In piazza contro la violenza sulle donne: « Riprendiamoci la libertà!»

In piazza contro la violenza sulle donne: « Riprendiamoci la libertà!»

In piazza contro la violenza sulle donne: « Riprendiamoci la libertà!»

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domenica 01 Ottobre 2017 - 07:14

L’appello lanciato dalla Cgil ha ricevuto molte adesioni dal mondo della cultura, dell'associazionismo, del giornalismo, dello sport. Vi proponiamo l’intervento di Clara Crocè durante la manifestazione a Piazza Cairoli

Riprendiamoci la libertà! E’ questo l’urlo che oggi rimboma nelle piazze italiane, è questo l’urlo che deve partire anche da questa piazza per dire no alla violenza sulle donne, alla depenalizzazione dello stalking, agli abusi e ai soprusi, siano essi fisici, siano essi psicologici, che vengano perpetrati ai danni di donne più o meno giovani, destinate ad essere per sempre segnate dalle violenze subite nella loro sfera più intima.

Facendo questa affermazione mi rivolgo soprattutto agli uomini che oggi hanno deciso di condividere con la propria compagna, la propria moglie, con un’amica, un’iniziativa che li chiama direttamente in causa, perché rappresentanti di una dimensione umana spesso colpevole di utilizzare la propria superiorità fisica per imporre il proprio pensiero su donne sempre più emancipate e capaci di affermare se stesse anche nel mondo del lavoro. Uomini incapaci di accettare punti diversi dai loro, incapaci di affrontare i problemi con il dialogo. Perché la violenza può essere sia di tipo fisico, indubbiamente tra le più insopportabili forme di violenza perpetrabili nei confronti delle donne, ma anche di tipo psicologico, in famiglia o sul posto di lavoro.

I tanti anni di attività sindacale svolta sul territorio, a contatto diretto con tanti lavoratori e tante lavoratrici, mi hanno permesso di raccogliere le testimonianze e gli sfoghi di donne, mamme e lavoratrici, vittime di compagni violenti o diventati violenti a causa delle ormai croniche difficoltà economiche che vivono centinaia di famiglie. Spesso è proprio il disagio economico a diventare motivo di rabbia e frustrazione tra le mura domestiche, che diventano così una gabbia e non un luogo di rifugio. Parliamo dunque di una forma di “violenza economica”, un altro volto di violenza psicologica in cui la donna, a causa di un’iniqua distribuzione economica che consente all’uomo di mantenere un controllo sulla propria compagna, nel momento in cui quest’ultima cerca di affermare la propria indipendenza viene messa all’angolo. Il concetto di “violenza economica” è stato forgiato appena negli anni Novanta dai centri antiviolenza e dalle avvocate di donne in situazioni di violenza. La correlazione tra denaro e potere diventa sempre più evidente, ma solo una minoranza di donne in situazione di violenza è consapevole di subire anche violenza economica. Per lo più, infatti, le ristrettezze economiche vengono viste come una condizione aggravante della loro relazione violenta.

E che dire poi delle forme di violenza sul posto di lavoro: tanti i casi di donne costrette a lavorare in nero, senza alcuna forma di tutela, costrette a rimanere in silenzio perché timorose, in caso di denuncia della propria condizione, di perdere anche il posto di lavoro.

Negli ultimi anni, nostro malgrado, sono stati tanti i casi in cui la provincia di Messina è finita sulle pagine delle cronache nazionali a causa di episodi di violenza ai danni di giovani donne.

Come non ricordare, su tutti, il caso del povera Omayma Benghaloum, la giovane 33enne tunisina, mediatrice culturale impiegata presso l’Ufficio IMMGIRAZIONE della Questura di Messina, rimasta uccisa per mano del marito, la notte del 4 settembre 2015 perché attardatasi fino a notte inoltrata a lavoro, in quanto impegnata nelle operazioni di sbarco in corso al porto di Messina. Un dramma nel dramma, quello consumatosi in riva allo Stretto, in cui la violenza su una donna si è manifestata nella peggiore delle forme, lasciando “vittime”, fortunatamente solo in senso figurato, le 4 figlie di OMAYMA, all’epoca dei fatti di età compresa tra i 2 e i 13 anni. E poi ancora il caso di Ylenia Bonavera, a cui il fidanzato ha tentato di fare fuoco; altri casi più recenti, nell’aprile e nel settembre 2017, di uomini denunciati per pesanti forme di stalking. Un accenno non può non essere fatto anche alla vicenda consumatasi nel comune di Tre Castagni, violentata durante il suo turno in Guardia Medica. Un caso che ci ha lasciati senza parole e che, in particolare, come CGIL e come funzione pubblica, ci porta ad interrogarci sulla necessità di pensare ad una riorganizzazione del personale impiegato in quei servizi di “prima linea”, in cui appare fondamentale la conmprensenza di due lavoratori per turno, siano essi uomini, siano essi donne.

