Il ponte sullo Stretto e la modifica della natura dei contratti

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Autore Esterno

Il ponte sullo Stretto e la modifica della natura dei contratti

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giovedì 26 Giugno 2025 - 07:35

Un'analisi giuridica da parte dell'avvocato Nicola Bozzo: tutti i dubbi sull'operazione e sulla mancata gara

di Nicola Bozzo, avvocato

In questi ultimi giorni, ulteriori modifiche normative al quadro regolatorio del Ponte sullo Stretto sono state introdotte nel cosiddetto decreto infrastrutture. Nei lavori parlamentari di conversione del decreto legge si sono svolte alcune audizioni dalle quali sono emersi rilievi critici già manifestati nel passato, come in particolare nell’audizione del presidente Anac che ha giustamente ribadito le proprie riserve in relazione all’ulteriore incremento della dotazione finanziaria dell’opera che adesso sembrerebbe fissata a 13,5 miliardi di euro con una differenza, quindi, del 50% in più rispetto al valore del bando originario. Misura non consentita per un preciso divieto di matrice europea per il quale, in questa ipotesi, si dovrebbe procedere a nuova procedura di gara, come del resto avevamo già evidenziato negli articoli precedenti.


In effetti, tutto questo discorrere di modifiche dovute alla variazione dei prezzi delle materie o di ristabilimento, comunque, dell’equilibrio contrattuale, suona abbastanza sorprendente, poiché l’unica ragione che può determinare mutamenti nel programma negoziale allora concordato non è riconducibile a un fisiologico svolgimento di concessioni o di appalti, ma è da ricondurre al totale blocco del progetto dell’opera che, ricordiamo, fu decretato dal governo Monti nel 2012.

Per questo, anche i concetti di imprevedibilità o di circostanze sopravvenute non si iscrivono in una logica che li giustifica, ma sono la pura conseguenza del decorrere del tempo, a prescindere dall’esecuzione dell’opera. Cioè, l’idea stessa di mutamenti contrattuali nella fase cosiddetta esecutiva appare inappropriata proprio perché non siamo in presenza di un principio di esecuzione, ma piuttosto di rinegoziazione e ridefinizione del progetto. Peraltro, dovremmo aspettare la seduta del Cipess di approvazione definitiva di tutti gli atti, per comprendere come gli incrementi di bilancio verranno distribuiti tra le molteplici figure che concorrono alla realizzazione dell’opera e, in più, poter cogliere in che termini viene modificato il piano economico finanziario della Società dello Stretto che costituisce il documento cardine per comprendere il modo nuovo in cui si articolerà la rinegoziazione in corso.
Si intende, con questo contributo, evidenziare in modo, ovviamente, generale, senza indulgere in soverchi tecnicismi, almeno due ulteriori aspetti che mi appaiono significativi.

Mutamento della natura dei contratti


Se si va a rivedere la relazione della Corte dei Conti del 2009 in sede di controllo sulla Stretto di Messina, può scorgersi una traccia di una certa utilità. Ponendosi il problema della qualificazione giuridica della Stretto di Messina, i giudici contabili ritennero, secondo me in modo appropriato, che la Stretto di Messina era da intendersi quale società di progetto, questo in ragione della disciplina allora vigente, in particolare degli artt. 184 e seguenti del Codice dei contratti pubblici.
Del resto, in un’audizione parlamentare sempre del 2009, l’amministratore delegato della Stretto di Messina fece un espresso riferimento a questa indicazione, per così dire, interpretativa, ribadendone l’assoluta pertinenza.

La disciplina adesso ricordata, prevedeva che “al fine di realizzare una singola infrastruttura o un nuovo servizio di pubblica utilità, le società di progetto di cui all’articolo 184, nonché le società titolari di un contratto di partenariato pubblico privato ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettere eee), possono emettere obbligazioni e titoli di debito, anche in deroga ai limiti di cui agli articoli 2412 e 2483 del codice civile, purché destinati alla sottoscrizione da parte degli investitori qualificati come definiti ai sensi dell’articolo 100 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, fermo restando che sono da intendersi inclusi in ogni
caso tra i suddetti investitori qualificati altresì le società e altri soggetti giuridici controllati da investitori qualificati ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile. Detti obbligazioni e titoli di debito possono essere dematerializzati e non possono essere trasferiti a soggetti che non siano investitori qualificati come sopra definiti. In relazione ai titoli emessi ai sensi del presente articolo non si applicano gli articoli 2413, 2414-bis, commi primo e secondo, e da 2415 a 2420 del codice civile”.

Si evince chiaramente che siamo in presenza di un metodo di finanziamento riconducibile alla cosiddetta finanza di progetto. In sostanza, si prevedeva che il contributo pubblico dovesse essere contenuto nella misura del 40%, anzi, l’amministratore della Stretto di Messina, nell’audizione di cui abbiamo parlato, lo individuava nella misura di 2,5 miliardi di euro con il restante 60% da reperire, appunto, attraverso l’emissione di obbligazioni nel mercato finanziario internazionale.
Peraltro, questo assetto degli interessi è “codificato” nell’atto aggiuntivo della concessione intercorrente tra il ministero delle Infrastrutture e la Società dello Stretto sempre del 2009.
Ricordiamo che la particolarità del project financing sta nella cosiddetta traslazione del rischio operativo ai privati finanziatori.

