L'avvocato Rosario Pio Cattafi, per i pentiti è lui il "Capo dei capi"

L’avvocato Rosario Pio Cattafi, per i pentiti è lui il “Capo dei capi”

L’avvocato Rosario Pio Cattafi, per i pentiti è lui il “Capo dei capi”

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martedì 24 Luglio 2012 - 16:36

Rosario Pio Cattafi, 60 anni, avvocato barcellonese è indicato dai pentiti come il vero capo di Cosa Nostra in provincia di Messina. Già qualche anno fa un rapporto del Gico lo indicava come un personaggio di primo livello. L'anno scorso gli fu sequestrato un patrimonio di sette milioni di euro. Due pentiti catanesi hanno detto di averlo visto trattare da pari a pari il superboss Nitto Santapaola.

Giacca blu, cravatta, occhiali da professore e sguardo penetrante. Eccolo l’avvocato Rosario Pio Cattafi, nella foto diffusa dai Carabinieri dopo il suo arresto. Non ne circolavano da anni, l’ultima era sbiadita, un po’ mossa e risaliva a molti anni fa. Irriconoscibile rispetto ad oggi. Quel signore dall’aria da intellettuale è indicato dai collaboratori di giustizia come il capo dei capi, il boss della mafia barcellonese, l’uomo che poteva guardare negli occhi un padrino del calibro di Nitto Santapaola e ricevere in cambio rispetto ed ammirazione. Da anni il suo nome era associato a Cosa Nostra di Barcellona ma era uscito pulito da tutte le inchieste. Assolto o con la posizione archiviata prima ancora di giungere al dibattimento. Eppure è stato a lungo intercettato, seguito dalle forze dell’ordine e sentito sui fatti di mafia più importanti. L’avvocato Rosario Pio Cattafi, è nato a Barcellona 60 anni fa. Si è sempre mosso con grande discrezione ma di lui parla dettagliatamente un rapporto del Gico della Guardia di Finanza sulla base del quale fu avviata la prima misura di prevenzione personale nei suoi confronti dal 2000 al 2005. Le Fiamme Gialle riferiscono dei suoi stretti rapporti con don “Ciccino” Rugolo, il padrino della vecchia mafia barcellonese, che fu assassinato nel febbraio del 1987. Rugolo era il suocero di Giuseppe Gullotti, l’”avvocaticchio” che si apprestava a prendere in mano le redini della famiglia di Barcellona e ritenuto il mandante dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano. Già nel 2006 una relazione ispettiva sulle infiltrazioni criminali e mafiose a Barcellona recita: “«di assoluto rilievo sono i rapporti prolungati nel tempo che vedono legato Rosario Cattafi al boss catanese Benedetto “Nitto” Santapaola ed a soggetti appartenenti alla cosca mafiosa di quest’ultimo… numerosi collaboratori di giustizia, tra i quali spiccano Angelo Epaminonda e Maurizio Avola, hanno indicato Cattafi come personaggio inserito in importanti operazioni finanziarie illecite e di numerosi traffici di armi, in cui sono emersi gli interessi di importanti organizzazioni mafiose quali, oltre alla cosca Santapaola, le famiglie Carollo, Fidanzati, Ciulla e Bono». Insomma nel 2006 gli inquirenti considerano già Rosario Pio Cattafi un pezzo da novanta. Ma già molti anni prima, come ha rivelato anche oggi in conferenza stampa il procuratore capo Guido Lo Forte, in un’intercettazione telefonica l’avvocato Cattafi parlava della sparizione di alcune persone nella zona di Mazzarrà S.Andrea. Erano i famosi casi di lupara bianca sui quali è stata fatta piena luce solo l’anno scorso con il pentimento di Carmelo Bisognano e Santo Gullo. Cattafi fu interrogato ma disse che le sue informazioni provenivano da notizie di stampa. Ma nessun giornale aveva mai parlato di quei casi visto che nessuno sapeva che quelle persone sarebbero sparite per sempre. Proprio Bisognano durante un interrogatorio del processo “Vivaio” ha indicato Cattafi quale capo della mafia barcellonese. Ma l’avvocato ha sempre respinto tutte le accuse denunciando per calunnia diversi pentiti. Di indagine in indagine si arriva così al marzo dell’anno scorso quando a Cattafi vengono sequestrati beni per un valore di 7 milioni di euro dalla Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Messina. Il provvedimento è richiesto dal procuratore capo di Messina Guido Lo Forte e dal sostituto della Dda Vito Di Giorgio. E’ un’inchiesta minuziosa del Gico della Guardia di Finanza che porta al sequestro della società “Di Beca Sas di Corica Ferdinanda & C.”, ritenuta la cassaforte della famiglia Cattafi, e poi ancora, conti correnti, case ed il terreno di contrada Piscopato a Barcellona dove avrebbe dovuto nascere un grande centro commerciale.

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