La “lista nera” sarebbe ancora lunga, diverse le modalità di violenza, identico il problema di base: una serie continua di azioni diverse caratterizzate da uno scopo comune: il dominio e il controllo da parte di un partner sull’altro, attraverso violenze psicologiche, fisiche, economiche, sessuali.

Ai fatti si uniscono i numeri: secondo l’Istat 6 milioni 788 mila donne hanno subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, 3 milioni 466 mila donne hanno subìto, nel corso della loro vita, forme di stalking, ovvero il 16,1% delle donne. Di queste, 1 milione 524 mila l’ha subìta dall’ex partner. Le donne separate o divorziate hanno subìto violenze fisiche o sessuali in misura maggiore rispetto alle altre (51,4% contro 31,5%), perché sono i partner (attuali o ex) a commettere le violenze più gravi. Il 62,7% degli stupri è commesso da un partner attuale o precedente. Numeri preoccupanti, ma che fortunatamente, sempre quanto indicato dall’Istat, negli ultimi 5 anni

sono passate dal 13,3% all’11,3%, rispetto ai 5 anni precedenti il 2006. Ciò grazie ad una maggiore informazione e attività di prevenzione sul territorio, ed ad iniziative di sensibilizzazione proprio come quella organizzata dalla CGIL.

Rispetto al passato, le donne sempre più spesso considerano la violenza subìta un reato e la denunciano di più alle forze dell’ordine, sempre più frequentemente ne parlano con qualcuno (dal 67,8% al 75,9%) e cercano aiuto presso i servizi specializzati, centri antiviolenza, sportelli.

In questa occasione mi piace ricordare il caso di una donna di cui la nostra organizzazione, ed in particolare il coordinamento provinciale donne della CGIL, ha personalmente seguito: è la storia di Maria, nome di fantasia, rimasta vittima della violenza dell’ex-marito proprio sul luogo di lavoro. Quando l’ho incontrata, ricordo che la cosa che più faceva soffrire Maira era, nonostante la denuncia presentata alle forze dell’ordine, di non riuscire a sentirsi più al sicuro. Lo dimostra il fatto che l’uomo, nel dicembre del 2014, dopo essersi camuffato tra i colleghi della moglie indossando la medesima divisa da lavoro, è riuscito ad avvicinarla sfregiandola in viso con un taglierino nascosto in bocca. La CGIL ha personalmente seguito la storia di Maria, ed ancora adesso è al suo fianco.

Tutto quello che vi dico e che questa sera ci diremo, è soprattutto un pensiero che rivolgo alle tante donne che oggi, contro la loro volontà, e dunque per volontà di mariti, compagni o datori di lavoro violenti, non hanno avuto la possibilità di essere qui. Le mie sono però parole rivolte anche alle tante OMAYMA che a causa di uomini di tale specie, hanno visto tragicamente interrotta la loro vita. Ed anche noi, in parte, dobbiamo sentirci responsabili di queste tragiche scomparse, e lo è anche chi siede tra gli scranni di quel governo a cui chiediamo una risposta seria ed un impegno costante e continuativo nella ricerca e promozione di soluzioni efficaci di contrasto, nonché di un investimento concreto nella prevenzione del fenomeno.

Promuovere e rafforzare sistematicamente la sensibilizzazione e la formazione, fare prevenzione e mettere in rete la varietà di istituzioni, soggetti e servizi presenti in Italia, e mettere in campo risorse materiali e finanziamenti stabili, rappresentano l'unico modo per migliorare la capacità di affrontare un problema sociale che ogni giorno si rivela sempre più grave e drammatico.

Crediamo, infatti, che il primo passo per fermare la violenza sia la prevenzione e la sensibilizzazione, fondamentali per innescare il cambiamento culturale di cui abbiamo bisogno. Perché la violenza contro le donne non è un fatto privato, ma riguarda tutti noi. È la stessa Convenzione di Istanbul – vincolante per il nostro Paese – che ribadisce la priorità di intervenire in prevenzione e sensibilizzazione per un reale cambiamento, che può concretizzarsi solo a fronte di una consapevolezza crescente dei decisori politici, che sollecitiamo quotidianamente.

Clara Crocè

Un commento

  1. CGIL MA QUANTE ITALIANE SONO STATE STUPRATE FINO AD IERI DA CLANDESTINI? DA VOI PROTETTI E VOLUTI IN ITALIA? MI PARE CHE SI CHIAMA IPOCRISIA.

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