La Chiesa come scelta di vita: la testimonianza di tre giovani neo sacerdoti

La Chiesa come scelta di vita: la testimonianza di tre giovani neo sacerdoti

La Chiesa come scelta di vita: la testimonianza di tre giovani neo sacerdoti

mercoledì 30 Giugno 2010 - 23:05

Abbiamo incontrato Giuseppe, Domenico e Daniele, che hanno preso i voti appena tre giorni fa. Un confronto aperto su temi quali la “scelta”, il ruolo della parrocchia nella società di oggi, gli scandali e la “fuga” dalla Chiesa, l’integrazione degli immigrati e il caso rom a Messina

La loro scelta l’hanno fatta senza paura. Con decisione, con convinzione. Con gioia. Giuseppe, Domenico e Daniele sono diventati sacerdoti il 28 giugno, ordinati dall’arcivescovo Calogero La Piana in Cattedrale. Tre vite che cambiano, che si incrociano, che si accomunano per una missione da compiere e per una chiamata da “onorare”. Giuseppe Di Stefano ha 28 anni, ed è originario della parrocchia Santissima Annunziata in Messina, città dove è tornato dopo aver compiuto i suoi studi presso il Pontificio Seminario Maggiore di Roma. Domenico Mirabile di anni ne ha appena 24 anni e proviene dalla parrocchia Santa Maria Assunta di Barcellona Pozzo di Gotto, mentre Daniele Femminò, 28 anni anche lui, è della parrocchia Sacra Famiglia in Contesse Cep in Messina. Li abbiamo incontrati due giorni dopo l’ordinazione, nel palazzo arcivescovile, dove attendono una destinazione e mostrano di avere le idee molto chiare sui temi centrali della vita cristiana del nuovo millennio.

COME SI GIUNGA ALLA “SCELTA”

Scegliere di diventare sacerdoti in un momento storico come quello attuale ha un significato diverso, forte, da testimoniare. Giuseppe ne parla con fierezza: «E’ una scelta importante che giunge in un momento particolare, in cui il vento non soffia favorevolmente nei confronti della Chiesa. La Chiesa intesa non come comunità, ma come istituzione. Ma è tutto molto bello proprio per questo, per essere una scelta controcorrente, diversa. Non è vero che i giovani di oggi non hanno ideali, anzi, messi davanti alla radicalità di una scelta, si mostrano generosi. Basti pensare alle tante iniziative di carattere umanitario. E’ una questione di volontà. La nostra missione è quella di fare del bene e di andare incontro a Cristo. Canali preferenziali sono però le persone concrete, anche più della preghiera e della stessa Messa. Questo perché il prossimo non può essere visto come un inciampo».

Domenico rivela: «Molti mi chiedono: quando è nata la tua vocazione? Non so dare una risposta precisa, credo sia nata con me. Al termine della nostra ordinazione ci è stato ribadito: questo è il tempo più bello per essere sacerdoti. Questo perché in un tempo in cui i valori del trascendente e del sacro sembrano persi, noi abbiamo il ruolo di ripresentare la dimensione divina, non sottoforma di ideale filosofico ma come persona concreta, come Gesù insegna». Daniele ha pochi dubbi: «La comunità parrocchiale dalla quale provengo è stato il germe della mia vocazione. In questa società in cui non ci sono più valori cristiani, è bene che i giovani abbiano dei punti di riferimento e il punto di riferimento deve essere Cristo. Il sacerdote è solo il tramite».

IL RUOLO DELLA PARROCCHIA

Daniele ne ha appena fatto cenno: la parrocchia. Il suo ruolo, in una società abbandonata a sé stessa come quella di oggi, assume ancora una volta e forse più di prima un’importanza cruciale. Secondo Giuseppe «quello della parrocchia è un ruolo da recuperare. I vescovi stessi ci hanno esortati a prendere in mano la sfida dell’educazione. La parrocchia, del resto, non è più il centro del paese, non è più la “fontana” del villaggio, il centro di aggregazione per tutti. E allora bisogna che sia la parrocchia ad andare incontro ai cristiani, non il contrario. Era Gesù che andava a cercare gli altri, non li aspettava. Il rischio è di cadere in una tentazione: portare noi stessi agli altri, non Dio. Ma è vera una cosa: la sete di Dio è sempre la stessa, oggi come duemila anni fa».

Domenico afferma: «Riconosco il ruolo essenziale della parrocchia anche in base all’esperienza della mia adolescenza. Ha un ruolo centrale per favorire l’incontro. Ma la parrocchia non è solo il sacerdote: quest’ultimo è solo il capo di un corpo fatto da tante membra. Bisogna saper testimoniare il vangelo anche lì dove il parroco non può andare. E in questo un ruolo fondamentale devono giocarlo i cristiani laici». Secondo Daniele «la parrocchia rimane un vero punto di riferimento. Mi baso sulla mia esperienza, in quartiere definito “a rischio” come il Cep. Del resto le istituzioni politiche non offrono molte alternative, dunque la parrocchia diventa l’unico centro per le famiglie, non solo per i giovani».

