La rivoluzione culturale di Tiziana De Maria: "Messina a misura di tutti"

La rivoluzione culturale di Tiziana De Maria: “Messina a misura di tutti”

Giuseppe Fontana

La rivoluzione culturale di Tiziana De Maria: “Messina a misura di tutti”

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domenica 13 Marzo 2022 - 07:10

La sua disabilità non l'ha mai fermata e dopo anni di studi, master e dottorato è tornata in città e ha fondato Yukker: "Serve una rivoluzione nel pensare la disabilità"

MESSINA – “Spero davvero che Messina diventi una città a misura di tutti. Non solo dal punto di vista fisico ma culturale e sociale”. Il messaggio che ci lancia la dottoressa Tiziana De Maria, bis-laureata all’UniMe, con un master preso a Roma e un dottorato internazionale alla Ca’ Foscari di Venezia, è semplice. Nel 2022, può una città come Messina, che vanta oltre 200mila abitanti, essere ancora un luogo difficile da vivere per chi ha a che fare con una disabilità? Lo abbiamo chiesto proprio a lei, la fondatrice di Yukker, il portale (disponibile sia sul web sia in formato app) che vuole aiutare chi ha disabilità a raggiungere la propria autonomia, grazie al supporto di operatori specializzati e formati. E con lei abbiamo fatto un patto: raccontare le storie delle persone con disabilità mettendo al centro le persone stesse.

Tiziana, la tua disabilità non ti ha mai fermata: Messina, Roma, Venezia e poi di nuovo Messina

Io sono focomelica dalla nascita, priva degli arti superiori. Ma questa disabilità per me non è stata mai un ostacolo, anzi non mi sono mai posta limiti. Ogni obiettivo che ho voluto intraprendere sono riuscita a raggiungerlo. A partire dagli studi: ho preso due lauree qui all’Università di Messina, poi ho completato un master a Roma e frequentato un dottorato di ricerca in management all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Un dottorato internazionale in cui ero l’unica italiana.

Spostarsi dalla propria città è sempre una scelta importante, a maggior ragione per chi ha una disabilità. Ovvio che all’inizio ti chiedi: come fai? Ma ho sempre dato priorità agli obiettivi che mi sono prefissata. Piuttosto che dire no e rinunciare ho sempre preferito trovare un modo per raggiungere l’obiettivo.

Qual è stato il momento più complicato?

In questo senso l’impegno più difficile è stato sicuramente il dottorato di ricerca, perché sono stata fuori per 3 anni e mezzo. Mi ha seguito mia madre, che è venuta con me ed è rimasta al mio fianco. Ma ho anche usufruito di un progetto di vita indipendente. Sono progetti sperimentali, finanziati con fondi ministeriali, attraversi bandi regionali cui possono accedere i vari distretti socio-sanitari. Sono servizi fruibili dal centro-nord e chi ha disabilità può richiedere servizi di vita indipendente oltre a quelli di assistenza domiciliare. Ma al Sud non esistono.

Consistono nel mettere in regola una persona che fa assistenza, decidendo le modalità e le tempistiche. Poi l’assistente viene pagato con fondi pubblici, ti viene finanziato questo costo. Al Sud non c’è niente di tutto questo per questo il Ministero mette a bando dei singoli progetti sperimentali proprio per cercare di ridurre questo gap tra Nord e Sud. So soltanto che a livello regionale qualcuno ha avanzato una proposta simile, ma manca anche una semplice regolamentazione per la Vita Indipendente, perché questi servizi possano rientrare tra quelli ordinari che possono essere fruiti dall’utenza.

Poi è tornata a Messina, all’UniMe da cui è partito il suo percorso professionale: contenta di averlo fatto?

Sì, poi sono tornata, partecipando a un concorso all’Università di Messina e vincendolo. Quindi dal 2016 lavoro all’Unime. Sono molto contenta di essere tornata, anche se fare esperienza fuori è importantissimo. Lo è per tutti, a me ha aperto nuove frontiere. Ho conosciuto nuove culture, vivere fuori ti apre nuove prospettive, ampli le tue vedute anche facendo il paragone.

