L'arrivederci a Messina, i premi e l'ingegneria clinica: la storia di Michele Gazzara

L’arrivederci a Messina, i premi e l’ingegneria clinica: la storia di Michele Gazzara

Giuseppe Fontana

L’arrivederci a Messina, i premi e l’ingegneria clinica: la storia di Michele Gazzara

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domenica 30 Novembre 2025 - 08:30

Partito per studiare a Milano, oggi è membro di Oltrestretto e il legame con la sua terra resta saldo: "Essere siciliano mi ha aiutato"

MILANO – A giugno Michele Gazzara, originario di Villafranca Tirrena, ha vinto un premio indetto dall’Aiic, l’Associazione italiana ingegneri clinici, nella categoria “Progettazione degli spazi e delle strutture ospedaliere”. Ma la storia del messinese, ingegnere clinico, parte da lontano. Parte da un arrivederci alla sua città, non per questioni di “snobismo”, ma per esigenza. L’esigenza di studiare qualcosa che, all’epoca, a Messina non c’era.

Il racconto di Michele Gazzara

A raccontarlo a Tempostretto è stato lo stesso ingegnere, che ha spiegato: “A 18 anni ho deciso di andare via ma per un motivo molto semplice: ciò che volevo fare non si poteva fare a Messina. Ho studiato ingegneria biomedica e allora non c’era la facoltà in città. La più vicina era a Palermo, oppure in Calabria. Ma parlavamo anche di facoltà poco rodate, aperte da poco. A quel punto ho deciso di intraprendere una strada diversa verso il Politecnico di Milano. Oggi ingegneria biomedica c’è anche a Messina. Probabilmente, se ci fosse stata all’epoca, sarei rimasto”.

“Mi sono dovuto confrontare con una città molto diversa dai contesti a cui ero abituato. Anche molto più cara”, ha spiegato Michele. Che ha anche sottolineato di aver lavorato per un po’ in altri ambiti, contemporaneamente allo studio. Ma dopo 5 anni il primo passo è stato compiuto: “Sono riuscito a fare tutto nei tempi e ho iniziato a lavorare. Inizialmente facevo qualcosa di completamente diverso perché mi piaceva la sfida della consulenza. Un’esperienza lavorativa comunque importante per me, per partire, e che mi ha responsabilizzato. Ho lavorato per quest’azienda che aveva clienti grossi. Così ho potuto lavorare su progetti sfidanti”.

Il ritorno a Messina e il “contro-ritorno” a Milano

Dopo tre anni e mezzo, fino al 2021, il messinese ha quindi lavorato su questi progetti. E poi? “Poi c’è stato il Covid. In quegli anni ero tornato a lavorare a Messina, visto che ci era concesso di lavorare full remote. Per quasi un anno sono rimasto in città, prima di tornare a Milano nel maggio 2021 per finalizzare il mio passaggio all’azienda per cui lavoro attualmente, in un gruppo ospedaliero privato”. Da qui parte un’altra storia: “Il Covid mi ha fatto capire che era arrivato il momento per la sanità di cambiare. Io immaginavo come stavano cambiando gli ospedali e mi dispiaceva essere fuori da questo fermento. Per questo ho cercato questa opportunità per cambiare. Nel gruppo ospedaliero ho iniziato a lavorare come ingegnere clinico”. A Milano, inoltre, “ho avuto anche la possibilità di coltivare la mia passione per l’enogastronomia. Ho ottenuto la qualifica di sommelier e spesso partecipo ad eventi enologici come la presentazione di guide specialistiche del settore proprio in veste di sommelier”.

Il premio

Da lì si è arrivati a diversi progetti fino al premio che Gazzara ha ricevuto nel giugno scorso al XXV Convegno Nazionale dell’Aiic. Il messinese è stato uno dei 12 vincitori grazie a un progetto sulla rifunzionalizzazione del laboratorio di analisi cliniche di un ospedale di alta specializzazione. L’idea si concentrava sul ripensare in maniera più efficiente l’utilizzo degli spazi. E sull’introduzione della Total Lab Automation (Tla, Automazione totale di laboratorio) per le aree di Chimica Clinica, Immunochimica, Sieroproteine e Coagulazione.

