"Lupo" di Carmelo Vassallo: un cuntu di terra e di mare

“Lupo” di Carmelo Vassallo: un cuntu di terra e di mare

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“Lupo” di Carmelo Vassallo: un cuntu di terra e di mare

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sabato 15 Febbraio 2020 - 13:19

Un'intensa performance di Giovanni Arezzo e Mario Opinato, nell'ambito della rassegna Altrescene del Teatro Mobile di Catania.

Non è facile trasmettere l’intensità della performance di Giovanni Arezzo e Mario Opinato in “Lupo” di Carmelo Vassallo lo scorso fine settimana presso lo spazio Zō, nell’ambito della rassegna Altrescene del Teatro Mobile di Catania.Nel quadro della scenografia di Alessia Zarcone, tanto semplice quanto versatile nel divenire un tutt’uno con la rappresentazione, con la semplicità tragica di un antico cunto si snoda il rapporto tra Cosimo e Lupo. Il prologo, il dialogo, il monologo, i fuori scena, la narrazione indiretta, l’intersezione tra interno ed esterno, insieme all’elemento linguistico, istituiscono con grande immediatezza sensoriale “u’ fattu”, immergendo nel suo sviluppo.Lo spazio sociale costrittivo e non quello naturale e libero del mare è infatti il vero antagonista dei personaggi, un vicolo catanese in cui affacciarsi, discendere, presentarsi o meno, significano la ferita tra storia e natura, spontaneità e società, libertà e giudizio, gioia e mortificazione

Il fascino del testo si esprime nella delicatezza del rapporto di identificazione-attrazione, crescita e complicità che coinvolge e isola sempre più i co-protagonisti, in un climax che raggiunge l’acme in un elemento modernamente ed ellenisticamente minimale: lo sfiorarsi di un braccio durante una partita di biliardino, fazzoletto di Desdemona della rappresentazione. Se Lupo-Opinato resta per tutta la prima parte del testo espressione di spontaneità potentemente fisica e naturale, con il suo picco nel magistrale monologo sulle stelle che diventano ricci, autentica gemma dell’Autore, ad Arezzo nelle non-vesti di Cosimo resta la difficoltà e tutta la delicatezza di esprimere sulla sua pelle nuda la reazione a ciò che per Lupo risuona in lui, un “femminile” temuto per proibizione tanto implicita e inconscia quanto radicata in un ancora persistente sessismo.

L’autogiudizio tra il sipario dei panni stesi, proprio perché anonimo, diviene talmente potente da condensarsi nell’ossessione e nell’incubo, fino alla incomunicabilità solo verbale da parte di Cosimo, e da qui la bravura di Arezzo, cui Lupo reagisce inconsapevolmente con una disposizione complementare che nello smarrimento si fa offerta e richiesta di protezione e conforto (“cunotto”). Ed è laddove in realtà il rapporto potrebbe condensarsi che avviene il colpo di scena, l’atto che trasformerà Lupo e Cosimo in fatto incomprensibile e anonimo per chi non vi acceda tramite la via immortale del théatron.Una rappresentazione eccellente, testimoniata dal numero delle chiamate dei due Attori da parte di un pubblico attento e commosso.

La prova linguistica perfetta nella veracità del dialetto mostra come questa edizione del testo possa accostarsi alle proposte di altri eccellenti scuole che aiutano a ricomprendere come il teatro cosiddetto regionale sia la vera avanguardia europea, più ancora di una inesistente tradizione nazionale.Giovanni Arezzo continua, con la sua intensa e ricca personalità artistica, a mostrarsi una delle punte più promettenti del panorama attoriale contemporaneo. Ottima per il ritmo e le scelte la regia di Guglielmo Ferro, densa di significativi richiami (in alcuni tratti la figura di Cosimo-Arezzo potrebbe rammentare prove dell’indimenticabile Troisi).Si auspica che tale produzione, un vero e proprio gioiello che scardina ogni superficiale lettura sociologica elevandola al livello liberante del Mito (il reciproco richiamo di Lupo e Cosimo nei loro ululati tra mare e terra) possa essere ancora replicata e meglio riconosciuta per la bellezza del testo e l’espressività della sua resa.

Gabriele Blundo Canto

LE FOTO DI Francesco Maria Attardi

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