Ma io sono di quelle che pensano di non voler scappare, rimboccarsi le maniche e fare il possibile. Così nasce Yukker, perché ho fuso i miei studi e questa mia voglia per tentare di dare assistenza e indipendenza a chi ha bisogno. Visto che attraverso le istituzioni locali non è possibile accedere a servizi di assistenza per una vita indipendente, perché non inventare qualcosa, uno strumento, che possa dare questa indipendenza a chi ha bisogno?

Qual è l’idea di Yukker e come funziona?

Yukker coinvolge chi ha bisogno e chi può fornire assistenza. Gli operatori si iscrivono e devono essere approvati. A noi forniscono documenti e curriculum, poi vengono contattati da un nostro tutor, uno psicologo, che fa una selezione dopo un colloquio conoscitivo. Superato questo passaggio l’operatore deve svolgere un corso formativo online. Superato anche questo, vengono seguiti dai nostri tutor, che di volta in volta ottiene feedback su come si siano trovati con gli utenti.

E dall’altra parte gli utenti possono e devono lasciare una recensione alla fine del servizio. Anche questo, oltre al fatto che si tratta di operatori referenziati e selezionati, permette all’utente di capire meglio quale persona scegliere. E inoltre abbiamo creato un sistema di coccarde. Nel senso che ogni operatore ha una coccarda di un colore in base alle caratteristiche: ad esempio è dorata quella che guadagna chi ha lauree psico-pedagogiche o attestati Osa.

Yukker ha debuttato a novembre: come sono stati questi primi mesi?

Ci siamo stupiti della dinamica che si è innestata. Abbiamo avuto molti operatori che si sono iscritti. Attualmente sono più di 25. Purtroppo però il periodo della pandemia ha rallentato tutto, perché gli utenti sono molto spaventati. In questi primi mesi abbiamo avuto richieste soprattutto nel trasporto per andare a svolgere visite mediche, ad esempio, rispetto alle semplici uscite per socializzare. I profili? Sono soprattutto persone con difficoltà motorie.

Proprio adesso è arrivata una richiesta di una signora che chiede trasporto per uscire con gli amici: deve essere presa a casa, portata al locale e poi riportata. Ecco, questo mi fa ben sperare. Mi piacerebbe che l’app fosse utilizzata anche per la vita sociale, per lo svago e il divertimento. I servizi in ogni caso non riguardano soltanto il movimento, ma c’è anche l’assistenza a casa, igiene, cura, le spese e le commissioni. Sono vari. Aspettiamo solo che si superi la paura della pandemia.

Al di là della pandemia, come ha reagito Messina?

Su Messina è stata una sfida culturale. Secondo me le persone con disabilità non sono molto abituate a rendersi indipendenti. Sicuramente fa affidamento al supporto familiare, e allo stesso tempo è la stessa famiglia ad avere questo senso di protezione. Vorrei lanciare questo messaggio: il supporto familiare è fondamentale, è bellissimo, ma è anche bello poter rendere indipendenti i propri figli, affidandosi a chi svolge questi servizi con cuore e passione. L’indipendenza è fondamentale, quindi lo diventa anche cercare delle vie alternative.

Un’indipendenza che passa anche dalla città. Messina è pronta?

Se si va in giro per la città di Messina credo che la situazione sia abbastanza palese. Pensiamo alle barriere architettoniche. Io guardo spesso gli scivoli, a volte sono impraticabili. Da normativa ci sono delle pendenze e dei criteri da rispettare e invece ne vedo tanti improponibili per chi in carrozzina deve spostarsi da solo. A parte questo bisognerebbe fare proprio un passaggio culturale. L’idea che la persona con disabilità possa e debba vivere la città in maniera autonoma. Un argomento da affrontare. Ad esempio, è importante la sensibilizzazione nelle nuove generazioni.

Come si porta avanti questa rivoluzione culturale?

Io faccio parte dell’associazione “Senza barriere” e per qualche anno siamo andati anche nelle scuole a parlarne coi ragazzi di medie e superiori. Parlavamo degli ostacoli ma anche e soprattutto di come le persone con disabilità debbano essere considerate persone appunto. Diventa importante far passare il messaggio anche attraverso i media, perché per una rivoluzione culturale devono essere raccontate le storie di persone con disabilità ponendo al centro non quest’ultima ma la persona. Bisogna dare spazio a loro, cambiando l’immagine e passando da un disabile che va “aiutato” a vedere invece la “risorsa”. Parliamo di persone capaci, piene di passioni, che possono dare un grande apporto alla comunità.

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