Gli intrecci societari al centro dell'inchiesta sfociata nel sequestro di beni a Lo Castro e Panarello, dall'asta dell'hotel Jolly agli alberghi in Toscana
Il maxi sequestro scattato ieri sul patrimonio degli avvocati Andrea Lo Castro e Francesco Bagnato suggerisce che la Guardia di Finanza e gli altri investigatori non abbiano mai “perso di vista” i due professionisti messinesi. Nelle carte analizzate dagli investigatori e confluite in parte nel provvedimento di sequestro ci sono infatti soprattutto le principali operazioni immobiliari compiute dal duo in oltre dieci anni. E fu proprio il GiCo nel 2019 a far scattare l’operazione Default che portò all’arresto di entrambi. Allora al centro dell’inchiesta c’erano alcune società come la Sicaimm. Che oggi vengono “congelate” perché, secondo gli investigatori, con quelle operazioni sospette i due hanno riutilizzato i proventi dei reati analizzati nei processi Default e Beta (il primo prossimo alla sentenza, il secondo concluso in via definitiva), continuando ad operare anche negli anni del processo.
L’operazione Default
Con l’operazione Default il Gico della Finanza, coordinata dal pm Francesco Massara, portò in carcere Lo Castro, dopo 19 mesi di domiciliari, dopo aver spiato per mesi le sue conversazioni grazie alle cimici piazzate nello studio di corso Cavour sequestrato ieri. Coinvolto anche Bagnato. Le accuse erano, a vario titolo, di evasione fiscale, bancarotta fraudolenta, riciclaggio e autoriciclaggio. Al centro dell’indagine un vero e proprio “sistema” per pilotare la vita delle società “decotte” e salvarne parte del patrimonio, soprattutto immobiliare, intascandone una buona parte personalmente. Prima come consulenti, poi inserendosi in prima persona come soci – a volte attraverso prestanome – i professionisti riuscivano a sottrarre ai creditori somme e possedimenti delle imprese in difficoltà. Un sistema di “fare impresa alla messinese”, intervenendo con escamotage più o meno legali per evadere il fisco, non pagare i creditori, aggirare le leggi, messo in piedi da professionisti che così lucravano sugli stessi imprenditori dei quali sovente decretavano le fortune prima e la “morte” dopo.
Gli hotel in Toscana
Tra queste operazioni una è legata ad una fetta di storia di Messina: l’acquisizione all’asta e il successivo passaggio di mano dell’immobile della cortina del Porto che ospitò il Jolly Hotel. Sotto sequestro erano andati anche il Grand Hotel Terme di Chianciano, Hotel Italia di Chianciano e il Palazzo di Leonina della famiglia D’Amico, un fabbricato nella zona industriale e un terreno di Pace del Mela, il fabbricato di via La Farina n. 144 a Messina, un edificio e il terreno intorno di contrada Lazzaro a Motta San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, altri terreni nello stesso Comune, i rami d’azienda della Baden Sr, la Consoter srl, Italiana Immobiliare, somme in contanti – circa 286 mila euro e poco meno di 250 mila, sui conti della B&M e della 2B presso la Banca di Credito Peloritano. Una parte di quel patrimonio torna ora sotto sequestro,
Al centro del processo Default c’erano quindi gli affari tra la famiglia D’Amico e Lo Castro, già sotto la lente anni fa per una operazione di Lo Castro con la società Spida dei D’Amico. Sullo sfondo, il tentativo di una speculazione edilizia nei terreni dove vennero alla luce i resti di Villa Melania. Oggi gli scavi sono scarsamente fruibili, la prima impresa dei D’Amico decotta, l’inchiesta sgonfiatasi. La collaborazione di Lo Castro e dei D’Amico, però, non era evidentemente terminata. C’è proprio il professionista, che compare direttamente, nell’asta per l’acquisto/vendita del Jolly Hotel, dopo il fallimento della sigla degli imprenditori messinesi, nel frattempo trasferiti tra Montecatini e Chianciano Terme, dove gestiscono le attività alberghiere oggi in parte sequestrate.
