“Pour un oui ou pour un non”. La complessa gestazione di un duello di parole che si fa arguta mise en scene

“Pour un oui ou pour un non”. La complessa gestazione di un duello di parole che si fa arguta mise en scene

Tosi Siragusa

“Pour un oui ou pour un non”. La complessa gestazione di un duello di parole che si fa arguta mise en scene

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domenica 05 Giugno 2022 - 06:40

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MESSINA – Il 22 maggio è stata rappresentata al Teatro Cittadino, in replica, la piece, una raffinata commedia, che aveva debuttato in prima nazionale a Fano nel novembre 2021 (e da allora è stata in tournee) tratta dall’omonimo testo di Nathalie Serraute, incentrato sugli abissi delle psicologie dei personaggi. Una produzione Compagnia Orsini e Teatro de Gli Incontaminati, interpretata magistralmente da due fuoriclasse, Umberto Orsini e Franco Branciaroli, diretti superbamente da Pierluigi Pizzi.

La traduzione italiana dell’intitolazione non vale a rendere la magia del significato nella lingua originale (francese), che racchiude un universo di non detti, di sfumature nelle intonazioni che possono mutare il senso dei discorsi, e che sono suscettibili di controverse interpretazioni di chi le recepisce, sulla scorta di proprie disposizioni d’animo.

Incomunicabilità allo stremo, sviscerata al microscopio, scientificamente scandagliata, nella comunicazione di due complesse personalità che, ritrovatesi dopo un distacco generato da malintesi, provano a far luce in quel pozzo buio…

Ambiguità che paiono insormontabili dietro quella separazione, e tassello dopo tassello si ricompongono – o almeno parrebbe – i pezzi di quel puzzle che ha coinvolto due esistenze. Se, a tratti, l’incedere è poetico, la fa da padrone, per lo più, la carente e reciproca chiusura dei due protagonisti, i loro pesanti silenzi, le ferite inferte e ricevute che continuano a lacerare quel rapporto amicale. Intanto le scene sono di un bianco che abbaglia, un nitore quasi ospedaliero, in un’ambientazione anestetizzante nella moderna essenzialità, con libri sparsi, a significare forse una predominanza della ragion pura sulla emotività, del controllo sulla empatia.

Anche i costumi, curati come la scenografia dallo stesso Pizzi, seguono i medesimi standard…i due sembrano dandies, ma anche esistenzialisti vecchio stampo, entrambi di nero vestiti.

Solo colori primari nella mise en espace, anche il rosso, con i suoi sprazzi a segnare e marcare la contrapposizione in quel gioco al massacro, con un finale a sorpresa. Le parole, e la loro mancanza, il loro senso alterato, potrebbero in astratto essere foriere di incontri o di separazioni, e sono di certo una autentica profonda forza, con la loro ragnatela di abilità incomparabili, una potente arma impropria da maneggiare con cura.

La quiete solo apparente cela un risentimento radicato; le espressioni verbali sono caute, svelano davvero poco e in tempi lunghi e dilatati, facendo solo trasparire i caratteri, i temperamenti e i ruoli in quella importante relazione, ove Orsini simboleggia il risentito e Branciaroli lo stupito, che solo in parte dimostra sensi di colpa e riconosce quanto gli è stato attribuito (e rinfacciato).

Il grandioso regista, un veterano della storia teatrale, ritorna, dopo le notevoli direzioni nei teatri d’opera internazionali, alla sua antica passione, quella per la prosa, e lo fa con la giusta discrezione, quasi in punta di piedi, come il testo elegante e raffinato esige.

Interpretazioni quali assi portanti, concentrate del tempo, dei sentimenti, dell’intelligenza e della memoria, insomma, in una perfetta manipolazione delle espressioni verbali.

Eccellente resa, in conclusione, ben diretta, di due istrioni della scena teatrale, di un testo sofisticato, una scrittura che si colloca a metà strada fra teatro dell’assurdo e del quotidiano, con sapiente e capillare esplorazione dei moti della psiche, al limite dell’inconscio, una sorta di sotto-conversazione

Una performance per palati dal gusto fino tout court, che non può suscitare l’interesse di spettatori avvezzi ad opere teatrali leggere, di mero intrattenimento.

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