacque il soprannome di ‘nfurnacannili dato ai ficarresi, i quali, giustamente, se la legarono al dito. “Difatti, passato un po’ di tempo, un Ficarrese di molto spirito, trovandosi nella Chiesa Maggiore di Naso, mentre il Quaresimalista faceva la predica del Giudizio e gridava a squarciagola: Nasu, Nasu, unni ti ficcu, Nasu? rispose ad alta voce: ’Ntra stu st…. di c….! e scappò di corsa per la più breve, senza che i Nasitani potessero raggiungerlo. La stessa notte però, alcuni di essi, frementi di rabbia, andarono in Ficarra, e non potendo far altro, chiusero con altrettanti pezzi di legno, detti cavigghiuna, tutte le porte che avevano i cancheri. Si racconta che un certo Masotto, il quale aveva una figlia che abitava una casa con due porte, tutte due chiuse da’ Nasitani a quel modo, la ‘ mattina andava ripetendo: A mè figghia Anciurina ‘a ‘ncavigghi’ınaru davanti e darreri! Tant’è che i Ficarresi vengono motteggiati ancora co’ nomi di ‘Nfurna-cannili e Caviggbiunara”.

Vittorio Tumeo

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