Il sogno

E dopo il premio? Gazzara guarda avanti: “Il mio sogno personale è portare un po’ questa cultura dell’ingegneria clinica nelle strutture del Sud. Io faccio parte dell’Aiic, che è un’associazione comunque recente, nata una trentina di anni fa. In Sicilia manca questa figura negli ospedali e invece è una figura chiave per gestire la transizione verso una Sanità 4.0. La digitalizzazione, l’integrazione delle tecnologie a supporto della clinica e la condivisione delle informazioni sono ormai la base. Io vorrei continuare a gestire quest’innovazione, perché ci sarà bisogno di far fronte a tantissime sfide”.

E ancora: “I bisogni della popolazione cambieranno: diventeremo sempre più vecchi. Bisognerà pensare a un’assistenza delocalizzata, al remotaggio di prestazioni che oggi si tengono soltanto negli ospedali. E aggiungo la rivoluzione dell’intelligenza artificiale, un’opportunità ma anche un rischio. I robot autonomi per gli interventi, le macchine che un giorno lavoreranno autonomamente. Le sfide saranno tante sull’automazione dei processi. Ma questo non significherà tagliare il lavoro alle persone. Solo che si lasceranno alle macchine cose più noiose e stancanti”.

Il legame con Messina e l’associazione Oltrestretto

Nonostante la sua vita “lontano” dallo Stretto, l’ingegnere non ha mai perso il proprio legame con Messina. Non a caso è parte dell’associazione Oltrestretto, che riunisce gli expat messinesi: “Sono andato via per un sogno, non per snobismo o altro. In Sicilia ho quella che io chiamo ‘casa’, pur abitando a Milano da quasi 15 anni. Il legame con la mia città è sicuramente forte. Per me sarebbe un sogno portare i modelli di gestione che vivo qui ogni giorno in contesti come il nostro, la Sicilia. Oltrestretto è un’altra chiave per restare sempre in contatto. È una realtà bella e stimolante che dà modo agli expat di sentirsi vicini alla propria terra ma anche modo a chi non è andato via di acquisire modelli ed esperienza da chi è fuori. Molte cose giù potrebbero funzionare meglio? Sì, dalla sanità al turismo e alle infrastrutture. Ma Milano non è l’Eden. Infatti tanti messinesi sono sparsi in Europa, non tutti qui”.

Michele e “l’essere siciliano”

“L’essere siciliano – ha proseguito – mi ha aiutato molto nella mia esperienza. Veniamo da un contesto in cui spesso hai bisogno di inventiva, di guardare fuori dagli schemi. Capita di non aver tutto a portata di mano e da lì ti nasce la spinta a superare questi ostacoli. Questa caratteristica la porto con me e viene molto apprezzata qui al Nord. Il nostro essere isolani ci porta a essere quasi autoconsistenti, no? Perché sai che trovi dentro di te le risorse per farcela sempre”.

Infine un messaggio su cosa servirà cambiare: “Bisogna concepire in maniera diversa l’organizzazione sanitaria. Questo fenomeno è partito dagli Usa ed è arrivato in Europa, ma anche a Milano c’è ancora tanto da lavorare. Fino a 40 anni fa era tutto in mano ai medici, poi man mano sono nate altre figure. Oggi c’è molta più tecnologia rispetto a quando era tutta pratica clinica. Pensiamo ai laboratori: oggi il lavoro è molto più automatico e rapido, meno artigianale, potremmo dire. Questa evoluzione però è stata un processo. In Sicilia forse siamo ancora uno step prima rispetto a questa sanità 4.0. Ma non è una questione di risorse economiche, anche se conta. Bisogna cambiare il modo di pensare”.

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