"L'infinito del cuore". Presentato all'Università il libro di monsignor Antonino Raspanti

“L’infinito del cuore”. Presentato all’Università il libro di monsignor Antonino Raspanti

“L’infinito del cuore”. Presentato all’Università il libro di monsignor Antonino Raspanti

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mercoledì 30 Marzo 2016 - 09:06

Presentato il libro di monsignor Raspanti, "L'infinito del cuore. Dialoghi sulla spiritualità".

Non è impresa da poco discendere nell’anima di un libro e risalirvi con delle riflessioni in grado di orientare il lettore a leggerlo, a maggior ragione se si tratta di un volume in cui l’autobiografia interagisce con il discorso sul divino. In tal caso, la palpitante realtà esistenziale, il racconto e il sogno si intrecciano in un singolare percorso, dove la ricerca agostiniana è il dato costante per andare oltre la fragilità e la precarietà della condizione umana.

È possibile verificare tutto questo ne L’infinito nel cuore. Dialoghi sulla spiritualità (ed. Di Lorenzo, Alcamo 2013), presentato martedì pomeriggio, nell’Aula Magna del Rettorato dell’Università degli Studi di Messina. A discuterne con monsignor Raspanti, autore del testo, le docenti Paola Radici Colace, ordinario di filologia classica e Maria Antonietta Barbàra, associato di letteratura cristiana antica presso l’Ateneo messinese, la dottoressa Lorenza Mazzeo, medico e l’editore Ernesto Di Lorenzo.

Nel volume scritto sotto forma d’intervista, il vescovo illustra la sua autobiografia spirituale e intellettuale, come scrive Massimo Naro nella prefazione. Rispondendo alle domande di Baldo Carollo, monsignor Raspanti riflette su vari temi che abbracciano, tra l`altro, il dialogo interreligioso, la fede, la spiritualità dei giovani, e la santità. Riguardo i temi della Verità, della Libertà e dell’Amore, si giunge a delineare anche un parallelismo tra Socrate e Gesù, descrivendone convergenze e differenze.

In questi dialoghi sulla spiritualità si evince l’incontro con Dio che per il presule è avvenuto nel silenzio:“Dal silenzio ho scoperto che Dio abita dentro di me, fu la scintilla che accese il mio fuoco; e scattò la scelta radicale. Io non ho incontrato Dio attraverso la natura: molti lo hanno riconosciuto nella bellezza del creato, nell’armonia della natura con le sue forme, i suoi colori, i suoi richiami, i suoi rimandi. Non ho nemmeno conosciuto Dio dall’incontro decisivo con una persona: molti si votano a Dio grazie a una testimonianza, a un maestro spirituale. Nel mio caso non è stato né l’uno né l’altro: la mia scoperta di Dio è cresciuta come una pianta dentro di me, dal seme del silenzio. L’ho riconosciuto rientrando dentro di me agostinianamente”.

Massimo Naro e Baldo Carollo, i prefatori mettono in luce, muovendo da punti di vista diversi ma complementari e convergenti, la storia di una ricerca che si manifesta attraverso il metodo dell’intervista. Siamo negli anni Settanta che videro sulla scena l’agitazione del mondo studentesco, anche se nella periferica Alcamo, cittadina di un’ovattata provincia di Sicilia (Trapani) ne furono vissuti solamente i riflessi. Da studente liceale, la sua scelta di giovane cattolico è quella dell’impegno responsabile (come non ricordare la pedagogia di don Milani e l’esperienza della scuola di Barbiana). Egli ama raccontare aneddoti, riferisce di esperienze teatrali, cita gli autori che allora si leggevano, tra cui Siddharta di Hermann Hesse o Eros e civiltà di Marcuse; ma è la lettura del Vangelo, oltre alla guida dei maestri spirituali ricordati con una punta di orgoglio, a immetterlo in un cammino di fede “fondamentalmente lineare, graduale, senza salti”. Quando il dato dell’individualità, ancorché necessaria, si eclissa, ecco l’apertura della narrazione ai grandi problemi del bene e del male, della testimonianza nel dolore, del nascere e del morire, sulla genesi, la funzione e il destino dell’anima. Gli schemi interpretativi destano interesse, risultano modulati sul linguaggio dell’ossimoro e dell’ambiguità del reale (a partire dall’analisi di Gianni Vattimo), e individuano la connotazione essenziale della post-modernità nella “rinuncia ai grandi orizzonti di senso”.

Intense, degne del pensatore acuto che spazia dalla letteratura al sapere scientifico-antropologico, nonché del religioso attratto dall’esperienza dei mistici, le pagine sul dolore come “prova” e sulla “gioia” che, vista nel mattino di Pasqua, “cambia di segno” il senso della sofferenza. Soltanto alcune tracce, queste, che potrebbero bastare a stuzzicare l’attenzione alla lettura di questo godibilissimo libro sul cristianesimo e la sua fede: potrebbe sicuramente porsi come supporto della costruzione di una cultura “meno debole”, più decisamente schierata dalla parte di ineludibili prospettive escatologiche.

Il titolo, già abbastanza intrigante, manifesta quel sentimento che, durante l’esperienza del “passaggio”, si concretizza nella scoperta del Dio vissuto, del suo silenzio, della sua voce “che chiama e riecheggia”, nell’ossimoro del “silenzio che parla” e che è si lega a quell’esigenza di recuperare quel lessico filosofico e mistico necessario per comunicare con l’Essere supremo, vincolo di trascendenza e di immanenza.

Rachele Gerace

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