Oggi: quando un calciatore è più -figo- di un ultrà

Oggi: quando un calciatore è più -figo- di un ultrà

Oggi: quando un calciatore è più -figo- di un ultrà

venerdì 17 Ottobre 2008 - 22:15

L'universo delle tifoserie: un mondo condannato per gli aspetti violenti ma che, se analizzato, può racchiudere in sé la rabbia di una generazione. E' giusto solo reprimere il movimento?

In un epoca in cui il contenitore conta più del contenuto, in cui viene più facile confrontarsi con la tv che con il più stretto vicino, in cui spadroneggia l’apparire riuscendo a calpestare in maniera sempre più incisiva l’essere, c’è uno stile di vita che ancora, pur se tra mille difficoltà, sopravvive: quello del mondo ultras.

Un universo complesso, variegato, che ingloba diversi modi di essere e che porta a vivere la vita a volta sopra le righe, altre sotto per non essere attaccato o strumentalizzato. Uno spazio messo sotto accusa in virtù di episodi di violenza, di fatti e vicissitudini che hanno portato l’ultrà ad essere accostato ad un delinquente che sfrutta l’evento sportivo per dare libero sfogo alla sua sete di ferocia. Ma il vero ultrà, solitario o facente parte di un gruppo organizzato, non è solo questo. Non lo è stato negli anni e non lo è tuttora, nonostante l’autenticità della mentalità che va sempre più smarrendosi. Già la “mentalità ultras-, si parte da questo. C’è un codice etico non scritto all’interno del mondo ultras che porta ad esempio ad avere rispetto del “nemico- e a non attaccarlo in caso di “inferiorità numerica-, a lasciare stare chi del mondo ultras non fa parte, che spinge a non usare lame o altri oggetti che possono mettere a repentaglio la vita altrui. Questo per quanto riguarda gli “scontri-, ma si potrebbe parlare di tanto e tanto altro. Tante altre sfaccettature che purtroppo vengono sempre più di frequente messe da parte dalle curve, non prese in considerazione a favore dell’anarchia e dell’infamia.

Ma torniamo al punto di partenza. Un calciatore oggi, può avere più diritto di un ultrà? Ci spieghiamo meglio. Perché un calciatore oggi può liberamente sfogare in campo la sua foga in rissa e violenza nei confronti di un avversario e se lo fa un ultrà deve essere diffidato? Perché un ragazzo di 24 anni che viene pagato miliardi per giocare a calcio viene giustificato se si azzuffa davanti a 40 mila persone e se lo fa un disoccupato, un disagiato, o anche un persona tranquilla che vive lo stadio in maniera “forte- deve essere arrestato? Non vogliamo schierarci e nemmeno assumere posizioni politiche. Non vogliamo dire se un episodio non deve o deve essere condannato, ma ci vogliamo limitare al solo aspetto sociale. Perché un atleta che apparentemente ha tutto, fama, successo, denaro, con la fascetta a legare i capelli può, con i suoi gesti anche fuoriluogo, rappresentare un personaggio o un modello, mentre chi si accontenta anche di poco ma lo fa con lo spirito dell’onore rappresenta al contrario una faccia della medaglia da far scomparire?

Il discorso appare molto, troppo ampio. Si dovrebbe partire dalla perdita di quei valori dello sport, del rispetto degli spettatori, dell’essenza del pallone ormai scoppiato da business, soldi, presidenti-patron, diritti televisivi e tanto altro. La stampa, perché non metterla dentro. Chi sfrutta l’onda lunga per fare più audience. Chi organizza trasmissioni speciali per parlare del caso del giorno dimenticando poi quotidianamente il disagio che molti giovani della nostra “povera- Italia si ritrovano a vivere. Una nazione in cui i potenti diventano sempre più potenti e i poveri, così come la classe media, si ritrovano sempre più con l’acqua alla gola. Probabilmente esiste un “sistema- che vuole che ci siano i “bamboccioni- in modo da poter utilizzare a proprio piacimento gli stessi “bamboccioni-, che non dà certezze sul futuro e sul lavoro in modo da poter poi fare leva sul clientelismo, una ragnatela troppo alta per chi dal basso, seppure sbagliando nei modi, cerca di non farsi intrappolare. L’ultrà è una faccia di questa medaglia. Un mondo dove è vero, probabilmente si insinuano anche malviventi e usurpatori di certe parti politiche, ma che batte forte anche di fratellanza, di rispetto, di coerenza, di ragazzi che sognano e sperano in una vita migliore uniti dal nome di una squadra, di un coro gridato insieme, di un vessillo che sventola fiero. Un amore per la propria città e il legame al proprio gruppo. Valori ormai difficili da rintracciare.

Occorre precisarlo, non intendiamo prendere alcuna posizione politica pur consapevoli che anche in questo senso alcune tifoserie si dividono e forse questo non è propriamente un bene per loro stesse. Ma da parte di chi governa, al di fuori dei colori, una volta tanto si potrebbe anche provare a tendere la mano senza parlare di modello inglese o di repressione a 360° gradi. Lo si potrebbe fare, ma non dopo fatti drammatici che ormai periodicamente si concretizzano. Ora, subito, attraverso il dialogo e cercando di capire cosa si cela dietro queste realtà, se c’è solo del marcio o se c’è anche una gioventù in carne ed ossa che se affrontata con la repressione, come possibilmente avviene, può reagire con le unghie cacciandosi nei guai. Una parte di ultras non è solo ultras: c’è il cuore di una generazione che non ha più guida e che cerca modelli per non cadere, non falsi miti, santoni e personaggi costruiti da cinema e piccolo schermo. Inutile se non dannoso continuare a parlare esclusivamente di problema da risolvere, perché questo problema potrebbe spostarsi dagli stadi ai palazzetti, dai palazzetti al posto di lavoro, fino e di nuovo alla piazza. Un bubbone che rischia di scoppiare ancora, indipendentemente dal contesto e dal motivo che può genere il caso.

Occorre precisarlo, questa non vuole essere una difesa degli ultras. Vuole solo presentarsi come spunto di riflessione. Un mezzo attraverso il quale ci si possa confrontare su di un fenomeno che sicuramente è cambiato ed è forse, se non sicuramente, peggiorato rispetto a qualche anno fa (come hanno ammesso anche alcuni rappresentanti delle curve), ma rimane sempre un piccolo termometro della temperatura corporea del Paese. Come detto uno stile di vita, che forse va in direzione opposta rispetto alla via che ci vuole tutti uguali, ma che non è per questo da gettare nell’immondizia, pur se si nutre anche di estremismi da condannare.

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