I giudici reggini hanno accolto la sentenza della Cassazione e ridotte le condanne agli spacciatori del rione Mangialupi coivolti nel blitz dei Carabinieri del 2009
Cade l'accusa di far parte del clan di Mangialupi per almeno cinque persone alla fine del processo di secondo grado dell'operazione Wolf. O meglio, cade l'accusa di associazione per alcuni dei personaggi "beccati" a spacciare dai carabinieri durante l'indagine sul clan di Mangialupi.
La corte d'appello di Reggio Calabria ha assolto con formula piena "perché il fatto non sussiste" dal reato associativo Paola Abbate, Antonino Cannavò, Settimo Corridore, Gaetana "Tania" Turiano e Giuseppe Lo Cascio, riformulando le condanne per gli altri capi. Quindi 3 anni di reclusione per Paola Abbate e Settimo Corritore, 6 anni e 8 mesi per Tania Turiano, 6 anni per Antonino Cannavò, 4 anni e due mesi per Francesco De Domenico. Per tutti pesanti multe, fino a 30 mila euro. I Giudici di Reggio Calabria hanno poi pronunciato sentenza di conferma del verdetto emesso dalla Corte di Cassazione nell'aprile dello scorso anno, che per alcuni di loro aveva rimandato il processo ai giudici di secondo grado, non più messinesi ma stavolta reggini appunto, proprio in ordine al reato associativo. Confermate invece le condanne per Santina Pulejo (1 anno e 4 mesi), Benedetto Aspri (6 anni e 4 mesi), Nunzio Corridore (3 anni), Salvatore Maggio (2 anni e 4 mesi), Letterio Immormino (3 anni e mezzo), Fabio Fenghi (2 anni). Si tratta in sostanza di tutti gli imputati che avevano scelto il rito abbreviato. Hanno difeso gli avvocati Pietro Ruggeri, Salvatore Silvestro, Massimo Marchese, Tancredi Traclò, Piero Luccisano.
L'inchiesta sfociò nel blitz dei Carabinieri, il 10 luglio 2009, che disarticolarono due organizzazioni che gestivano il traffico di droga a Mangialupi, soprattutto in via Gaetano Alessi e piazza Verga. I Carabinieri avevano installato delle telecamere che riprendevano tutto quanto avveniva nel quartiere, riuscendo così a violare, dopo molto tempo, il quartiere – fortino alle spalle del carcere di Gazzi, dove i ragazzini in sella ai motorini cinturano il rione, svolgendo un vero e proprio servizio di vedetta per segnalare la presenza delle forze dell'ordine, consentendo così lo spaccio. Le cessioni della droga potevano così' avvenire tranquillamente, anche attraverso le finestre delle abitazioni. Così è stata immortalata ad esempio Tania Turiano, che dai domiciliari continuava a vendere droga. Malgrado l'ottimo lavoro degli investigatori, in una occasione le telecamere furono individuate e tutto il quartiere si mise all'opera per rimuoverle.

Il solito schifo….. c’è da ridere leggendo i nomi di chi è stato “assolto perché il fatto non sussiste”. Quali fatti devono sussistere perché finalmente sia fatta un po’ di giustizia?