Raimondo Dal Pozzo, filosofo a Messina nel ‘600

Raimondo Dal Pozzo, filosofo a Messina nel ‘600

Vittorio Tumeo

Raimondo Dal Pozzo, filosofo a Messina nel ‘600

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mercoledì 23 Settembre 2020 - 08:51

Seguace di Maurolico, la sua opera porta il marchio dell’ispirazione platonica

Sono in pochi a sapere che nel XVII secolo Messina poteva vantarsi di ospitare uno degli epigoni delle scuole filosofiche siciliane. È dalla sua opera più famosa, intrisa di platonismo medievale, che si conosce l’altezza culturale di Raimondo Dal Pozzo, principe del Parco. Il “Circolo Tusculano”, questo il titolo, vide la luce a Messina nel 1656 presso la stamperia di Jacopo Mattei e circolò a lungo, conservata presso importanti biblioteche oltre lo Stretto (lo storico e filosofo Leopoldo Nicotra scrive nei primi del ‘Novecento di averne avvistato una copia alla biblioteca Lancisiana a Roma, ndr). Per cogliere a pieno il senso della riflessione del Dal Pozzo, occorre seppur sommariamente, tentare di effettuare una diagnosi dello stato di salute della filosofia in Sicilia  all’epoca. Non si può tacere che una figura centrale è stata quella di Sant’Anselmo d’Aosta, che ha tenuto in vita lo spirito filosofico massimamente per via degli studi benedettini. Il XIX secolo invece portò con sé fin dal suo inizio un sentimento di profonda decadenza che gli storici definiscono addirittura più nefasta di quella che invece ha caratterizzato la fine del secolo, e che hanno attribuito ad una recrudescenza del sensismo e del positivismo. È così allora che il fermento della metafisica anselmiana offrì nuovi spunti agli studi sulla cosiddetta “prova ontologica” che si stavano effettuando, per una dimostrazione “a priori” dell’esistenza di Dio quale dogma filosofico. L’opera del nostro seicentista si colloca perfettamente in siffatto contesto: in essa troviamo alcune proposizioni platonche del Timeo e si riassumono gli enunciati delle varie sette filosofiche dell’antichità.

Platone

Dal Pozzo ha dedicato il Circolo al suo maestro Sforza Pallavicino e si ispira chiaramente a Platone, come dimostra l’impostazione dialogica dell’opera, che coinvolge tre interlocutori tra cui l’autore si cela sotto lo pseudonimo di Girolamo Cataneo. La prima notazione che colpisce è la tesi, essenzialmente platonica, che “le cose possibili son necessarie; non c’è cosa possibile se essa non è necessaria. Possibile, reale e necessario sono le tre categorie del pensiero volgare che la dialettica deve approfondire affinché se ne rivelino le attinenze e se ne appuri l’origine. È così che il reale diventa razionale e il razionale diventa reale, parafrasando Hegel. Il risultato cui approda Raimondo Dal Pozzo è che, come lui stesso scrive, “il possibile vero sia ognora necessario, cioè razionale e che ogni necessità implichi vera possibilità”, ed è proprio questo il fondamento dell’argomentazione di Sant’Anselmo che si rivela addirittura anticipatore di Hegel, ponendo il cardine della teoria del “possibile razionale”. L’opera dell’antico filosofo messinese non tralascia poi un altro aspetto di notevole importanza, ovverosia il principio per cui un dato effetto non può aver luogo che da una data causa, id est il rapporto causa-effetto, che costituisce forse il più importante teorema eziologico. Verrebbe da chiedersi, a questo punto, come fu salutata dagli addetti ai lavori l’opera del Dal Pozzo. Studiosi preclarissimi concordano sulla sensazione che nel Circolo Tusculano Platone sia stato avvicinato troppo alla dogmatica cristiana al punto tale che lo stesso Nicotra, confrontandosi con il filosofo reggino Lubrano, afferma che l’antico filosofo ateniese sia stato trasformato in un evangelista.

Francesco Maurolico

L’autore si attesterebbe quindi sulla falsariga di Maurolico, della cui discendenza culturale si pone come un anello di congiunzione; prova di ciò, lo sfoggio di citazioni di fisica riferibili a Della Porta e a Galileo, il ricorso ad una teoria della visione più vicina a Maurolico che non a Platone. Dal Pozzo dimostra inoltre di essere vero filosofo quando scrive di “non voler giurare fedeltà a Platone, ma alle verità di Platone”, non cedendo alla tentazione, che invece troviamo comune soprattutto in alcuni neoperipatetici del primo XX secolo, come scrive ancora Nicotra, di forzare un’analogia tra Aristotele e Platone con riguardo alla visione ottica e intellettuale. Raimondo Dal Pozzo si batte invece per una filosofia dell’intuito e del trionfo dell’ordine causale, in contrapposizione con la cieca fiducia “in infiniti decreti disparati” di carattere divino, la quale a sua volta “negherebbe al mondo la causalità, ed accadrebbero le cose a caso”. Le riflessioni di Raimondo Dal Pozzo iscrivono il filosofo messinese nel novero dei seguaci della tradizione dei Padri e dei Dottori platonici, ed emerge sempre più chiaro un impegno nel solco della dottrina agostiniana del “creavit omnia simul”. L’eternità ed unità degli ordini creatori sono quindi, possiamo dire, la cifra della sua speculazione filosofica poi spenta dalla nuova visione sensitica. Possiamo quindi considerare Dal Pozzo il vero erede di Maurolico per l’arte della sapienza, l’epigono di una tradizione di pensiero prestigiosa che si coltivava nella città dello Stretto e dove lo stesso Francesco Maurolico aveva gettato semi forti.

Vittorio Tumeo

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