Speciale Messina e il Risorgimento – Dai cannoni del “Re Bomba” all’elezione di Mazzini

Speciale Messina e il Risorgimento – Dai cannoni del “Re Bomba” all’elezione di Mazzini

Speciale Messina e il Risorgimento – Dai cannoni del “Re Bomba” all’elezione di Mazzini

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lunedì 02 Maggio 2011 - 07:53

La rivoluzione del 1848 fallisce e la città ne esce duramente provata. Ma nel luglio 1860 è pronta ad accogliere Garibaldi. La triplice vittoria del candidato Mazzini dopo l’Unità d’Italia

Il Quarantotto, con le sue rivoluzioni, travolgeva il Vecchio Continente e Messina, ancora una volta, ne recepiva subito le migliori istanze. Il moto siciliano partiva da Palermo, il 12 gennaio del 1848, e rapidamente coinvolgeva la città sullo Stretto che, nonostante le perdite umane significative registrate solo pochi mesi prima, partecipava a quel tentativo che le avrebbe riservato ancora una volta conseguenze di una certa gravità. La nuova insubordinazione della città non passava in secondo piano e Ferdinando II le riservava un trattamento durissimo.

Dal 29 gennaio all’8 settembre 1848 la città diveniva oggetto di un furioso scontro culminato con la celebre vicenda del suo cannoneggiamento (da cui l’appellativo di infamia e scherno “Re Bomba” che accompagnò la fama di Ferdinando II da quel momento) dalle navi e dalle fortezze cittadine la cui triste fama avrebbe accompagnato la memoria dei messinesi per diverse generazioni, specie nel caso della fortezza presso la Cittadella. Quei luoghi, simbolo di presidio e difesa militare, che avevano garantito la protezione di Messina contro Napoleone durante il Decennio inglese, diventavano ora strumento di morte e distruzione che si riversava sotto forma di palle di cannone e granate contro la stessa città. Il comitato rivoluzionario peloritano decideva allora di resistere ad oltranza opponendo «fuoco a fuoco e forza a forza», non senza dissensi interni specie ricordando le recenti repressioni e la chiara sproporzione di mezzi e risorse militari tra le forze in campo. La lotta, aspra e cruenta, vedeva i rivoluzionari prendere possesso di quasi tutte le fortezze cittadine fuorché la famigerata Cittadella, destinata ad entrare nel mito e nel costume popolare come simbolo stesso dell’oppressione contro le istanze di libertà messinese. La città in rivolta, nonostante l’attacco di cannoni e granate, riusciva comunque ad eleggere i suoi rappresentanti (6 deputati, di cui 3 per la città, due per i distretti ed uno per l’Università) presso la Camera dei Comuni del parlamento siciliano rivoluzionario, ottenendo nel contempo il ritorno alla condizione di Scala e Portofranco, misure particolarmente agognate per il rilancio di porto e commerci.

Nonostante le speranze di successo, la rivolta, in Sicilia come altrove in Europa era destinata ad essere stroncata nel sangue. La reazione borbonica risaliva la china proprio da Messina con un’iniziativa esemplare per durezza e crudeltà. Dall’alba del 3 settembre per i successivi 4 giorni Messina sarebbe diventata il bersaglio inerme di un massiccio bombardamento mentre circa 20.000 soldato borbonici la attraversavano da Sud (Contesse) per riprenderne il possesso. Lo spargimento di sangue e le inutili crudeltà che ne seguirono, coinvolgendo rivoltosi e popolazione civile scosse l’opinione pubblica europea più avveduta determinando la dura presa di posizione dell’ammiraglio inglese Parker che non esitò a denunciare la «furia dei napoletani […] incessante per otto ore, dopo che ogni resistenza era cessata».

Il Re Bomba tornava padrone del Regno, della Sicilia e di Messina, che ancora una volta pagava un prezzo altissimo alla propria tenacia e al desiderio di maggiore libertà politica ed economica cui seguiva un periodo di particolare crisi. La dura repressione seguita, la rinuncia ai progetti di maggiore autonomia da Napoli, l’esilio di molti intellettuali e di una generazione già decimata e scoraggiata dai fallimenti dei decenni precedenti, contribuiva a deprimere qualsiasi ulteriore progetto di rivincita nella borghesia liberale dell’isola e di Messina. Negli anni successivo al 1848, tuttavia, la politica del Re Bomba, Ferdinando II, apriva qualche spiraglio verso la città, distrutta dai bombardamenti del 1848, con alcune concessioni anche di un certo riguardo. Nel 1852 Messina poteva usufruire di alcune agevolazioni daziarie in alcune zone (fra Zaera e San Leone), mentre nello stesso anno venivano portati a compimento i lavori del teatro Santa Elisabetta ridando un nuovo respiro artistico e culturale alla città.

In attesa di un rilancio socio economico Messina doveva però subire la perdita di 10.000 abitanti nel 1854 a causa del colera, senza però arrestare un trend demografico di chiara ascesa che, superata la crisi della pandemia, si univa ad un clima economico e commerciale di maggiore fermento. Attività commerciali e produttive, negli anni Cinquanta, erano in netta ripresa, come indicavano la nascita e la diffusione di fabbriche in vari comprati (da quello agrumario alle concerie, dal settore cotoniero a quello serico) con grandi impieghi di manodopera ed un certo attivismo mercantile che coinvolgeva il porto cittadino, sempre più decisivo nell’azione di rilancio. Come già verificatosi in altri momenti, anche in questo caso il maggiore fermento socio economico determinava lo schiudersi di nuovi orizzonti politici, grazie anche ai contatti delle avanguardie politiche liberali della città con i maggiori centri politici del Risorgimento nazionale. La morte di Ferdinando II e la guerra d’indipendenza del 1859 facevano emergere in termini sempre più netti le nuove aspirazioni politiche della città, che guardava con ritrovato interesse alle scelte del moderato Cavour. Tra “gattopardismo” e sincera adesione ai nuovi ideali si creò in breve un clima eccezionalmente aperto alle nuove istanze nazionali. Al momento dello sbarco di Garibaldi a Marsala, Messina era già pronta al profondo cambio politico preannunciato dalle camice rosse dell’eroe dei due mondi.

L’arrivo delle truppe garibaldine a Messina avveniva il 27 luglio del 1860 chiudendo per la città la pagina borbonica, nonostante una minacciosa guarnigione borbonica rimanesse insediata nella Cittadella addirittura fino al marzo del 1861. Frattanto, il 21 ottobre 1860, oltre 26.159 messinesi erano stati chiamati a pronunciarsi sul plebiscito di annessione al nuovo Stato italiano, con esiti abbastanza chiari: su 24.738 votanti solo 8 si esprimevano contro l’annessione, iniziando così la nuova fase della città nella nuova nazione italiana, senza tuttavia perdere i caratteri di vitalità e fierezza di spirito che – come avrebbe dimostrato la vicenda della triplice elezione di Mazzini nel 1866 – avrebbero contraddistinto Messina ancora per gran parte della sua storia recente.(foto Sturiale)

Dott. Nicola Criniti

Borsista presso la Cattedra di Storia Contemporanea

Facoltà di Scienze Politiche -Università di Messina-

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