Il Teatro dei 3 Mestieri, nell'ambito degli eventi comunali, ha proposto melodie e suggestini dagli anni Cinquanta al 2000
MESSINA – I migliori anni della nostra vita con “RadioDays 2.0 – Viaggio intorno alla musica”, a cura del Teatro dei 3 Mestieri. Il 24 luglio, nell’ambito degli eventi programmati dall’amministrazione comunale messinese, si è svolto un accattivante itinerario di melodie e canzoni. Un’iniziativa a ingresso libero, molto partecipata, anche in considerazione del concomitante concerto di gran richiamo di Marco Mengoni.
La voce e il sax di Adriana Bonaccorso, davvero istrionica e di innegabile eccellenza, la chitarra di Gabriele Roccamo, rispettosa delle sonorità riprodotte, e la maestria degli speaker Maria Pia Rizzo e Stefano Cutrupi, assai convincenti nel ruolo, hanno risvegliato negli astanti memorie antiche giovanili, o rappresentato piacevole scoperta da parte del pubblico più giovane.
Il periodo indagato musicalmente, ma non solo, ha ricompreso la fine degli anni ’50 e il 2000, con particolare focus sulla fase felice, melius d’oro, delle Radio Libere, dalla loro nascita (alla fine degli anni 70), agli albori del terzo millennio. Non musica,”tout court”, si diceva, ma i cinefili hanno potuto godere di gustosi e pertinenti rimandi ai lungometraggi dei quali le melodie eseguite hanno costituito famose colonne sonore, sovente pluripremiate, con consone citazioni degli” speaker”, unitamente alle essenziali informazioni su sceneggiatori, interpreti, registi,scenografi…delle note opere fimiche,il tutto impreziosito in ragione della indovinata esposizione di locandine “ad hoc”,e allestimento scenico appropriato,con elementi riferiti ai vari decenni temporali riproposti,che nella bella performance hanno trovato espressione.
Gli speaker, poi, spumeggianti e, con una verve invidiabile, ci hanno fatto davvero compiere un salto temporale all’indietro,affacciati su una consolle tipica degli anni ’80,e abbigliati secondo i dettami dell’epoca.
Gli States hanno costituito il principale terreno fertile da cui attingere.
Questa la pregiata scaletta proposta
I wanna be loved by you da “A qualcuno piace caldo”; Moonriver da “Colazione da Tiffany”; Le due colonne sonore, di “Rocky”: Theme from Rocky di Bill Conti, con tromba solista Mainard Ferguson, e Eye of tiger, del Gruppo Survivor; You are the One that i want da “Grease”; Stayng Alive da “La febbre del sabato sera”; Maniaco e What a feeling da “Flashdance”; The Power of love e “Johnny be good” da “Ritorno al futuro”; Oh pretty woman da “Pretty woman”; Why don’t you do right da “Roger rabbit”; Beautiful that way da “La vita è bella”, I don’t wanna miss a thing da “Armageddon”; I want to dance da “Pulp Fiction”, cantata anche da Whitney Houston, e Don’t let me be misunderstood da “Kill Bill”
Ho scelto,in luogo di una descrizione filmica di dettaglio, di privilegiare una consona testimonianza, a cura di Giuseppe Donato, eclettico scrittore e poeta, che mi ha accompagnata nella fruizione della manifestazione, contribuendo, anche, per la sua indubbia valenza nella realizzazione di scatti fotografici, con la resa del video e di alcune delle godibili foto ,che ripropongo. Tutto ciò previo conforme consenso dello stesso per l’uso dello script e delle immagini in parola.
Da una di esse traspare con ogni evidenza il coinvolgimento e le empatiche modalità di proporsi di musicisti, cantante, e speaker, agli entusiasti spettatori, alcuni dei quali non hanno resistito, lanciandosi in balli liberatori. Applausi a gogò, e richiesta, a gran voce, accolta, di bis.
A seguire l’incisivo testo di G. Donato, con la narrazione dei suoi esordi.
24 giugno 1976
Da meno di una settimana Antenna dello Stretto, tra le prime emittenti libere di Messina, aveva iniziato le sue trasmissioni…una grande notizia per una piccola città di provincia del profondo Sud, affamata di novità e di musica.
I giovani della mia età, all’epoca ventiquattrenne, avevano preso l’abitudine, la sera, di riunirsi nelle piazzette, sui muretti o sulle spiagge, con voluminose radio portatili o con gli sportelli delle auto spalancati, per ascoltare le musiche e le parole che viaggiavano invisibili nell’etere. Io ero uno di quelli….
Una sera riconobbi la voce del conduttore: un caro amico che conoscevo da anni. Anche lui appassionato di musica, di quella diversa, quella che la RAI di allora non trasmetteva mai.
Entrambi acquistavamo dal “Nord” i primi vinili d’importazione, ci scambiavamo cassette che ascoltavamo in auto nelle nostre scorribande notturne. Lo chiamai la mattina dopo…una frenesia mi aveva accompagnato per tutta la notte, la voglia di condividere emozioni e di dare il mio contributo musicale alla neonata radio, era diventata una necessità vitale.
