Un'interpretazione eccelsa per il progetto a Messina "La città ascolta", su iniziativa dell’associazione “Anatolé”
MESSINA – “Il Signor K”, dai racconti di Franz Kafka: una lettura ad alta voce di Mariapia Rizzo, del Teatro dei Naviganti, con musiche a cura di Carmelo Geraci. In seno al progetto “La città ascolta”, e, nella fattispecie, per la rassegna “Voci in capitolo”, il 31 gennaio e 1 febbraio si è approntata la “mise en scène”, rispettivamente all’Accademia peloritana dei Pericolanti e la Biblioteca provinciale dei frati minori cappuccini. Luoghi messinesi individuati dalla Compagnia “Anatolé”, con presidente Valeria Alessi, quali ulteriori sedi privilegiate per ospitare una manifestazione che ha beneficiato di un finanziamento pubblico. Un finanziamento come vincitrice del bando “Ad alta voce”, Cepell, 2023.
Giova premettere che non possiamo seppellire l’opera kafkiana sotto il chiacchiericcio dell’industria culturale, semplificando la sua produzione, che non si presta, e anzi rifugge da procedure di sistematizzazione, talchè Kafka non si può né deve spiegare, lasciando, invece intatta la sua enigmaticità.
E invece “Il processo” è stato vanamente concepito quale “romanzo della colpa”, e messo peraltro a confronto con le lettere, i diari e gli aforismi kafkiani.
Già dall’incipit del testo “Qualcuno doveva aver calunniato Josef K, perché senza che avesse fatto nulla di male, una mattina fu arrestato”, che è anche apertura della piece, non tenendo in conto alcuno tale attacco, la su cennata interpretazione farebbe ridurre di senso l’opera, giovando forse ciò ad attutire la sensazione assolutamente choccante provocata e ponendosi sulla strada, errata, di volerla rendere comprensibile.
La realtà kafkiana è, invece, stravolta e stravolge se e poiché possiamo ben riconoscerla come comune, ma necessita conservarne integro il mistero, pur a scapito della nostra “tranquillità intellettuale”.
Le forze primordiali che abitano la produzione di Kafka, in ispecie in quel tribunale che assurge a struttura racchiudente tutta la loro irrazionalità, in una società che è pura barbarie, si condensano infine nella oggettiva constatazione che “la sentenza non arriva all’improvviso, il processo si trasforma nella sentenza”.
Gli imputati sono già da sempre condannati e nulla è chiarito, continuando la logica a girare a vuoto. Il gesto, per dirla con W, Benjamin, ogni gesto è già un dramma a sé.
E quel potere, che si cela ed è invisibile essendo presenza assoluta, che è onnipresente e pervasivo, non può che essere non verticistico, ma orizzontale e immanente.
L’effetto naturale è il senso d’angoscia per quello scarto (che è insanabile) tra il potere, che può solo subirsi, volta per volta, e la sua mancanza di legittimazione. Non ci si può illudere, concependo il potere in guisa manichea, talchè il dominio cieco è mezzo immanente della organizzazione sociale e il mondo è sconvolto dalla bufera irrazionale…ma la consapevolezza di ciò dà forza ad uno spiraglio di speranza, che lo “script” lascia talora trasparire, “un uomo, debole e sottile per la distanza, si sporse d’impeto….e tese le braccia ancora più in fuori. Chi era? Un amico? Un uomo buono? Era uno solo? Erano tutti? C’era ancora un aiuto? Alzò le mani e allargò tutte le dita”.
E, ancora, gli spazi ristretti, poco illuminati, l’affollamento, il denso fumo, il caldo insopportabile che rende l’aria irrespirabile, l’oscurità, in uno all’infimo ciarpame, campionario monocorde di quell’universo opprimente che ci circonda, e tutto è curvo, l’uomo, il bastonatore e la guardia, il sacerdote….e Josef K non può come gli altri, mai, raddrizzare la schiena.” I mezzi, le possibili vie d’uscita, sono in realtà un “trompe – l’oeil”; e anche le finestre non si aprono mai.
