Non ci sono alternative alla manovra di Monti. E non siamo nemmeno sicuri che abbia successo.

Non ci sono alternative alla manovra di Monti. E non siamo nemmeno sicuri che abbia successo.

Giovanni Mollica

Non ci sono alternative alla manovra di Monti. E non siamo nemmeno sicuri che abbia successo.

lunedì 19 Dicembre 2011 - 16:55

Se, pur approvando celermente la manovra di Monti, i tassi sui titoli pubblici non scenderanno, bisognerà prendere in seria considerazione l'ipotesi di dichiarare bancarotta. Quindi, non pagare i debiti, uscire dall'euro e affrontarne le drammatiche conseguenze. Per questa ragione, è da irresponsabili tentare di impedire l'approvazione della (pur criticabilissima) manovra. Non c'è più tempo: l'Italia rischia di non poter pagare stipendi pubblici e pensioni fin dal prossimo mese di Aprile. Basta fare qualche conto.

Facciamo insieme quattro conti, nella speranza possano servire a rendersi conto della drammaticità del momento che stiamo attraversando.
Anche se, sappiamo bene che, per una larga parte dell’opinione pubblica, i numeri sono parte assolutamente irrilevante dei ragionamenti. Quel che conta sono le sensazioni o l’occasione di accusare tutti “gli altri” (ma chi?) di essere disonesti.

Lo Stato italiano – non il Governo, ma lo Stato, cioè tutti noi – ha un debito di circa 1.900 miliardi, cresciuto a dismisura soprattutto negli anni ’80 e seguenti, quelli beati del consociativismo di centrosinistra. E’ anche (o soprattutto) colpa di questo enorme debito – sul quale lo Stato paga fior di interessi: più di 80 miliardi nel 2010 – se l’Italia è rimasta indietro nella realizzazione di riforme onerose. Dalle infrastrutture, più o meno strategiche, al finanziamento della ricerca, alla tutela delle minoranze meno fortunate e così via.
Che poi abbiamo i politici più incapaci d’Europa – alla pari della Grecia – non cambia la sostanza, anche perché li abbiamo eletti noi.

Questi interessi variano, ovviamente, in base alle condizioni di mercato. Sappiamo anche che, tra il 2007 e il 2009, il tasso ha oscillato tra il 3,212% e il 4,414%, mentre negli ultimi 2 anni, il nostro Paese ha prima beneficiato del calo dei rendimenti, rimasti costantemente al di sotto del 4%, per poi subire l’ondata rialzista di una speculazione finanziaria che dispone di risorse pari a parecchie volte il PIL mondiale. Che ha portato i tassi a sfiorare quota 7%.
Proviamo ora a calcolare le conseguenze di un rialzo medio del 3% – o di 300 punti, come si usa esprimere i tassi nel linguaggio finanziario –, cioè dal 4% al 7%, sull’intero debito pubblico italiano: una semplice moltiplicazione mostra che la maggiore incidenza del costo degli interessi sul bilancio del nostro Paese ammonterebbe a oltre 55 miliardi di euro l’anno. Ci perdoneranno i tecnici: sappiamo bene che le nostre sono approssimazioni che farebbero inorridire i revisori contabili, ma ci importa di più rendere chiaro il concetto che la precisione dei numeri.
Se così fosse, la tanto contestata manovra “lacrime e sangue” di Monti (una trentina di miliardi) servirebbe a ben poco.
Chiedendo ancora una volta scusa per la rozzezza del calcolo, nei bilanci dell’Italia bisognerebbe aggiungere 30 miliardi alle entrate e ben 55 alle uscite. Riducendo, in conseguenza qualche altra voce di spesa – a scelta tra istruzione, sanità, infrastrutture, pensioni, tutela del territorio, etc. – in modo da ottenere il pareggio del bilancio, ormai obbligatorio.
Ai contestatori irriducibili dei costi della politica – tra i quali ci siamo iscritti dalla prima ora – ricordiamo che ottenere da tale voce una riduzione di spesa di 1 miliardo sarà impresa ai limiti dell’impossibile.
Fortunatamente, solo una parte dei 1.900 miliardi è scaduta ed è stata rinnovata a condizioni tanto peggiori di quelle di emissione; ne consegue che il maggiore costo è che lo Stato deve affrontare è una percentuale dei 55 miliardi ora calcolati. Una percentuale che però cresce giorno per giorno a causa dell’elevatissimo tasso imposto dai mercati.
Per raccattare qualche voto, qualcuno (Lega, IdV e gli assenteisti di PdL e PD) preferisce fingere di ignorare che, senza manovra, c’è la certezza di non poter pagare gli stipendi pubblici e le pensioni nel giro di qualche mese, ma un Governo e un Parlamento responsabili non si possono permettere questo lusso. Anche a costo dell’impopolarità o di perdere voti. O di essere derisi per avere versato qualche lacrima.
Concludendo, altro che (comprensibilissime) critiche alla manovra: bisogna pregare che basti a far calare i tassi. O, che è lo stesso, che scenda il famoso spread tra Btp e omologhi Bund tedeschi. Se non succederà entro aprile (164 miliardi di titoli di stato da rinnovare) andrà presa molto seriamente in esame l’ipotesi di dichiarare bancarotta.

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