"Birdman", l'importanza di essere un supereroe

“Birdman”, l’importanza di essere un supereroe

Tosi Siragusa

“Birdman”, l’importanza di essere un supereroe

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giovedì 12 Febbraio 2015 - 16:14

Sulla rotta della decima musa: tra satira e tragedia, la vita di un attore alla ricerca della propria identità nell'ultimo film del cineasta messicano Alejandro Gonzales Inarritu. Impressioni a cura di Tosi Siragusa.

Il lungometraggio del filmaker messicano Alejandro Gonzáles Iñárritu, che ha inaugurato l’ultima Biennale Cinema, ha vinto due Golden Globe e vanta nove nomination agli Oscar e annovera fra gli interpreti Michael Keaton, Edward Norton, Emma Stone, Naomi Watts, Zach Galifianakis e Andrea Riseborough.
L’intensa sceneggiatura rappresenta la crisi identitaria attoriale di Riggan Thomson, che ex star di Hollywood, supereroe in declino – aveva conosciuto anni addietro la celebrità volando su Gotham City con le ali piumate di Birdman – è ora invecchiato e ingrassato e sta mettendo in scena al vecchio e glorioso teatro St. James, a Broadway, una piece pretenziosa, versione modernizzata di un racconto di Raymond Carver, che si conclude con il suicidio del protagonista. La scelta, assai difficile, pazza e ambiziosa, di portare Carver a teatro, è strumento per rappresentare le difficoltà di tale messa in scena, in uno alle ambizioni, le paure, le insicurezze dei personaggi e la presenza della morte nelle umane esistenze, morte che, essendo inevitabile, comporta una celebrazione della meraviglia del vivere.

Film originale anche tecnicamente, apparentemente privo di montaggio, con lunghi piani sequenza (anzi un lungo, inavvertibile piano sequenza, che segue i personaggi fra i claustrofobici corridoi e la scena del teatro), fra momenti di tenerezza e gesti disperati, grandi monologhi, musiche incalzanti (a sottolineare il ritmo serrato), reale e surreale al contempo, audace, con un Michael Keaton che rappresenta dunque un uomo alla disperata ricerca d’amore, un attore in pieno crollo emotivo, che ha bisogno di conferme, con un ego ipertrofico ed i fantasmi del fallimento che lo inseguono (con la voce immaginaria del suo Birdman che lo incalza ed è l’unica che ascolta) superbo quando in mutande e calzini attraversa la folla di Times Square sui marciapiedi della 44esima (trattasi di veri passanti). Certo è un’occasione per una rinascita della stella di Keaton.
L’avventura del protagonista sembra ispirata a Don Chisciotte e la sua crisi esistenziale, paragonabile ad “8 e ½” di Fellini, e a “La grande bellezza” di Sorrentino si nutre del rapporto-scontro con un celebre attore, narcisista, rabbioso, borioso e sadico (Norton), simbolo delle nuove star, amate dai media, con la propria figlia (Sam) sarcastica, fragile, tatuata, dolente ex tossica e con la comprensiva ex moglie: Sam e la madre sono testimoni di quel che accade in quel palcoscenico di matti e appaiono unici personaggi autentici, ma Riggan, che nel rapporto con loro potrebbe avere la salvezza a portata di mano non riesce a coglierla. Personaggi di contorno sono la giovane compagna del protagonista, la collega (Watts), una giornalista poco definita, che non conosce Roland Barthes e una astiosa e virulenta critica del New York Times oltreché l’avvocato di Riggan e suo consigliere.
Non è un film sugli attori (nonostante lo sfondo teatrale), ma sugli eccessi dell’ego, su chi vorrebbe combattere la mediocrità e mette tutto in gioco, su chi sente che la propria vita non corrisponde (più) ai sogni, e sulle complesse realtà vissute attraverso i media. Gli attori risultano comunque grandi amplificatori di questo meccanismo, un perfetto punto d’osservazione, dipendenti come sono della popolarità, dall’applauso, ancora più intrappolati rispetto alla media degli esseri umani in un incessante viaggio di auto conferma e ricerca del prestigio; l’ego malato di Thomson è quello della nostra epoca, in cui l’ossessione del successo, la caccia al plauso altrui, ruba il meglio della vita e degli affetti.
Ognuno di noi è avvezzo ad un “dibattito” interno, un talk shaw personalizzato.

In conclusione, questa black comedy, viaggio fra satira e tragedia, coglie nel segno, riuscendo a comunicare allo spettatore anche l’umanità e la tenerezza dei personaggi, fra ironia e comprensione. Il regista sembra pur sempre consapevole che il buco nero del successo è solo un “uptown problem”.

Voto: 8,5
In programmazione c/o il Multisala Apollo, Saletta Fasola, con orari 18.10, 20.20 e 22.40 e c/o il Multisala Iris, con orari 18.15, 20.45 e 23.00.

Tosi Siragusa

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