Operazione “Chirone”, il ruolo di Tripodi e i servigi dell'ex consigliere villese Mamone

Operazione “Chirone”, il ruolo di Tripodi e i servigi dell’ex consigliere villese Mamone

mario meliado

Operazione “Chirone”, il ruolo di Tripodi e i servigi dell’ex consigliere villese Mamone

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martedì 23 Marzo 2021 - 20:45

Fabiano Tripodi, medico come altri capi carismatici della famiglia, per la Dda era il capo dei Piromalli sul territorio. Mamone avrebbe procurato con disinvoltura medicinali e certificazioni sanitarie fasulle

Un’organizzazione basata su un capo carismatico, Fabiano Tripodi, quella messa a nudo dal blitz “Chirone”. Ma capace anche di arrivare “lontano” grazie a connivenze politiche “di peso” e a pratiche disinvolte, come le numerose certificazioni sanitarie fasulle ottenute da medici compiacenti.

Il ruolo di Fabiano Tripodi

Fabiano Tripodi è medico come i due esponenti carismatici della famiglia Giuseppantonio e Francesco Michele Tripodi (quest’ultimo, genero di “don Mommo” Piromalli e padre dello stesso Fabiano): proprio a Fabiano Tripodi, nelle 270 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, viene attribuito l’ingombrante ruolo di «capo, promotore e organizzatore della cosca Piromalli, rappresentante sia del ramo facente capo a Piromalli Giuseppe “Facciazza” cl. ’45 che a Piromalli Gioacchino detto “l’avvocato”». Nell’analisi degli inquirenti non era solo lo stratega; non era solo il manovratore, incaricato di muovere i fili dei tanti “burattini” coprotagonisti di quart’ordine di quest’intricato Sistema; secondo la Direzione distrettuale antimafia, Fabiano Tripodi «era l’occulto regista delle politiche di gestione dell’Asp di Reggio Calabria e segnatamente del Distretto sanitario Tirrenico». Va detto però che strettamente in relazione al suo presunto «ruolo apicale» non è stata concessa dal gip Valerio Trovato la misura della custodia cautelare.

I Tripodi, comunque, sono ed erano anche più di tutto questo, stando agli inquirenti. Infatti avrebbero incarnato «i principali interlocutori della cosca Piromalli nei rapporti con il sodalizio dei Mancuso», feroce e potentissima cosca di Limbadi –nel Vibonese –, non da meno degli stessi ‘ndranghestisti gioiesi: ad accomunarli, peraltro, anche un disinvolto uso delle autobombe, negli ultimi anni, per eliminare rivali personaggi “scomodi”: lo zio di Fabiano, Giuseppantonio Tripodi, sarebbe andato più volte a casa di “Mico Ninja”, al secolo Domenico Mancuso.
Ancòra, la famiglia Tripodi avrebbe rivestito un ruolo maestro rispetto al sostentamento delle famiglie dei propri sodali in carcere o deceduti. Quest’ultimo è il caso dei congiunti di Rocco Albanese classe ’63, detto “Purviredda” o “Purvareddha”, assassinato il 14 marzo 2005, già autista e uomo di fiducia di “don Peppino” Piromalli: stando al “pentito” Pietro Mesiani Mazzacuva,  sarebbero stati i fratelli Marcello e Pietro Giacobbe a uccidere Albanese su mandato di Domenico Stanganelli, e il cognato di “Purviredda” Biagio Guerrisi si sarebbe poi vendicato togliendo la vita a Pietro Giacobbe (e Guerrisi nel 2018 è stato condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio; Marcello Giacobbe, accusato dell’omicidio Albanese, è stato invece prosciolto).

