Per la rubrica "Visti da lontano", l'ingegnere Davide Staiti racconta il rapporto di amore e "odio" con la sua terra, dove i giovani devono andare via
VISTI DA LONTANO di Rosario Lucà – Davide Staiti è l’incontro di questa settimana. Uno “splendido quarantenne”, ingegnere dei materiali che da quattordici anni vive a Torino. Tra musica, montagna e il profumo delle braciole sulla brace, Davide è uno di quei messinesi che non hanno perso il sorriso, né il senso dell’ironia, anche vivendo lontano dal mare.Oggi vive sotto la Mole, ma basta sentirlo parlare per capire che, in fondo, la sua bussola punta ancora a Sud.









Secondo di tre fratelli, si autodefinisce uno studente “discolo” del liceo Archimede e mi fa capire che quel termine è un eufemismo. La sua goliardia si legge in faccia: lo sguardo furbo e profondo, i sorrisi che si aprono in un attimo, la mimica irresistibile. Capisco subito che avere Davide Staiti come amico dev’essere uno spasso. Ha conseguito la laurea triennale a Messina e la specialistica a Modena, città che definisce “fin troppo tranquilla” , soprattutto per uno studente discolo,
“Torino, in confronto a Modena, sembra Las Vegas”, mi dice ridendo. Nei suoi studi c’è anche una parentesi tedesca, un Erasmus a Stoccarda, gli chiedo se abbia imparato la lingua e lui mi risponde in buon tedesco, sfoderando il suo sorriso sornione. Sportivo, ama sciare, passione nata durante le vacanze di famiglia in Trentino, e la sua vocazione internazionale si riflette anche nella vita privata: la sua compagna è Ucraina, cresciuta con l’educazione severa dell’epoca sovietica ma formatasi poi in Germania.
Dopo la laurea, come tanti giovani della sua generazione, sentiva forte la voglia di partire: voleva fare l’ingegnere, costruirsi una carriera, mettere alla prova le sue ambizioni.
“Messina è una città bellissima, con enormi potenzialità, ma i giovani devono andare via”
Di tutti i “visti da lontano” che ho incontrato fin qui, Davide è il primo a offrirmi uno sguardo critico su Messina, che definisce “il teatro perfetto dei rimpianti”. Resto colpito da questa definizione e gli chiedo di spiegarsi meglio.
Davide è una persona dinamica e piena di passioni, amante dei festival musicali, con una passione viscerale per la musica e per i vinili che colleziona in gran numero. E mi dice che Messina è il posto che ha amato, ma anche odiato tantissimo: una città bellissima, piena di potenzialità geografiche e culturali, ma da cui i giovani spesso devono andare via per realizzare i propri sogni. Quando partì verso Nord, suo padre gli disse: “Ti conosco, non ti mancherà la famiglia, ma ti mancherà il mare”. All’epoca Davide non capì, ma oggi ammette che suo padre aveva ragione.
Il mare di Messina e le braciole a Torino
Per farmi comprendere meglio, mi racconta che per tutto il periodo universitario a Papardo, anche se rischiava di arrivare tardi, non prese mai la Panoramica: preferiva la Litoranea, la strada che corre accanto al mare. Chiudo gli occhi e vedo quella luce che conosco bene: il sole che sorge dietro Scilla, che abbaglia senza infastidire e scalda attraverso il parabrezza, quanta nostalgia.
Da ragazzo Davide faceva canottaggio al Circolo Paradiso (vallo a spiegare che a Messina abbiamo un quartiere con questo nome!), e il mare era parte integrante della sua vita.Le estati le trascorreva nella casa di famiglia a Ganzirri, in quella lingua di terra tra il lago grande e il mare, dove “mollava i panni del bimbo di città” e viveva giornate senza tempo fino al tramonto. Ancora oggi, le sue estati sono lì, dove tutto è cominciato.
Gli chiedo come affronti, a Torino, la mancanza del mare: sorride e risponde che ha deciso di non cercare un surrogato. Ha scoperto la montagna e la sua quiete.
Alla fine, curioso, gli chiedo quali indizi della sua messinesità troverei a casa sua. Mi parla di un servizio da caffè degli anni ’70, marchiato Caffè Barbera, dono di una zia, che custodisce con cura. Poi, con un sorriso complice, aggiunge: “Ho trovato un macellaio messinese che fa le braciole”.
Mi sento come Montalbano quando sogna le pietanze che Adelina gli fa trovare: già sento l’odore di quegli involtini di carne sulla brace, la gioia sensuale e contemplativa, quel ponte tra nostalgia e conforto, fra la fatica del vivere e la dolcezza delle radici.
Fotografie e testo di Rosario Lucà