Con la Baden dei D’Amico, Lo Castro “scinde” l’attivo e il passivo – poco meno di 5 milioni di euro – trasferendo soltanto l’attivo ad una nuova società, la Capital srl. Il tutto in fretta, lontano da Messina, al riparo da eventuali soci creditori, secondo gli investigatori.
Nel 2016 quel che resta delle quote della Baden vengono cedute in fretta a un liquidatore e due mesi dopo il residuo ramo d’azienda torna ad un’altra società del gruppo. Mentre nel 2015 la Capital viene trasferita al 100% a Lo Castro.
Il sistema Lo Castro
Per “blindare” i patrimoni delle società, Lo Castro opera attraverso diverse strade. Ad esempio intentando cause pretestuose ai creditori, per esempio denunciando per anatocismo la banca che vantava i crediti da quella società. Quando il creditore era il fisco, invece, chiedevano la rateizzazione del debito, e nel frattempo “uccidevano” o smembravano la società, pagando soltanto le rate in scadenza prima della chiusura della società stessa. In più, attraverso terzi soggetti compiacenti, sempre loro chiedevano la trascrizione di promesse di vendita di immobili, presentando contratti costruiti ad arte e retrodatati, così da bloccare l’eventuale sequestro di tali immobili.
“Oh, perfetto, ma se io su tutti i suoi beni le metto una trascrizione, cioè io sui suoi beni posso fare un atto di citazione simulato, tipo Ilacqua (uno dei presenti) ti fa causa e dice che lei aveva promesso di vendere i suoi beni, non glieli ha trasferiti, e lei fa causa col trasferimento, cito a lei e trascrivo. Quando lei non paga poi la banca a lei beni non gliene trova più, perché c’è la trascrizione. Io questa trascrizione, ascolti a me, gliela tengo in piedi…ascolti a me c’è un’altra finezza. Non è che lei si è venduto i beni a Ilaqua che è un pazzo che gli ha fatto la trascrizione, perché lei alla banca gli dice, senta io a quel pazzo c’era un preliminare di 20 anni fa che era scaduto, giusto ? E lei si difende.. e io lo trascrivo con la trascrizione, ai fini fiscali, io trascrivo alla Conservatoria quindi la banca non può pignorare, non può sequestrare perché c’è una trascrizione..come ad esempio un’altra cosa che io spesso faccio, inizio delle cause, quando c’è tipo con le banche che ho tanti giudizi, esteri, la banca in genere chiude il conto, presenta il ricorso al Tribunale e ottiene il decreto ingiuntivo giusto? Ma se io prima che la banca si muove faccio causa alla banca, la banca per legge non può più chiedere il decreto ingiuntivo, perché deve aspettare che finisce la causa, chiudo anche le società, le società le chiudo, dopo un anno dalla chiusura non possono fallire per legge, la banca non trova più niente, quand’io finisce il tempo la banca non ha più niente.”. Così nel marzo 2016 Lo Castro istruiva un cliente sul metodo di operare”, raccontano le intercettazioni operate nell’ambito dell’inchiesta Default.
L’asta del Jolly Hotel
Inchiesta che a nasce proprio dall’asta per l’ex sede del Jolly Hotel, procedura cominciata nel 2009. L’immobile venne assegnato pro quota ad Antonino D’Andrea, alla Agaton srl, alla B&B srl, alla Tride Immobiliare. Dopo l’assegnazione, le quote della Tride vanno a D’Andrea, alla Agaton, e alla Professional 3D sempre dei D’Amico. Analizzando la Tride, i finanzieri si accorgono che la società era stata costituita nel 2013 e aveva compiuta una unica operazione, quella relativa all’acquisizione del Jolly appunto. I soci poi non avevano la disponibilità finanziaria per tale investimento. Infatti dietro, scoprono gli investigatori, c’era l’avvocato Bagnato, collaboratore di studio di Lo Castro e con lui socio della Sicaimm srl e della 2B srl. Lo Castro, a sua volta, compariva nella Siga srl, che aveva acquisito la proprietà del Jolly dalla Medea dei D’Amico.
