Sarà beato Rosario Livatino, il “giudice ragazzino”

Sarà beato Rosario Livatino, il “giudice ragazzino”

Vittorio Tumeo

Sarà beato Rosario Livatino, il “giudice ragazzino”

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giovedì 24 Dicembre 2020 - 07:33

Il Santo Padre ha autorizzato la promulgazione del decreto di beatificazione

Si è concluso positivamente l’iter che ha portato all’approvazione del decreto di beatificazione del già “servo di Dio” Rosario Angelo Livatino. Aveva trentasette anni quando i sicari della “stidda” agrigentina lo hanno freddato una mattina di settembre di trent’anni fa, eppure la sua biografia, il suo operato professionale, ci restituiscono l’immagine di un magistrato “anziano”, navigato, in una parola, integerrimo nel senso più autentico dell’etimo latino integer, intero, intatto. In questi giorni il Santo Padre ha autorizzato la promulgazione, nel corso di un’udienza col cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione per le Cause dei santi, di un decreto con cui viene riconosciuto “il martirio del Servo di Dio Rosario Angelo Livatino, Fedele laico; nato il 3 ottobre 1952 a Canicattì (Italia) e ucciso, in odio alla Fede, sulla strada che conduce da Canicattì ad Agrigento (Italia), il 21 settembre 1990”, questo il tenore letterale del provvedimento.

Prof.ssa Marta Tigano

Come spiega la Professoressa Marta Tigano, Ordinario di Diritto canonico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Messina, “la promulgazione dei decreti sull’eroicità delle virtù (da questo momento è concesso il titolo di venerabile), sul martirio o sulla prova del miracolo spetta esclusivamente al Papa. La beatificazione richiede, oltre al decreto sull’eroicità delle virtù, anche il riconoscimento di un miracolo. Tuttavia, se è stato emanato un decreto sul martirio, il Pontefice può procedere alla beatificazione del Servo di Dio senza il riconoscimento del miracolo che, invece, sarà necessario per la canonizzazione”. È la prima volta nella storia della Chiesa che un magistrato sia beatificato e la dinamica dell’omicidio in cui si è consumata la vicenda umana del giudice, che mette i brividi a chi la conosce, e in particolare il momento della fuga dall’auto abbandonata sul ciglio della strada, già ferito, per darsi a una corsa disperata verso la campagna nell’asfissiante mancanza di una via d’uscita, ricordano, per la straziante consapevolezza della morte imminente, quella del martirio di Gesù.

Difatti, come rileva ancora la Professoressa Tigano, “la causa di beatificazione si snoda attraverso una procedura finalizzata ad acquisire le prove circa l’esercizio eroico delle virtù, il martirio e i miracoli avvenuti per intercessione del Servo di Dio. I testimoni dovranno riferire sulla perdurante fama di santità, se si tratta di una causa antica, o su fatti appresi per conoscenza diretta o indiretta del Servo di Dio, se si tratta di causa recente. Una commissione di periti storici, inoltre, ha il compito di raccogliere gli scritti e tutta la documentazione che si riferiscono al Servo di Dio, utili a far luce sulla sua vita”. A contribuire alla costituzione della prova del martirio in odium fidei del giudice Livatino sarebbe stata anche la testimonianza di un collaboratore di giustizia, dalla quale è emerso che chi ordinò quel delitto conosceva quanto Livatino fosse retto, integro, giusto e attaccato alla fede (come testimonia il suo assiduo impegno nella parrocchia di San Domenico nella sua Canicattì, ndr; fonte: Centro Studi Livatino) e che per questo motivo, non poteva essere un interlocutore della criminalità. In altre parole, Livatino è stato ucciso anche per il buon esempio che la sua figura rappresentava. Un messaggio vivente troppo ingombrante per una Sicilia che sperava nel riscatto civile che il giudice e gli altri magistrati avrebbero potuto offrire. Andava quindi eliminato.

Dopo la sua morte, nel 1993, Papa Giovanni Paolo II, incontrando ad Agrigento i suoi genitori, lo aveva definito “un martire della giustizia e indirettamente della fede”. Anche Papa Francesco, che ha molto sostenuto la causa di beatificazione aperta nel 2011, ha lodato la figura del magistrato: incontrando i membri del “Centro Studi Rosario Livatino”, lo ha ricordato come “un esempio non soltanto per i magistrati, ma per tutti coloro che operano nel campo del diritto: per la coerenza tra la sua fede e il suo impegno di lavoro, e per l’attualità delle sue riflessioni”. L’auspicio è che la beatificazione del giudice Livatino possa sollecitare una profonda riflessione in tutti quanti, ma che in particolare possa essere di sprone e incoraggiamento per tutti quei giuristi e pratici del diritto per i quali la Giustizia non è asservita all’interesse di parte o all’ideologia. Una sua frase, ormai diventata famosa, è forse il suo testamento più prezioso: “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”.

Vittorio Tumeo

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