Messina, la Lelat compie 30 anni. Garufi: "Mi sento sola, la comunità deve vivere ancora"

Messina, la Lelat compie 30 anni. Garufi: “Mi sento sola, la comunità deve vivere ancora”

Redazione

Messina, la Lelat compie 30 anni. Garufi: “Mi sento sola, la comunità deve vivere ancora”

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giovedì 08 Ottobre 2020 - 15:54

La storica presidente della Lega lotta aids e tossicodipendenza lancia l'allarme: pochi volontari

Le storie degli ospiti, le gioie dei congedi, il dramma delle morti. La Lelat (Lega lotta aids e tossicodipendenza) compie trent’anni. Una storia iniziata nello studio di Annamaria Garufi, col supporto dei volontari, di padre Riccardo Cardullo e di padre Francesco Montenegro, oggi cardinale.

I primi anni

“Poi la Provincia ci diede un piccolo contributo, sufficiente per affittare una casetta a Bordonaro – racconta la Garufi – che non poteva bastare per i 27 ospiti ma almeno aveva una cucina per mangiare insieme. Cinque anni dopo, con un contributo più sostanzioso stanziato dal Comune (giunta Providenti), abbiamo affittato una sede grande a Santa Lucia sopra Contesse, anche con un utilissimo orto. Nel 1999, siamo riusciti finalmente a fare le lunghe pratiche per la convenzione con l’Asp e diventare ente ausiliario. La vita  a Santa  Lucia  era durissima,  attacchi,  attentati  continui.  La malavita   locale  non  ci  voleva”. 

Dal 2006 a oggi

Nel 2006, finalmente, il Comune (commissariato) diede una sede adatta definitiva a Mangialupi. “Anche qui siamo stati rifiutati e abbiamo subìto attentati malavitosi. Ci hanno incendiato la struttura, minacciato, rubato  tutto,  siamo  un corpo  estraneo  che rompe  equilibri.  Viene  Don Ciotti,  la città   sana   si   schiera   al   nostro   fianco.    Sono   tempi    duri.   Poi   il   territorio lentamente  inizia  a considerarci  una  risorsa  e lentamente  l’ostilità  si placa.Qui    la    mia   mente    galoppa,    si   riaccendono   speranze.    Qui   è ipotizzabile completare    il    sogno    di    aggiungere    al    nostro    programma    un    modulo residenziale,   gli   spazi   ci   sono   ma,   delusione   cocente,   l’Asp   non   accetta. Cocciuta  nel  non  voler rinunciare  al  nostro  progetto,  tento  di  aprirlo  lo stesso con i   fondi del semiresidenziale, ma non sono  sufficienti. I   ragazzi  arrivano, il programma  funziona grazie alla generosità degli operatori, per mesi senza stipendio. Dopo   due  anni   pieni   di   debiti,   siamo   costretti   a chiuderlo. Questa  rimane   la  parte  irrealizzata  del  nostro  sogno,   poter  prendere  anche  i ragazzi  senza famiglia”.

La situazione odierna: pochi volontari

“Oggi, però, c’è sempre meno volontariato, io inizio a sentirmi sola. Per questo trentennale contavo di  coinvolgere tutti  i    protagonisti  della  nostra  storia,  ricontattando tutti  i   volontari  del  passato  e tutti  i   ragazzi  congedati,  ma  il  Covid  ha deciso per  noi. Celebreremo solo una Messa per i ragazzi. L’anno prossimo compirò 80 anni, spero di poter avere la certezza che la comunità  continuerà  a  servire  la  città  con  lo  stesso  impegno  e lo  stesso  cuore di  questi  30 anni”.

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