In sostanza, con tutta una serie di particolarità che non appaiono decisive per il nostro ragionamento, la remunerazione dell’investimento dei privati avviene esclusivamente attraverso i flussi di cassa assicurati dalla gestione dell’infrastruttura, secondo un modello che si intendeva, in quel periodo storico, particolarmente attraente (altro punto sarebbe vederne l’esito reale nel sistema italiano delle infrastrutture).
Soccorre sul punto la disposizione del nuovo codice di cui al comma 1, dell’art. 177, rubricato “contratto di concessione e traslazione del rischio operativo”, che chiarisce che “l’aggiudicazione di una concessione comporta il trasferimento al concessionario di un rischio operativo legato alla realizzazione dei lavori o alla gestione dei servizi e comprende un rischio dal lato della domanda o dal lato dell’offerta o da entrambi. Per rischio dal lato della domanda si intende il rischio associato alla domanda effettiva di lavori o servizi che sono oggetto del contratto. Per rischio dal lato dell’offerta, si intende il rischio associato all’offerta dei lavori o servizi che sono oggetto del contratto, in particolare il rischio che la fornitura di servizi non corrisponda al livello qualitativo e quantitativo dedotto in contratto”. Il comma 2 del medesimo articolo prosegue così: “Si considera che il concessionario abbia assunto il rischio operativo quando, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione”.

In effetti, nell’odierno quadro normativo, ogni concessione deve presentare questa fisionomia, ovvero la traslazione del rischio operativo. Aspetto che pone tutta una serie di problemi rispetto alle concessioni cosiddette in house (come, per esempio, adesso, Autostrade Spa) per le quali sembra assai difficile configurare un rischio operativo o di mercato del tutto coincidente con la razionalità espressa da un operatore esclusivamente privato. Ma questo aspetto, pure assai importante, non può essere qui approfondito, per ovvie ragioni di spazio.

Totale novità nel rapporto tra Mit e Stretto di Messina

Da quanto detto, consegue, a mio modo di vedere, che ci troviamo in presenza di una totale novità, per lo meno, del rapporto contrattuale così come configurabile nel rapporto di concessione tra il Mit e la Stretto di Messina. Infatti, le modalità di finanziamento investono direttamente quella che giuridicamente si definisce come la causa del contratto, cioè la funzione economico sociale dell’operazione negoziale. In sostanza, l’assetto e la composizione degli interessi tra i vari contraenti, non è uguale, anzi è del tutto differente tra un’opera da realizzare in project financing e un’opera da realizzare, come adesso, totalmente in house e con un esclusivo finanziamento pubblico.

Cambia tutto. Cambia l’allocazione dei rischi, cambia il modo in cui il pubblico si rapporta alla vicenda, cambiano le fonti di finanziamento, si modificano totalmente ruoli e funzioni dei soggetti implicati. In sostanza, voglio dire che il project financing non è una tipologia contrattuale, ma una forma economica e un metodo di finanziamento che, tuttavia, penetrano all’interno della fattispecie contrattuale, determinandone appunto la causa, ovverossia la ragion d’essere funzionale.

Questa tesi mi sembra confermata dal passaggio chiave della Relazione sempre del CdS al codice (che evidenzia tale mutamento di veste) e lo si rinviene a pagina 203, laddove viene precisato che “sempre sul piano sistematico sono stati meglio precisati i rapporti tra concessione e finanza di progetto. Non si tratta di due tipi contrattuali diversi, come nella struttura dell’impianto codicistico del 2016. È il medesimo contratto di concessione che può essere finanziato, sia in ‘corporate financing’, sia in ‘project financing’. In ragione delle peculiarità di tale ultima operazione economica (in cui la società di progetto isola il progetto e consente di schermarlo dai rischi operativi), sono state comunque riservate alla finanza di progetto norme specifiche in tema di aggiudicazione ed esecuzione del contratto (la finanza di progetto è così diventata un capitolo ‘interno’ alla disciplina della concessione)”.

La posizione del Consiglio di Stato

E sempre nella stessa relazione, in sede di parere sul nuovo Codice dei contratti pubblici, come osservato dal Consiglio di Stato, “va sottolineato che, in riferimento alla questione delle modifiche o varianti “sostanziali”, la direttiva 2014/24/UE utilizza una terminologia piuttosto generica consentendo le modifiche che non alterano “la natura generale del contratto”.