SCANDALI E ATTACCHI MEDIATICI: COSA ALLONTANA DALLA CHIESA

Non è un momento facile, scrivevamo più sopra. Uno dei motivi è che la Chiesa sembra essere finita nel mirino dei grandi media, complici gli scandali sulla pedofilia che hanno coinvolto anche uomini di Chiesa stessi. Allo stesso tempo la gente si allontana dall’istituzione e dalle parocchie. Perché? Giuseppe fa un esempio “illustre”: «Bisogna sempre tenere a mente una cosa: se è vero che la gente faceva la ressa per avvicinare Gesù, è vero pure che poi la stessa gente lo ha abbandonato. Forse perché la gente del tempo aveva un’idea diversa, attendeva un liberatore politico, non un liberatore di anime. Oggi se si sente Dio lontano è un po’ anche colpa nostra. Gli scandali non ci aiutano, ma il modo di gestire questa vicenda da parte del Papa è emblematico: non offusca, ma come il suo predecessore sa chiedere scusa. La grandezza della Chiesa sta proprio nel saper ammettere le proprie colpe, non è certo l’ordine sacro che può metterci su un piedistallo. Chi compie un crimine come la pedofilia è da deplorare, ma dietro queste situazioni di grande difficoltà c’è la fragilità c sono voragini, mancanze profonde nella loro umanità. Tutti ci scopriamo bisognosi, gli uomini sono grandi solo quando chiedono aiuto, nel riconoscere il proprio limite. Dio stesso ha scelto di limitarsi, facendosi uomo».

Domenico ammette: «Viviamo in una società fortemente secolarizzata, legata all’immediato, nella quale non si riesce più a progettare. Non so dare una spiegazione all’allontanamento dalla Chiesa, forse una causa è la nostra scarsa testimonianza. A noi tocca annunciare, ma è l’uomo che deve rispondere a Dio, come singolo e come comunità. La situazione attuale mi ricorda la comunità cristiana primitiva: gli apostoli dinanzi al tradimento di Giuda hanno continuato, sono andati avanti. Ecco, ci sono fratelli che non testimoniano Cristo, ma la Chiesa continua, va avanti. La Chiesa è altro, è grazia, è un’istituzione incarnata nella storia. E io non posso che ringraziare il Signore per avermi chiamato a servire questa Chiesa».

Secondo Daniele tenere il passo coi tempi è fondamentale: «Oggi il parroco e le diocesi dovrebbero rivedere i propri programmi pastorali. Il sacerdote non deve più pensare “io sono il parroco, gli altri vengano a me”. E’ necessario un sacerdote di strada, che vada incontro alle persone. Questo è un momento delicato, ieri il Papa ha detto che molte volte gli attacchi non vengono dall’esterno ma dall’interno. Non è giusto, comunque, fare di tutta l’erba un fascio. Chi ha provocato questi mali deve essere punito, ma va ricordato l’esempio di tantissimi sacerdoti che operano ogni giorno il bene. Ma i giornali non ne parlano, le lobby anticlericali pensano solo ad attaccare la Chiesa e il Papa e adesso hanno trovato un nuovo pretesto».

LA SFIDA TUTTA MESSINESE: L’INTEGRAZIONE DEI ROM

Le recenti vicende legate alla presenza dei rom a Messina e al loro trasferimento in alcuni quartieri della città, con la reazione furibonda degli abitanti degli stessi, rende di stringente attualità temi come il razzismo e l’integrazione, che dovrebbero essere in cima all’agenda pastorale della diocesi. Giuseppe parte da un assunto: «La Chiesa deve essere casa per tutti i popoli. E’ il concetto di universalità. Dobbiamo sempre di più parlare con coraggio ai nostri fedeli, rifiutare la ghettizzazione di qualcuno solo perché lo si ritiene diverso. Dobbiamo smetterla di giudicare, Dio stesso, l’unico che potrebbe davvero giudicare, non lo fa. La scelta preferenziale della Chiesa è per i poveri, per gli ultimi. Un giorno chiesero a don Tonino Bello, di fronte ad un fenomeno di ghettizzazione nella sua Molfetta, “perché si occupa di questo, padre?”. E lui rispose: “di cosa dovrebbe occuparsi, un vescovo, se non di questo?”. In questo Giovanni Paolo II rimane un grande esempio di cristiano, prima ancora che di Papa, che ha messo al centro di tutto l’uomo. Lui ha riscoperto la via della periferia, degli ultimi, di chi è beato proprio perché ultimo».

Domenico fa un esempio “illustre”: «La stessa Sacra Famiglia fu “immigrata”, in Egitto. Un’attenzione particolare è doverosa, un’accoglienza nel segno della carità e dell’integrazione. Far capire che noi ci siamo, siamo con loro, siamo per loro. Noi pastori che siamo all’inizio dovremo avere questo tema come priorità: andare verso gli ultimi, verso i più deboli». Più duro Daniele: «Il problema dei rom a Messina c’è da moltissimi anni, ed è una grande colpa della politica di questa città. Nessuno si è mai interessato di questi nostri concittadini. La Chiesa può rispondere coi propri mezzi, con la dottrina sociale, che chiede dignità per tutti. E dignità significa diritto ad una casa, un problema che non riguarda solo i rom ma anche chi vive ancora nelle baracche. Il compito della Chiesa è questo: andare incontro ai poveri di oggi, siano essi messinesi o fratelli immigrati». Ai tre neo sacerdoti, alle tre nuove guide di una comunità dove le pecorelle smarrite sembrano superare il gregge, non possono che andare i nostri auguri.

(nella foto, da sinistra: Domenico Mirabile, Daniele Femminò e Giuseppe Di Stefano)

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