Dipingere “col martello”: l’arte di Carmelo Pugliatti

Dipingere “col martello”: l’arte di Carmelo Pugliatti

Dipingere “col martello”: l’arte di Carmelo Pugliatti

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lunedì 22 Aprile 2013 - 08:09

Un dipingere ora col martello, per dirla con Nietzsche, ora con la piuma, che zittisce qualunque giudizio tecnico, per la virtù di un sé che supera il sipario dell’io e le sue masquerade sociali, spogliando non solo se stesso ma denudando il nostro sguardo sulla realtà di noi stessi e del mondo che abbiamo prodotto e che dovremmo, in qualche modo, trasmettere. La mostra sarà visitabile fino al 5 maggio

Si è inaugurata sabato 20 aprile, alla presenza di un pubblico numeroso e qualificato, la personale di Carmelo Pugliatti dal titolo “Rebus”, visitabile fino al prossimo 5 maggio nella cornice del Monte di Pietà.

La mostra è l’ultima del circuito espositivo di arte contemporanea promosso dalla Provincia Regionale di Messina, sotto la direzione artistica di Saverio Pugliatti, con il contributo del comitato scientifico costituito da Teresa Pugliatti e Luigi Ferlazzo Natoli, i quali, insieme dell’assessore alle Politiche Culturali Giuseppe Crisafulli e al sottoscritto, hanno “guidato” i convenuti nella scoperta di questo straordinario artista messinese.

L’arte di Carmelo Pugliatti riflette in modo radicale e sincero un percorso insieme introspettivo e riflessivo, frutto di una straordinaria capacità di osservazione. Mai sganciata dal presente (si guardi Merce di scambio del 2008, in cui al volto di un migrante è assegnato un codice a barre, o il dittico Ave Maria del 2011, in cui la Vergine si incarna in una donna afghana), la sua attenzione non lo porta a evitare i territori più inquietanti del sé e del mondo, bensì a valicarli come un uomo protetto da una coperta bagnata attraversa una foresta in fiamme. Questa sincerità, che fa della pittura figurativa il canale privilegiato, si esprime attraverso cicli di indubbia modernità che serbano un sostrato antropologico di grande spessore.

I suoi cicli precedenti, che lo hanno portato tra l’altro a essere scelto per prestigiose iniziative quali Artissima (Torino) e Messina Art Pride (Padova), coniugano perfettamente l’attenzione alla cronaca e il filo del sé, facendo della sua arte un pregevole documento di testimonianza del nostro presente e delle sue contraddizioni. Il suo giudizio lucido, solo in apparenza straniante e provocatorio, mette in evidenza i paradossi e le follie del mondo contemporaneo, con la sua tendenza quantificante e mercificante (Volti bilanciati, 2003-2005); l’esistenza che affonda nell’insignificanza mentre solo nella relazione ‘semplice’ emergono isole di senso (Bar, 1998); i fotogrammi quasi surreali, ma tristemente veri, di scene di periferia sullo sfondo di una metropoli lontana e indifferente da cui si preferisce fuggire e che costringe perfino i piccoli nei propri ingranaggi (Visioni celesti non celestiali, 2000-2002; La vita non è un gioco, 2006); fino a raggiungere vette espressive nietzscheanamente al di là del bene e del male, in cui l’urlo assordante del bisogno di contatto si mescola a un’ansia di distruzione che rimanda ancora una volta alla ricerca di autenticità nella ricomposizione della figura e del volto (Nigrizia, 1998).

Un dipingere ora col martello, per dirla con Nietzsche, ora con la piuma, che zittisce qualunque giudizio tecnico, per la virtù di un sé che supera il sipario dell’io e le sue masquerade sociali, spogliando non solo se stesso ma denudando il nostro sguardo sulla realtà di noi stessi e del mondo che abbiamo prodotto e che dovremmo, in qualche modo, trasmettere. I personaggi di Pugliatti sono uomini stanchi, randagi della vita scarnificati e metamorfici che aspirano al riposo di una sedia, o semplicemente alla luce e alla relazione umana come unico luogo in cui si pone l’interrogativo sul senso: il volto vero sembra essere quello dello straniero da accogliere e amare.

La nuova serie dei Rebus si pone in continuità con il percorso precedente e in qualche modo lo porta al culmine, nell’immensità delle sei tele senza telaio che si offrono come arazzi di morbida, vellutata purezza, nel verde della speranza di qualcuno che risponda alle domande esistenziali e sociali che sono – è questo il gioco – la risposta degli enigmi che implicano e scuotono fortemente lo spettatore. E qui la linea si fa più morbida, il disegno perfetto nei contorni, mentre per contrasto si apre lo spazio di una riflessione che diviene radicale ma che si offre, con somma delicatezza, nell’apparente leggerezza del gioco, come una piuma che, dopo qualche giro, ricade su polverose o indifferenti coscienze.

Il fil rouge del messaggio di Carmelo Pugliatti consiste proprio nell’esasperata e pressante liricità, che rifugge da ogni astrazione e impone la sua visionarietà, la propria cronaca, anche gli incubi più nascosti. Un coraggio senza velature, in cui il dominio del messaggio è assoluto, ispirato, trascendente la singola situazione in cui la figura, per quanto forte e a volte scioccante, è prima di tutto occasione, relitto, traccia di rebus appunto, dopo il passaggio del fuoco della distruzione e dell’annichilimento. Figura-brace, forse anche cenere, essa butta fuori l’urgenza di un vissuto e dei suoi esiti, in ferite in cui non si può non riconoscersi e ricercarsi, a meno che, per un’ulteriore alienazione, non si voglia fuggire voltando lo sguardo, restando imbrigliati, forse anche accecati, dalla lente dei nostri bicchieri da aperitivo, dal consumarsi a volte inerte delle ore. E in questo nuovo spleen la ricerca di stordimento cede alla necessità, all’urgenza del contatto che, dalla solitudine, trasformi la tela in finestra aperta verso il fruitore/spettatore, attraverso cui l’artista pone le sue domande, senza dire parola che non sia quella del tracciato misterioso della propria vita e di quella degli altri, con le tinte delicate e forti che gli sono proprie, a esprimere un più profondo contrasto e forse, anche, una possibilità di incontro. (Gabriele Blundo Canto)

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