Il -Manifesto del Sud- parte da Reggio Calabria

Il -Manifesto del Sud- parte da Reggio Calabria

Il -Manifesto del Sud- parte da Reggio Calabria

martedì 17 Marzo 2009 - 23:08

Un -Rapporto- tra i direttori dei principali quotidiani del sud, a Reggio Calabria, per fare il punto della situazione sulle condizioni e i possibili scenari di sviluppo del mezzogiorno

E’ un’idea di Marcello Veneziani, intellettuale Pugliese e oggi consulente alla cultura del Comune di Reggio Calabria: un Manifesto di rilancio per il sud. La prima bozza è emersa dall’incontro tenutosi al Teatro F. Cilea di Reggio alla presenza del Sindaco, Peppe Scopelliti, e dei direttori dei principali quotidiani meridionali.

A presentare la manifestazione è l’organizzatore Antonino Nicolò, delegato al coordinameto del settore comunale alla cultura di Reggio Calabria: “Bisogna parlare del Sud in termini positivi – ha detto Nicolò – non dobbiamo essere sempre quelli che chiedono, ma piuttosto bisogna diventare coloro che propongono”.

E così Marcello Veneziani introduce il dibattito/confronto illustrato come un vero e proprio “Rapporto al Sud”, che parte proprio da Reggio Calabria, “lì dove, da Sud, inizia la Penisola Italiana”.

Veneziani si sofferma sul meridionalismo inteso come questione, come problema: “non ha ottenuto che ulteriori lagne, lamentele, richieste d’aiuto. Adesso non è più tempo di questione meridionale. Il problema vero è che il Sud si sta svuotando a causa della pessima immagine che diamo al di fuori del nostro mezzogiorno. Il Sud non è quello che emerge dai racconti criminali dei, pur apprezzabili, Saviano e Camilleri. Il Sud non è solo Gomora, non è solo il Commissario Montalbano: sono elementi culturali che danno un’immagine fuorviante della realtà meridionale, come se qui fosse tutto solo ed esclusivamente criminalità e malavita. Dobbiamo essere noi meridionali a recuperare storia, memoria, cultura. Dobbiamo fare sistema, creare una rete. Simile a quelle che, purtroppo, i criminali sono riusciti a organizzare. Le nostre, però, devono essere reti positive, costruttive, buone. Dobbiamo creare il clan della buonavita, dobbiamo unirci e fare squadra. All’interno del Sud ci sono tante realtà, bisogna compattarci e lavorare insieme. Non interroghiamoci – conclude Veneziani – su quello che ci devono dare, ma piuttosto su quello che noi possiamo dare. Diciamo “basta” a clientele, servilismi e autocommiserazioni, imponendoci con forza e identità”.

E a rapporto di Veneziani troviamo i direttori (o comunque i rappresentanti) dei più prestigiosi quotidiani del mezzogiorno: Nino Calarco della “Gazzetta del Sud”, Giuseppe De Tommaso de “La Gazzetta del Mezzogiorno“, Virman Cusenza vice de “Il Mattino“, Giorgio Petta de “La Sicilia” e Roberto Arditti de “Il Tempo“.

Il “pool” di giornalisti è stato selezionato dallo stesso Veneziani, che ha scelto di interrogare il Sud partendo da quel settore che ne ha il termometro più attivo e giornaliero, invitando così tutti coloro che si interessano di informazione e comunicazione, formalizzando quest’invito per i più prestigiosi rappresentanti della carta stampata di un pò tutte le Regioni meridionali, dalla Gazzetta del Sud, leader in Calabria e a Messina, alla Gazzetta del Mezzogiorno di Puglia e Lucania, fino al Mattino di Napoli, a La Sicilia di Catania e Palermo, e al Tempo che, nato a Roma nel 1944, ha sempre guardato verso sud, da tutti i punti di vista.

Dall’incontro è emersa una comunione di vedute su molti temi, e un arricchimento generale del confronto sulla situazione attuale del mezzogiorno.

Nino Calarco ha ripercorso con un attento e lucido excursus storico gli eventi dell’unità d’Italia: “Garibaldi non fu altro che l’artefice del disegno Inglese. L’Unità, per giunta fatta in quel modo, non la voleva nessuno. Non solo al sud. Non la volevano neanche i Savoia, che al massimo avrebbero acconsentito la capitale a Firenze, e mai avrebbero voluto avere a che fare con il cattolicesimo Romano”. L’opera di Garibaldi, quindi, viene indicata come un misto di poteri internazionali e massonici, reali e mazziniani insomma. Ma l’intervento di Nino Calarco, ricco di phatos e sentimento, è impregnato soprattutto allo Stretto di Messina, di cui -bisogna essere orgogliosi! Non dimentichiamo che da questo Stretto passò Ulisse, affrontanto i gorghi di Scilla e Cariddi. Dobbiamo ritrovare la sua stessa forza, il suo coraggio: è quella la nostra identità”.

Giuseppe de Tommaso, della Gazzetta del Mezzogiorno, con un intervento più vocato al presente e al futuro che al passato, si sofferma sul tema del federalismo: “è una tappa importantissima per il sud, ma bisogna fare attenzione. Non è detto che sia una tappa positiva. Potrebbe anche essere il declino definitivo. Qui al sud abbiamo bisogno di maggiore libertà economica: Einaudi molti anni fa fece l’elogio del disordine, perchè in effetti il disordine è estro, vitalità, voglia di imporsi. Invece l’ordine è quello dei cimiteri: della morte, e dell’inefficienza. Abbiamo bisogno di più liberta e più sicurezza: con queste due componenti potremo rilanciarci”.

