L'altro Antonello da Messina che nessuno conosce: eroe al cospetto di Maometto II

L’altro Antonello da Messina che nessuno conosce: eroe al cospetto di Maometto II

Daniele Ferrara

L’altro Antonello da Messina che nessuno conosce: eroe al cospetto di Maometto II

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mercoledì 29 Maggio 2019 - 08:45

La storia di Antonello, pescatore fatto schiavo che incendiò l'arsenale di Gallipoli durante la guerra turco-veneziana

1453: con una delle last stand più famose della storia, l’ultimo Imperatore Romano d’Oriente, Costantino XI Dragases Paleologo, era morto nella disperata battaglia per difendere Costantinopoli, capitale e uno degli ultimi baluardi, contro il sultano Maometto II degli Ottomani; l’ultimo lascito della romanità era caduto e il Turco s’era guadagnato il soprannome di Conquistatore, avendo espugnata la più poderosa città del mondo.

Da quel momento, l’avanzata turca fu baldanzosa, e nelle parole del Sultano mirava a raggiungere Roma. Eppure, a lungo l’unica potenza avversa agli Ottomani fu la Repubblica di Venezia, che deteneva dominî e interessi in Grecia e nell’Egeo, come l’Eubea; appunto, si parla della Prima Guerra Turco-veneziana. Persa Calcide, tutta l’Eubea era finita in mano turca. Toccò al Capitan General da Mar in carica, Pietro Mocenigo, risollevare le sorti della guerra. Varie azioni vittoriose furono condotte contro le coste anatoliche, ma non si arrivò allo scontro con la flotta ormeggiata nel porto di Gallipoli in Tracia – più di duecento navi, e cento nuove se ne allestivano.

C’era nella marina veneziana uno straniero, un certo Antonio detto Antonello, siciliano di Messina; giovane virtuoso, era egli nato pescatore ma si era trasferito presto in Eubea, dov’era stato fatto schiavo alla conquista e messo a lavorare nell’arsenale di Gallipoli; per tutto il tempo aveva memorizzato i dettagli del luogo e i ritmi delle guardie e, gonfio del desio di vendetta, dopo la fuga si era arruolato e quelle informazioni ora le metteva a disposizione di Venezia. Era il 1472.

Antonello si presentò a Mocenigo mentre aveva base a Nauplia e si offrì di compiere la pericolosissima e quasi impossibile missione di fare saltare l’arsenale per privare il nuovo Impero delle sue nuove navi e degli armamenti d’altre centinaia, anche a costo della vita; Mocenigo gli accordò il permesso, così egli scelse sei uomini ardimentosi e prese l’imbarcazione e i materiali incendiari che il General da Mar diede loro, e partì.

La nave giunse ai Dardanelli con un carico d’arance sotto al quale si celava l’esplosivo, che servì ad arginare i controlli ottomani e raggiungere Gallipoli nottetempo. Con la guida sicura di Antonello, la squadra penetrò nell’arsenale e collocò le sostanze infiammabili in punti strategici; al segnale del Messinese, il fuoco fu appiccato e si scatenò l’inferno.

Appena il personale e i militari accorsero a spegnere l’immenso incendio, Antonello e i compagni si ritrassero, ma non ripresero subito il mare: dapprima si mescolarono alla gente attonita che accorreva – contemplando il proprio operato –, poi tornarono al natante, ma lì scoprirono che anche a esso stava attecchendo un robusto fuoco (conteneva altro materiale infiammabile), richiamando l’attenzione delle guardie; dovettero perciò affondarlo e raggiungere la riva a nuoto per nascondersi nei boschi, ma furono trovati e nella colluttazione che seguì uno dei compagni fu ucciso, mentre Antonello e gli altri furono catturati e portati al cospetto di Maometto II stesso.

Se aveva paura, Antonello la celò bene: confessò con orgoglio d’essere l’autore della devastazione e redarguì il Sultano che si trovava davanti chiamandolo flagello dei popoli e distruttore di stati, aggiungendo che con quell’attacco lui non aveva fatto altro che compiere il proprio dovere di uomo d’onore. Ascoltata in silenzio l’infiammata orazione del Siciliano, forse Maometto provò ammirazione per lui, poiché ordinò che gl’incursori venissero subito decapitati, rinunciando ai terribili metodi d’uccisione pei quali gli Ottomani s’erano fatti conoscere (anche se un altro resoconto riferisce appunto una morte crudele).

Ci vollero dieci giorni per riuscire a spegnere l’incendio all’arsenale; il danno economico e bellico per l’Impero fu enorme, ma non bastò a Venezia per vincere la guerra. La Serenissima tributò grandi onori alle famiglie degli incursori e fu mandato un ufficiale a Messina per consegnare ai due fratelli e alla sorella di Antonello sentiti omaggi e una grossa somma.

Novantanove anni dopo, la Battaglia di Lepanto: la flotta ottomana viene sconfitta da quella congiunta degli stati cristiani, fra i quali il Regno di Sicilia.

I dettagli su questa storia e sul suo protagonista sono rintracciabili esclusivamente in fonti venete, in quanto i fatti sembrano essere stati completamente dimenticati in patria. È chiaro, comunque, che ci troviamo probabilmente davanti al primo kommando degno di tale nome nella storia.

Se oggi scriviamo di Antonello, è perché vogliamo che venga ricordato, facendo appello all’amor di patria d’intellettuali, politici e cittadini. Oggi quell’avversario non esiste più e il popolo dell’Anatolia è nostro amico, ma in quella guerra Antonello di Messina si distinse con coraggio e abnegazione affinché il nemico non avesse a prevalere sui nostri stati. Onore a lui.

Daniele Ferrara

2 commenti

  1. antonio barbera 29 Maggio 2019 12:53

    interessante e documentato articolo di storia messinese poco conosciuta , complimenti all’autore.

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  2. Articoli cosi interessanti dovrebbero essere sempre più frequenti tra le pagine di Tempo Stretto, forse chissà si riuscirebbe a far capire che popò di antenati hanno avuto anche quegli imbecilli che sono stati capaci di fare solo la “popò”( di cui son fatti) nella piscina di Villa Dante, all’indomani della inaugurazione di qualche giorno fa. Ovviamente un plauso particolare all’autore dell’articolo.

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