L’art. 106 del decreto legislativo n. 50 del 2016 parla di “modifiche che avrebbero l’effetto di alterare la natura generale del contratto o dell’accordo quadro” (comma 1, lett. a)) oppure di modifica che “non
altera la natura generale del contratto” (comma 1, lett. c)), e ancora di modifica che “non può alterare la natura complessiva del contratto o dell’accordo quadro” (comma 2) e, inoltre, specifica che “una modifica di un contratto o di un accordo quadro durante il periodo della sua efficacia è considerata sostanziale ai sensi del comma 1, lett. e), quando altera considerevolmente gli elementi essenziali del contratto originariamente pattuiti” (comma 4).
Nella disposizione proposta si è inteso recepire la nozione della direttiva inserendo, nei diversi commi interessati, una nozione unitaria di modifica “snaturante”, quindi trasponendo il concetto di “non alterazione” della “natura generale del contratto” di cui alla direttiva con la seguente dizione: “nonostante le modifiche, la struttura del contratto o dell’accordo quadro e l’operazione economica sottesa possano ritenersi inalterate”, utilizzata nei commi 1, 3 e 5”.

In un articolo precedente, si era detto che “quando nel 2012 col famoso decreto legge Monti si caducano i rapporti contrattuali con la Società Stretto di Messina e col General Contractor, e si rinuncia al progetto Ponte, lo si fa attraverso una nuova valutazione comparativa dell’interesse pubblico. Valutazione in base alla quale si va a incidere sull’elemento proprio e specifico dell’atto di programmazione, ossia la sostenibilità finanziaria”.

Questa affermazione si colora adesso di ulteriori sfumature. L’esercizio della funzione pubblica si è concretizzato in una valutazione di interesse pubblico attinente alla sostenibilità finanziaria dell’opera che non solo estingue, per così dire, i precedenti atti di programmazione, ma caduca con effetto estintivo la concessione, proprio perché incide – con una nuova rivalutazione dell’interesse generale – sull’elemento che abbiamo definito causale dei contratti, cioè su quella specifica, concreta e singolare vicenda, privandola della sua funzione specifica, cioè la sua ragion d’essere. È da ritenersi una conseguenza abbastanza naturale che una riedizione dell’esercizio del potere pubblico che ripropone la strategicità
dell’opera, inquadrandola in una nuova figura contrattuale (la concessione totalmente in house e il
finanziamento totalmente pubblico) implica, naturalmente, nuove gare perché sarebbe inconcepibile avere nuovi contratti, proprio dal punto di vista tipologico, e vecchi contraenti.

Passaggio in giudicato della risoluzione dei contratti

Chiudo con un’annotazione sempre pertinente al decorso del tempo. Il Tribunale delle Imprese di Roma, a suo tempo, nei vari giudizi intercorsi tra i contraenti per la determinazione degli indennizzi dovuti a seguito della caducazione dei contratti, con una sentenza parziale, accertò l’assoluta liceità della risoluzione contrattuale operata con un decreto legge dal governo dell’epoca. Su questo aspetto può dirsi, dunque, formato il giudicato, ossia la definitività della pronuncia giudiziale sul punto. Pertanto, l’effetto estintivo dei contratti è da riferire, per quanto detto, all’atto stesso della caducazione, ma questo elemento di estinzione giuridica è per così dire, doppiato dal passaggio in giudicato della controversia sul punto.

Poteva il decreto Salvini ridare vigore ai vecchi contratti?

Mi chiedo: può una legge provvedimento quale il decreto Salvini del 2023 ridare vigore ai vecchi contratti, sebbene essi fossero gravati perfino da un effetto estintivo conseguente a una sentenza passata in giudicato? Io penso proprio di no.

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4 commenti

  1. Il legislatore legiferando può fare “de albo nigrum et de quadrata rotundis”.

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  2. Meloni ha già firmato un accordo del 5% del pil sul riarmo, a occhio e croce non ci saranno più soldi né per la sanità né per le pensioni figurati per i sognatori del ponte. PS Nella jonica ad Alì terme hanno impiegato 7 anni per fare un ponticello da due soldi tra Nizza e Alì… figurati nello stretto 😁 ..e questa è realtà.

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  3. @Giovanni, gliel’ho già detto qualche giorno fa: smetta di informarsi solo su Facebook o TikTok. Non cada nelle sparate del politico di turno che, approfittando dell’ignoranza dilagante, spara numeri a caso per raccattare il facile consenso.
    Parla del 5% del PIL per il riarmo come fosse cosa fatta, anzinl “Meloni ha già frmato un accordo del 5% del PIL sul riarmo “..ma la realtà è un’altra:
    non esiste alcun accordo, trattato, o documento ufficiale che preveda questo.(mi smentisca se ne è capace )
    Nessun paese europeo, Italia compresa, ha siglato un impegno simile.
    L’obiettivo NATO è il 2%, e già quello è un traguardo impegnativo per molti Stati.
    Il 5% è una boutade politica, buona solo per infiammare i social, ma totalmente scollegata dalla realtà economica e politica europea.
    E per concludere, lei riesce pure a paragonare un’opera comunale al Ponte sullo Stretto.
    Vabbè, la prendo in simpatia.
    Saluti

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  4. Alessandro Orlando 26 Giugno 2025 18:06

    Al pur bravo avvocato sfugge che il fondamento giuridico di tutti gli interventi del governo è
    “Facciamo come ci pare”

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