La Rivolta di Reggio del '70 stasera è su Rai2

La Rivolta di Reggio del ’70 stasera è su Rai2

La Rivolta di Reggio del ’70 stasera è su Rai2

lunedì 14 Settembre 2009 - 17:35

Appuntamento alle ore 23:30 per la puntata di -La storia siamo noi-

“E’ una delle pagine più neglette della storia d’Italia” – racconta alle telecamere de -La Storia siamo noi- lo storico Guido Crainz. E questo perché gli avvenimenti che si sono prodotti a Reggio Calabria fra il luglio 1970 e il febbraio 1971 erano e sono tuttora “di difficile lettura”.

Eppure, aggiunge Crainz, “quella di Reggio è stata la rivolta urbana più lunga della storia dell’Italia repubblicana. E si è caratterizzata per un tasso di violenza inaudito e per un altrettanto inaudito tasso di partecipazione popolare”.

Otto mesi di scontri di piazza, otto mesi barricate, incendi e attentati al tritolo, in una città che era si vista soffiare da Catanzaro il cosiddetto “pennacchio”, vale a dire il titolo di capoluogo regionale, ed aveva deciso per protesta di sfidare lo Stato che l’aveva penalizzata e mortificata ancora una volta.

Otto mesi che hanno trasformato la città di Reggio Calabria in un campo di battaglia ed hanno tenuto tutta l’Italia con il fatto sospeso.

Una pagina dimenticata che -La Storia Siamo Noi- vuole ripercorrere e ricordare per la prima volta attraverso le testimonianze di chi l’ha vissuta: oggi sono in gran parte professionisti in giacca e cravatta, all’epoca invece erano giovani e giovanissimi reggini pronti a tutti per difendere l’onore tradito della propria città.

“Noi inviati dei grandi giornali – racconta Giampaolo Pansa, che seguì i fatti di Reggio per La Stampa – giudicavamo assurda questa rivolta: era una pentola che ogni giorno veniva messa a bollire, e francamente la questione del capoluogo regionale non ci sembrava un cosa così importante”.

“Io invece – racconta Alfonso Madeo, all’epoca inviato del Corriere della Sera – rimasi colpito subito dalla difficoltà di catalogare quanto stava succedendo a Reggio nelle categorie a cui noi giornalisti eravamo abituati. L’unica cosa certa era che si trattava di una rivolta contro: contro lo Stato, contro il Governo, contro i Partiti…”

Secondo il sociologo Tonino Perna “la rivolta di Reggio è stata la prima rivolta identitaria della storia d’Italia. Se è stata dimenticata, isolata e anche criminalizzata – aggiunge – è per via del marchio fascista che le venne appiccicato dopo le prime settimane. Questo ha impedito di capire le ragioni della città e, più in generale, le ragioni del Sud”.

Fascista in effetti fu il leader della rivolta, il sindacalista della Cisnal Ciccio Franco, poi eletto senatore con una votazione plebiscitaria e oggi ricordato con una stele sul Lungomare, dove è intitolata a lui l’Arena dello Stretto.

E fascista fu il grido di battaglia – “Boia chi molla” – scelto dai reggini che scesero a decine di migliaia in piazza con lui.

“Per i giovani di destra e di estrema destra – dichiara Pino Rauti, all’epoca leader di Ordine Nuovo – la rivolta di Reggio fu l’occasione per una vera e propria ubriacatura ideologica. E ci fu anche, non lo nego, la speranza e il tentativo di allargare l’incendio, per esportare Reggio in tutta Italia”.

Opposto fu invece l’atteggiamento della sinistra, in particolare del PCI, che osteggiò fin dall’inizio la rivolta di Reggio Calabria, e pagò questa scelta con l’isolamento. “Perché dovevamo accettare che un pezzo di Repubblica italiana cadesse nelle mani di un gruppo di avventurieri? – dichiara Alfredo Reichlin, che venne nominato all’epoca plenipotenziario per Reggio, direttamente da Enrico BerlinguerEra inaccettabile. E ci battemmo duramente, non chinando mai il capo, e minacciando anche di rispondere alla violenza con la violenza”.

Furono mesi duri, quelli, per i comunisti: mesi di caccia all’uomo, per chiunque osasse girare per le strade della città con in mano L’Unità o un qualsiasi altro giornale di sinistra. E Reichlin ammette oggi che la Federazione del PCI di Reggio era difesa come Fort Apache: “mi preoccupai solo che non circolassero armi da fuoco – racconta – ma volli anche che la Federazione fosse ben difesa. Con bastoni, spranghe e anche bottiglie molotov. Facemmo poi sapere a chi di dovere che in caso di attacco eravamo pronti a difenderci. E che perciò avrebbero pagato un duro prezzo”.

“I giorni della rabbia” è un documentario di Amedeo Ricucci, giornalista RAI di origini calabresi, a cui sono attribuiti diversi riconoscimenti nazionali e internazionale, fra cui il Premio Ilaria Alpi, nel 2001.

Appuntamento, quindi, alle ore 23:30 su Rai2.

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