Insomma, il soggetto trascendentale non è più capace di agire sulla realtà e può far solo prova di sé all’inferno.
E se la realtà stessa si è fatta spazzatura, solo le figure femminili sembrerebbero avere un qualche potere salvifico, ma c’è ambiguità anche in questa rappresentazione, soprattutto nella figura di Leni. Quanto alla forma, manca il narratore e l’Autore si esprime senza considerazioni alcune sui fatti, in una rappresentazione oggettiva in terza persona, in carenza di una coscienza sovraordinata al racconto, ed è come se il narratore fosse stato assorbito dal protagonista e il lettore non sa e non può vedere più di quanto il protagonista sa e vede; chi legge è, infine, accerchiato in questa espressione materiale oggettiva, perturbante, mai evocativa, ma di accadimenti assoluti.
Il processo è un romanzo? La storia non ha di certo uno sviluppo, ma è addizione di avvenimenti “tout court” e, infine, appare necessario che il solitario Josef sia integrato e fatto fuori da un tribunale per lui inaccessibile, atteso che è credo assoluto la non conciliazione fra uomo e mondo, il processo è sentenza e il castigo (è) inevitabile come il destino.
Interpretazione eccelsa dell’attrice Mariapia Rizzo
Quanto alla “pièce” e tornando ad essa, essa ha costituito a mio avviso stimolo alla rilettura dell’intero meraviglioso corpus” kafkiano, quindi lode ad essa, anche per l’interpretazione eccelsa di una grandissima Mariapia Rizzo, per il Teatro dei Naviganti, che ne è stata quasi cabarettista esponente.
La perfetta resa delle atmosfere d’epoca è stata compiuta con uso di costumi assai consoni dell’attrice, in panni maschili, (camicia bianca, bretelle, pantaloni, stivaletti e cappello neri), dando voce e prestando la gestualità e le fattezze a quel sig. K su cui è imperniata sia l’opera principale che i tre “Racconti” esemplari di tutte le altre Favole, altamente visionari, e cioè “Dinanzi alla legge”, “Il messaggio imperiale” e “ Un sogno”, altresì in rappresentazione, con anteposizione del secondo al primo in elenco, oltre al brevissimo “ il villaggio vicino”.
Un bravo suonatore di fisarmonica, alias Carmelo Geraci, ha accompagnato le belle letture drammatizzate, sovente anche precedendo il loro inizio, con melodie lievemente malinconiche, quasi da cabaret.
Non è risultata particolarmente chiara, invece, la presentazione introduttiva curata da Valeria Alessi, che ha evidenziato la “ratio” della rappresentazione posta in essere, come da programmazione, nei siti riferiti, e come la stessa abbia ricevuto positivo riscontro finanziario da parte del ministero della Cultura (Mic), e ciò per quel riferimento alla “Biblioteca dell’Università” volendo citare ,invece, la prestigiosa “Accademia dei Pericolanti” prima menzionata; inoltre nel corso della stessa si sono poste in Rassegna le Biblioteche cittadine, omettendo la citazione di quella basilare, e cioè la Biblioteca Regionale Universitaria” G. Longo” messinese, custode della memoria messinese, con 600.000 testi. Allora, pur riconoscendo la meritevolezza e la forza che, “in nuce”, alcune iniziative culturali potrebbero incarnare, ci si dovrebbe meglio orientare, approfondendo la conoscenza, in questo caso delle Biblioteche, ove si sono volute incentrare le realizzazioni teatrali. Una migliore ricerca sottostante, in uno a una promozione più adeguata avrebbero costituito più consona cornice per la assai prestigiosa “mise en espace” “de qua” che, in ogni caso, per quanto esposto, va elogiata.
Probabilmente il riferimento critico potrebbe trovare applicazione anche per molti altri spettacoli finanziati con bandi pubblici, che sovente potrebbero non assurgere “in toto” alle finalità prefissate, anche per le tempistiche di realizzazione, che in alcuni casi non consentono i necessari approfondimenti.
