Peperoncino "made in Calabria", denominazioni d'origine per tutelare la filiera?

Peperoncino “made in Calabria”, denominazioni d’origine per tutelare la filiera?

Redazione

Peperoncino “made in Calabria”, denominazioni d’origine per tutelare la filiera?

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sabato 28 Maggio 2022 - 12:15

Tra gli obiettivi emersi in un incontro Crea/Rete rurale nazionale potenziamento dell'export, miglioramento delle cultivar, taglio ai costi di produzione

REGGIO CALABRIA – Piccante quanto basta, ma ancora da tutto da scoprire tra gusto, salute e territorio.

Parliamo del peperoncino italiano, protagonista di un evento organizzato dal Crea (il Consiglio per la ricerca in agricoltura) in collaborazione con la Rete rurale nazionale nel corso del quale ricercatori e produttori, alla presenza del sottosegretario Mipaaf Francesco Battistoni si sono confrontati su un prodotto dalle grandi potenzialità tra i simboli gastronomici italiani.

Poco made in Italy, per 1/5 è calabrese

Crea & peperoncino

A fronte di una domanda sempre più alta, la produzione nazionale è scarsa e copre solo il 30% del fabbisogno. Il resto, fa sapere il Crea, proviene da mercati extra-Ue (2 mila tonnellate annue da Cina, Egitto, Turchia), a prezzi stracciati (1/5 in meno) e con bassi standard qualitativi che penalizzano la filiera.

In Italia, infatti, da 10 kg di peperoncino fresco si ottiene 1 kg di prodotto essiccato, macinato in polvere pura al 100% e commerciabile a 15 euro, mentre lo stesso prodotto proveniente dalla Cina ha un costo di soli 3 euro ed è il risultato di tecniche di raccolta e trasformazione molto grossolane, con le quali la piantina viene interamente triturata, con scarse garanzie di qualità e requisiti fitosanitari.

Denominazioni d’origine per il made in Calabria?

La ricerca è impegnata per il rilancio dell’intera filiera, tutelando maggiormente il prodotto. La creazione di denominazioni d’origine territoriale darebbe al consumatore garanzia di qualità, tracciabilità, salubrità e un valore aggiunto adeguato alla parte produttiva, incentivata ad aumentarne la coltivazione estensiva, presente oggi soprattutto in Calabria (100 ettari, con il 25% della produzione), Lazio, Basilicata, Campania e Abruzzo.

Si verrebbe, così, incontro alla domanda sempre crescente dell’industria alimentare e alle esigenze dell’export (nei Paesi Bassi va il 50% della produzione calabrese). Oltre alla certificazioni di qualità, secondo il Crea, occorre anche un ammodernamento delle tecniche di lavorazione per abbattere i costi produttivi, a partire dal miglioramento varietale delle cultivar, per ottenere frutti concentrati sulla parte superiore ed esterna della pianta, più facilmente distaccabili nelle operazioni di raccolta con macchine agevolatrici.

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