Mamone e le certificazioni di favore

In conferenza stampa, magistrati e investigatori del Raggruppamento operativo speciale hanno evidenziato che un altro micidiale strumento in mano ai Tripodi stava nel riuscire a orientare non solo le nomine in seno all’Asp reggina (che avevano l’esito addizionale d’«accrescere il prestigio della cosca sul territorio», ha osservato il procuratore distrettuale Giovanni Bombardieri), ma anche numerose certificazioni “di favore” da parte di medici compiacenti. Per i soggetti organici ai Piromalli o comunque “vicini” alla ‘ndrina in stato di detenzione, in particolare, la circostanza poteva risultare decisiva: completamente diverso dover giacere in una cella oppure poter essere trasferito in una struttura sanitaria, in stato di detenzione ospedaliera, grazie a un certificato medico fasullo.

La sede dell’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria

Pasquale Mamone, ad esempio, è considerato «partecipe» alla consorteria mafiosa di Gioia Tauro. Fra le ipotesi di reato contestategli, secondo la Direzione distrettuale antimafia reggina Mamone «forniva supporto alla famiglia Delfino, inserita nella cosca Molè-Piromalli, attraverso l’organizzazione di una visita medica “strategica” all’ospedale di Polistena in favore di un fratello (non meglio individuato” di Delfino Rocco (recentemente tratto in arresto nel procedimento denominato “Rinascita-Scott” condotto dalla Dda di Catanzaro), chiaramente finalizzata al confezionamento di una falsa certificazione sanitaria».

«Mi devo guardare il culo…»

Il 14 giugno del 2017, come evidenziato da un’intercettazione, Lino Mamone consiglia a Delfino – in relazione a «un problema assicurativo» – di far fare all’interessato una visita preventiva all’ospedale di Polistena («Gliel’ho detto qual è il motivo, è strategico, intanto è la prima visita, ho parlato con il medico pure! (…) conviene fare questo perché se no non c’è credibilità»). Una visita alla quale peraltro il fratello di Delfino non si sarebbe presentato: «Papasergio s’è messo a disposizione, m’ha detto “vedi che io l’ho aspettato (…) non è venuto, non è venuto”», se ne lamenta Mamone con Rocco Delfino in una conversazione successiva, pur apprendendo che il paziente «è fasciato ancora sì, immobilizzato».
Parlando con Domenico Cangemi, il 21 giugno, Lino Mamone peraltro avrà a lamentarsi pure di Rocco Delfino e della sua famiglia: «Deve finire con, con i suoi fratelli uno più storto di un altro», per poi aggiungere papale papale: «Io l’illecito, ascoltami, il piccolo illecito, ascoltami una cosa, glielo faccio a mio fratello e a due amici che si chiamano Mimmo Cangemi e Rocco, ma agli altri non gli voglio più fare niente Mimmo, non ti dispiacere». Improvviso senso di legalità? «Io mi devo guardare il culo, sono padre di famiglia io, cazzo», è la colorita ma chiarissima spiegazione di Mamone.
Soggetto che d’altronde, in altre occasioni sempre nel 2017, «non si pone alcun problema nel prelevare medicinali e presidi sanitari dall’azienda ospedaliera», con la collaborazione del collega Domenico Gallizzi, per il suocero sempre di Rocco Delfino e per il suocero di Domenico Camera. E visto che Cangemi era imparentato coi Molè ma anche coi Rugolo-Mammoliti di Castellace di Oppido Mamertina, in altra occasione l’amico Lino Mamone «organizza il ricovero del suocero del Cangemi, Rugolo Francesco, portandosi a Roma per sovraintendere al suo trasferimento e, al rientro, per assicurargli una serie di visite a titolo gratuito».
Ma soprattutto Mamone agevola il trasferimento di Giuseppe Speranza – cognato dello stesso Domenico Cangemi –, recluso nel carcere di Sulmona, all’ospedale romano “Spallanzani” in regime di detenzione ospedaliera («Se l’avvocato mi dà conferma, dico io, della della della colonscopia, della relazione della colonscopia, io ho parlato direttamente con con con, là il primario dello, dello Spallanzani…»), riferisce a Vincenzo Speranza.

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