"Piccolo Shakespeare", il teatro che mette le ali al carcere LE FOTO

“Piccolo Shakespeare”, il teatro che mette le ali al carcere LE FOTO

Rosaria Brancato

“Piccolo Shakespeare”, il teatro che mette le ali al carcere LE FOTO

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sabato 10 Marzo 2018 - 05:32

Inaugurato il Piccolo Shakespeare all'interno del carcere di Gazzi nell'ambito del progetto "Un teatro per sognare". Ma quello che detenuti e studenti hanno realizzato è molto di più. Come emerso nel corso di una cerimonia ricca di emozioni

Mi chiamo Vincenzo, ma tutti mi chiamano Cecè. Sono qui da tanti anni e solo adesso ho conosciuto il teatro ed è stata un’esperienza bellissima. Facendo teatro ho imparato a guardarmi dentro, ho capito bene il mio passato, il mio presente. Ho imparato ad avere fiducia, negli altri, nelle istituzioni. Un tempo per me sarebbe stato impensabile vedere una poliziotta che qui, in scena, stava insieme a noi. O stare con gli studenti, imparare con loro. Sarebbe stato impensabile. Ho cambiato anche il linguaggio. Prima dicevo: il giudice del tribunale, il direttore del carcere. Ora dico il NOSTRO giudice, il NOSTRO direttore. Il teatro ci porta a guardarci dentro e ad imparare ad essere migliori e se noi diventiamo uomini migliori anche il mondo fuori migliora. Il teatro ci rende uomini liberi e quando quella porta si aprirà anche per noi, voleremo liberi davvero”.

Ha concluso lui, Cecè, tutto d’un fiato, il pomeriggio di emozioni al carcere di Gazzi per l’inaugurazione del teatro Piccolo Shakespeare, un filo che unisce il Piccolo di Milano (che ha donato il materiale storico per allestire il foyer) e il drammaturgo inglese che secondo alcuni sarebbe originario di Messina.

In scena, in un pomeriggio piovoso fuori ma caldissimo dentro per via della passione, dei sorrisi, del calore che sprigionava da ogni parola, gli attori della Libera Compagnia del Teatro per sognare, detenuti di Gazzi che insieme agli studenti del Minutoli hanno già presentato lo scorso dicembre “Ragazzi”, tratto dai Fratelli Karamzov di Dostoevsky.

Il teatro è sacro, perché ogni cosa che parla dell’essere umano è sacra”, ricorda Flavio Albanese, attore, regista, direttore del Laboratorio teatrale del carcere e straordinario trascinatore per gli attori, Cecè, Luciano, Antonio, Teodoro, Pippo. Perché in fondo ad ognuno di noi c’è un pezzo d’inferno ma anche la fiamma della luce e se la trovi e se la alimenti t’illumina la vita.

E’ questo il progetto che ha messo le ali al sogno e che l’ex assessore Daniela Ursino, con la sua D’aRteventi, è riuscita a far diventare realtà, grazie al pieno sostegno della Direzione Regionale dell’amministrazione Penitenziaria, della Caritas, della direzione del carcere. Prezioso il supporto dell’Istiituto Minutoli, che con i docenti e gli studenti ha creato una “squadra” che riesce a rompere ogni barriera, e del liceo Basile che guidati dalla bravissima scenografa Francesca Cannavò hanno collaborato alle scenografie. Prezioso il lavoro della Polizia Penitenziaria, dell’assistente alla regia Antonio Previti.

Come ha detto Daniela Ursino, emozionata davanti ad un sipario che si apriva su una storia diversa “Più che una squadra siamo diventati una famiglia. Questo teatro è diventato un fiore all’occhiello e adesso siamo pronti a entrare in rete”.

Se è stato possibile lo è stato anche per la lungimiranza di Calogero Tessitore, direttore della casa circondariale di Gazzi, che ha seguito passo per passo il progetto del laboratorio teatrale, giunto adesso alla seconda fase. Il primo spettacolo è andato in scena a dicembre, adesso la Compagnia, sta pensando ad un’opera di Shakespeare e sta per trasformarsi in “Accademia”, in un laboratorio, come spiega Tessitore che oltre agli spettacoli consentirà anche laboratori di arti e mestieri legati al teatro (come ad esempio sartoria, scenografia): “Siamo orgogliosi di questo progetto, abbiamo trasformato l’Auditorium in teatro, abbiamo messo in scena due repliche molto apprezzate ed oggi intitoliamo il Teatro. L’attività è fondamentale, all’interno del carcere ci sono detenuti che sono impegnati anche in altri lavori. C’è chi sta ristrutturando due piani dell’edificio e questo consentirà oltre al reinserimento sociale un recupero di spazi”.

In sala, emozionati mentre viene proiettato il video dello spettacolo di dicembre, ci sono gli studenti che hanno collaborato al laboratorio, i docenti, le forze dell’ordine, le associazioni, gli attori, e mentre le immagini scorrono sembra quasi che i muri più alti, quelli che abbiamo dentro, cadano giù.

Ognuno ha piccole carceri dentro di sé in cui si abitua a vivere- ha detto l’arcivescovo di Messina monsignor Accolla- ma ha sempre l’occasione della liberazione. C’è chi vive nella cella della disperazione, della malattia, ma il percorso di liberazione si trova sempre”.

Il regista, Flavio Albanese, ha mandato un video di saluti “all’inizio eravate tutti diffidenti ma la diffidenza è stata sconfitta dal teatro, è bastato un pizzico di follia e ora pensiamo ad un’Accademia”.

Presente il dirigente generale dell’amministrazione penitenziaria Gianfranco De Gesu che si è soffermato sul valore aggiunto del laboratorio rappresentato appunto dalla mission di fare acquisire competenze esterne legate al teatro mentre Armando Punzo, che 30 anni fa “creò” nel carcere di Volterra la Compagnia della Fortezza, gettando le basi di esperienze che ormai vengono seguite nei 2/3 dei penitenziari del Paese ha raccontato la storia di un percorso nato in un periodo in cui poteva sembrare pura follia. Ma oggi è realtà che si fa anche rete, come spiegato da Vito Minoia presidente del coordinamento dei Teatri in carcere e che ha inserito anche il “Piccolo Shakespeare” nella rete nazionale “il teatro diventa un ponte con le scuole, con il contesto esterno. Gli ultimi dati indicano che attività come queste teatrali riducono la recidiva del 60%”. Il presidente del Tribunale di sorveglianza Nicola Maccamuto ha ricordato come dobbiamo imparare “a costruire una democrazia inclusiva. Il diritto da solo non garantisce la pace se non c’è il senso del dare” ed ha raccontato le esperienze dell’Ucciardone o nel carcere di Beirut o il sogno di Lollo Franco di realizzare un Festival del teatro in carcere o di portare in scena spettacoli nella Villa Pantelleria, a Palermo, confiscata alla mafia. “Il teatro- ha concluso- è verità e deve stare in rete. Il termine viene anche da carcer, carceris che significa inizio di una vita nuova”.

E la vita nuova inizia sempre quando, come dice Cecè che ha imparato “un linguaggio nuovo”, cominci a guardarti dentro e scoprire quella luce.

Ed eccolo il Piccolo Shakespeare, dietro le mura di Gazzi, una piccola grande sala che illumina Messina. Una piccola cerimonia, con l’ultimo tocco dato dai dolci preparati dagli studenti dell’Antonello.

Ed eccola la Messina più bella, quella che non conosciamo mai abbastanza, quella che ci rende migliori anche se non ce lo meritiamo.

Rosaria Brancato

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