Lamagara. Il sogno di una strega

Lamagara. Il sogno di una strega

Tosi Siragusa

Lamagara. Il sogno di una strega

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lunedì 07 Agosto 2017 - 08:55

Un’esperienza sensoriale al femminile, potente nell’interazione teatro–danza, confida nei fermenti di maturazione delle menti

Dallo script di Vito Lo Scrudato, di grande valore letterario, che tratta di un processo per stregoneria nella Sicilia del '500, questa rappresentazione con una donna, la Donna protagonista, intesa quale essere luciferino, simbolo della disobbedienza di Eva, generatrice del peccato originale. Splendido testo quello inscenato nel giardino del Teatro dei 3 Mestieri dall’Associazione culturale “Confine Incerto”, già pluripremiato nel 2014, scritto da Emilio Suraci ed Emanuela Bianchi, con adattamento e interpretazione monologante della stessa.

È la storia vera della calabrese dell’entroterra, di Zagarise, Cecilia Faragò, ricca massara, testimonial della sofferta condizione delle donne (soprattutto quelle non irreggimentate) nel 1700 e fattasi utile strumento per la fine dei processi con abolizione del reato di stregoneria intorno al 1770, attraverso il sostegno del giovane avvocato catanzarese Giuseppe Raffaelli: e sono trasposti gli abusi, le sopraffazioni verso il femminile, quello arcaico e misterioso, non reputato in grado di pensare, parlare e ancor di più di disporre di beni e sostanze, in quanto costola e pertinenza del maschile: così la protagonista, rimasta vedova, è oggetto di spoliazione in favore del figlio, manipolato dalla chiesa famelica. I suoi tentativi di civile ed eroica esistenza sono soffocati dalla barbarie, perché come sostiene Cecilia, “l’uomo quando ha paura punisce (oppure è la Legge di Dio)”. Grande è stata la perizia della Bianchi e la sua voce, sempre ben modulata, ha avuto il supporto della presenza scenica, con i movimenti di danza a far da perfetto complemento del personaggio, in uno alle canzoni intonate con vera sapienza. L’atmosfera è stata ricreata con tocchi scenografici minimalisti d’effetto, per suggellare il ricorso di Cecilia a magiche pozioni e unguenti, creme e filtri e divinazioni tramandatele dalle ave e da lei usate con appropriatezza. La magara secondo gli omologati reca in sé tracce del peccato, turba e perturba le (cattive) coscienze dei ben pensanti ed è reputata eretica (mentre è solo indipendente) concepita quasi una simil Medea, ma anche una novella Giovanna D’Arco nel suo eccessivo immolarsi per una causa, in un orizzonte contrassegnato ancora dal predominio del machismo in lotta con il corpo delle donne, quando non sono, come si vorrebbe, solo fattrici. Resta aperto, ma solo per i “regolari”, il dilemma ontologico sulla personalità di Cecilia, ma per quelli come noi, irregolari, e donne, la soluzione è pacifica. Cecilia è stata “soltanto” una persona, già completa in sé al di là e oltre il suo essere figlia, moglie e madre (di) e la sua vittoria segna un punto a favore nel percorso ancora irto di ostacoli del riscatto femminile, poiché è riuscita dalla sparuta periferia del Sud a far sentire la sua voce e farla divenire emblematica, fino alla corte di Ferdinando di Borbone.

Il giovane Teatro dei 3 Mestieri, insomma, è sempre più una conferma e anche con la sua stagione estiva, sempre graffiante, continua a dare gran prova di professionalità: e il pubblico risponde – pur in questo agosto particolarmente torrido – dimostrando grande apprezzamento anche per l’offerta incisiva e di qualità dell’aperitivo rinforzato a prezzi competitivi. Confidiamo ancora e sempre nell’esercizio della vigile razionalità e nei lumi della civile convivenza,ancor oggi che quello che è denominato femminicidio – ma che sarebbe più giusto definire con Guido Ceronetti “ginecidio” – persiste nella moderna Italia, come nel Regno delle due Sicilie, in diversa forma, a far sterminio, per la smania di controllo delle coscienze femminili prima che dei loro corpi.

Tosi Siragusa

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