La telefonata finì con il suo entusiastico invito a far parte della squadra e l’accordo di vederci la sera stessa in radio per la mia prima trasmissione. E così, alle 20,50, nel retrobottega di un piccolo negozio di abbigliamento in centro città, con la sporta che avevo portato da casa, appesantita da una quindicina di LP della mia collezione, ero pronto a sedermi davanti a un microfono col cappuccio rosso, con accanto due piatti Thorens che giravano senza sosta dal mattino, un Galactron MK 160, come mixer e una martoriata cuffia Sennheiser, dalle rosicate spugnette gialle. Un mini corso di due minuti sull’uso del mixer, sul preascolto e sull’equalizzazione del suono; il resto toccava tutto allo speaker di turno; non esisteva, infatti, una regia, qualcuno che, a comando, faceva partire il vinile in programma. Si faceva tutto da soli.
La radio, per tutta la giornata generalista, dove non mancavano le dediche, le telefonate in diretta, qualche raro annuncio pubblicitario e uno striminzito notiziario letto dal conduttore della trasmissione in onda, la sera diveniva un’altra cosa; la musica mutava, le atmosfere divenivano più intime, più confidenziali, più mirate.
Per tre ore, senza interruzioni pubblicitarie, senza vincolo alcuno, ci alternavamo, fino a mezzanotte.
Le 21! Adesso toccava a me aprire la fascia serale!
Il consunto disco che faceva da stacco tra una trasmissione e l’altra, girava sul piatto di sinistra macinando minuti. Occupai il posto ancora caldo di chi mi aveva preceduto, indossai la cuffia, provai la giusta equalizzazione per la mia voce, mentre poggiavo sul piatto di destra il pezzo che avevo scelto come sigla d’apertura. La puntina galleggiava a un centimetro dal primo solco, pronta a percorrerlo.
Presi coraggio e spinsi in giù la levetta facendo planare il braccio sui primi solchi, arrivò in cuffia il classico fruscio che precede l’inizio della traccia… primomixaggio…”DIN DON DAN DON, DIN DON DAN”. Le campane di Vulcan Princess di Stan Clarke esplosero nelle cuffie, spezzando di colpo le liquide pacate sonorità di Jessica. Adesso toccava a me, alla mia voce che ancora indugiava nella gola secca per l’emozione. Fuori, per le strade, sulle spiagge, nelle case, sapevo che stuoli di ragazzi, centinaia, forse migliaia, erano pronti ad assorbire le vibrazioni che gli altoparlanti avrebbero presto diffuso; pronti anche a giudicare, a criticare, forse ad applaudire.
Non avevo programmato una scaletta, avevo invece deciso di andare a braccio, improvvisando, adattandomi a ciò che il mio istinto e sensibilità musicale mi avrebbe suggerito. Avevo scelto solo il brano d’apertura, gli altri..ci avrei pensato…
Tutto era pronto mentre le campane lasciavano il posto al sincopato riff di Stan; a quel punto avrei dovuto solo sfumare il volume della musica, alzare quello del microfono e…parlare.
Per dire cosa? Tutte le frasi che avevo immaginato, studiato, memorizzato e ancora ristudiato…svanite, cancellate dall’emozione. Il pezzo andava avanti, i secondi diventavano minuti…”Buonasera”, esordii con voce incerta “….siete all’ascolto di Antenna dello Stretto e io…sono Pippo…” Stop! Afasia totale!
Per togliermi dall’impasse, mixai il primo pezzo della serata senza nemmeno presentarlo. Uno sfarfallio, come di stormo di uccelli, introdusse i primi arpeggi della chitarra di Cockburn in Lord of the Starfields. Accesi una sigaretta che aspirai come se fossi riemerso dopo un’apnea; adesso avevo poco più di tre minuti per resettare il cervello, un tempo che mi appariva brevissimo, scegliere il pezzo successivo e sciogliere il nodo che mi serrava la gola. Scelsi l’ultimo Album di Terry Reid, Seed of Memory, con un brano che ben si sposava e proseguiva le atmosfere di Cockburn, che intanto andavano sfumando…titolo del brano appena finito, autore, brevi note biografiche e presentazione del pezzo successivo…
Quell’ora passò velocemente, i brani si succedevano come in un’onda emotiva, alternavo le pacate atmosfere romantiche dei primi pezzi, con le esplosioni adrenaliniche di un Billy Cobham, o i surreali assoli di Zappa, per poi ritornare all’intimismo sofferto di Nick Drake, passando per le solarità californiane dei Sopwith Camel. Ad ogni stacco la lingua si scioglieva, la parlantina diventata più fluida e sicura e la fantasia riempiva gli impacciati silenzi e le pause dei primi minuti; arrivarono le prime telefonate di apprezzamento, di curiosità per quei brani mai ascoltati, di entusiasmo per quelle sonorità mai udite.
Era l’inizio di un’epopea che insieme a tanti amici e a tanti altri ragazzi sparsi per tutta l’Italia, ho avuto il privilegio di vivere, con entusiasmo e orgoglio e con quel senso di libertà e di trasgressione che la prima Radio Libera incarnava….
È durata poco quell’era…il business, il profitto, i grandi network imposero ben presto dei limiti, degli standard, sacrificando e uccidendo i fervori di una generazione.
Antenna dello Stretto non ha smesso di trasmettere, adeguandosi ai tempi e alle necessità del mercato; è sopravvissuta alla pandemia, giusto per usare un termine attuale, che ha cancellato come un’onda anomala un’epoca fatta di sogni e speranze.
Pippo Donato, 31 marzo 2020.