Virman Cusenza, Palermitano, direttore a Napoli de “Il Mattino”, risponde alle pungenti domande di Veneziani sul ruolo di Napoli, ex-capitale del Regno delle due Sicilie e quindi del sud, e sulla situazione attuale di Napoli come specchio del sud e come handicap grave secondo chi pensa che lo sviluppo del sud dipenda esclusivamente da Napoli, che dovrebbe trainare tutto il mezzogiorno. E da dove avrebbe potuto iniziare, Cusenza, se non dall’analisi, sconfortante e tremendamente realistica, dei trasporti? “Oggi sono arrivato a Reggio, da Napoli, dopo sei ore di treno. Mentre invece tra Reggio e Roma in aereo ci vuoe poco più di un’ora. Il sud purtroppo ha avuto la tendenza a volersi collegare meglio con le grandi realtà del centro/nord, mettendo da parte l’idea di creare un efficiente sistema di trasporti interno al mezzogiorno stesso”. In effetti un Reggino che vuole andare a Napoli ci mette circa il triplo di un concittadino che vuole andare a Milano. “Il problema – continua e conclude Cusenza – è quello ch non facciamo squadra, non abbiamo mai fatto squadra e le cose cambieranno solo quando saremo compatti, uniti”.

Giorgio Petta, de “La Sicilia”, sottolinea più volte diversi buoni motivi per cui essere orgogliosi di essere meridionali, prima di soffermarsi sugli aspetti più prettamente culturali della situazione: “dobbiamo creare una rete universitaria – dice Petta – eliminando i doppioni e consentendo lo sviluppo di poli d’eccellenza. Io sono ottimista, perchè tramite la cultura può cambiare tutto”. Altro tasto dolente, quello della criminalità: “abbiamo 250 mila norme giuridiche! Sono troppe – continua Petta – e finiscono col favorire traffichini, delinquenti e disonesti. Ci servono meno leggi, e solo con meno leggi avremo meno criminalità: in Germania con 7500 leggi amministrano uno degli Stati più grandi del mondo! Serve più libertà, meno criminalità”.

A concludere la carrellata giornalistica è Roberto Arditti, Milanese, Bocconiano: “per quanto riguarda il sud sono molto preoccupato. Oggi ho conosciuto il vostro Sindaco, Scopelliti, e mi ha dato un pò di speranza perchè ho parlato con una persona capace, lungimirante, che progetta e che ha speranza. Ma il problema serio del sud non è quello della politica, ma quello della gente comune. C’è un’esagerata aspettativa nei confronti della politica, che non può e non deve fare tutto. Purtroppo manca l’iniziativa privata, e c’è bisogno che cresca quella. Il cambiamento deve arrivare dalla società, dall’imprenditoria, la politica non potrà – da sola – cambiare le cose. La politica deve essere limitata a fare, bene, alcune cose. Invece a sud ci si aspetta tutto dalla politica: i soldi, il lavoro … tutto! Invece c’è bisogno che la gente si rimbocchi le maniche”.

Conclude il primo giro di interventi proprio il Sindaco di Reggio, Peppe Scopelliti, che pone l’accento in primis sulle infrastrutture, ma non cela un pò di rabbia perchè “quando bisogna parlar male del sud, lo si fa sempre e comunque. Invece quando è il nord ad arrancare, tutti a nascondere quello che succede. Perchè nessuno dice che è da trenta anni che noi, gente del sud, paghiamo i guasti della Fiat? Non è, forse, assistenzialismo? Contro il sud c’è una continua enfatizzazione in negativo, soprattutto da parte dei mass-media del nord: una vera e propria demonizzazione. A Milano ogni giorno muoiono più persone che a Reggio Calabria, per episodi di criminalità. Eppure nessuno ne parla. Ovviamente nessuno pretende che non vengano pubblicate le notizie sui reati di ‘ndrangheta, mafia, camorra ecc. ecc., ci mancherebbe, ma bisogna dare altrettanto risalto anche alle tante cose positive che ci sono, qua e là, forse a macchia di leopardo ma che ci sono in tutto il sud. Reggio è cresciuta quando si è affrancata dai poteri forti e centrali: è cresciuta quando la progettualità è venuta dal basso, dai cittadini, perchè se Reggio ha intrapreso la strada turistica non è perchè qualcuno l’ha imposto ma perchè i cittadini e l’imprenditoria hanno sposato questo progetto con gli amministratori locali. Invece Reggio, secondo i poteri forti romani, doveva diventare un polo industriale, ma il territorio non ha mai risposto perchè le linee-guida non vanno imposte dall’alto, devono essere quelle naturali del territorio. Bisogna dare stimoli, segnali positivi affinchè cresca l’attenzione nei confronti del nostro territorio, dobbiamo essere uniti e compatti e il futuro di questa terra cambierà, sarà più roseo, ricco e fortunato per chi verrà dopo di noi”.

L’invito a unirsi, visto da Giorgio Petta come una vera rivoluzione culturale per “individualisti come noi del sud”, è forte e chiaro: e da questo sembra passare il futuro del meridione: fare rete, fare squadra, lavorare insieme per il bene comune, e avere la consapevolezza delle proprie bellezze, delle proprie risorse e delle proprie qualità.

Non devono mancare l’impegno per valorizzarle, l’intraprendenza per mettersi in gioco e la voglia di crescere.

Solo così il sud potrà cambiare. E solo in quest’ottica il federalismo può essere la grande occasione storica di una vera e propria svolta.

Senza speranza, non c’è futuro.

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