E adesso parlo io. Un racconto in prima persona

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Tosi Siragusa

E adesso parlo io. Un racconto in prima persona

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domenica 21 Maggio 2017 - 05:29

Genesi di multiformi scarti di cuore di diciotto personaggi in cerca di vita e voce

Nel penultimo appuntamento teatrale presso la saletta Chaplin di Catania – della stagione capitanata da una grande Elisa Franco – il 13 e 14 maggio è stato portato in scena il mio testo già pubblicato nel 2015 dalla casa editrice Pungitopo e rappresentato nel mese di giugno di quell’anno presso il castello di Montalbano. Da sempre incantata dalla possibilità di abitare tanti mondi ho cercato di intonare diversificate voci femminili e modularle per poterle prestare a diciotto figure, perseguendo l’idea di far mettere in scena, con riferimento a momenti storici e luoghi anche molto distanti, l’identità di donne con molto di diverso ma anche di comune e che racchiudessero ciascuna un po’ di me. Come un’ombra ho seguito passo passo senza mai giudicare quelle creature, trattenendo il respiro per non appannarle neanche con un mio alito.

Sono donne che hanno provato a accettare quel che veniva e nel frattempo a far entrare la vita vera, rotolandosi a occhi chiusi nella palude dell’esistenza:nello script ho immaginato la rappresentazione come una sorta di perlustrazione in 4D dei volti e corpi monologanti, con tre attrici di prim’ordine, ciascuna in sei ruoli, in una densissima prova attoriale, libere di esprimere la loro gestualità e i percorsi scenici, e liberi anche gli spettatori di far da sé la regia del proprio sguardo, puntando ora sulla sempre ineccepibile recitazione, altre volte sulla piega di un mio costume vintage temporalmente adeguato, o su un dettaglio scenografico minimalista, o ancora su un passo di danza, o sulle immagini di repertorio e sui congrui filmati di presentazione introduttivi di ogni personaggio o infine soffermandosi sulle splendide e consone musiche di sottofondo. La resa della mise en scene è stata eccellente e in uno commovente: e così in quelle confessioni e liberatorie autoanalisi si sono alternati registri diversi, ora toni sommessi, ora spirito sferzante e pungente. In ogni caso il ribollente magma sotteso, essendo di difficile componimento, ha fatto sì che ogni artista ed eroina presentasse quale cifra predominante l’essere appassionata. Le splendide interpreti Elisa Franco, Martina Minissale e Melania Puglisi sono riuscite a ben filtrare le emotività e il mio sentire attraverso l’eccellente egida registica della stessa Franco. Letizia Contadino ha contribuito alla riuscita dello spettacolo occupandosi del suono e Giovanni Franciò ha approntato i suggerimenti per le scelte musicali. Altri cinque personaggi frattanto sono stati da me concepiti e attendono di avere la parola: Zelda Sayre in Fitzgerald, Sara Bernhardt, Ifigenia, Salomè e Carmen. Per restare però alla rappresentazione, è stato come se nella grande casa della Carrozza degli artisti una variegata compagnia di esseri si fosse idealmente riunita: tutte donne, e il misterioso assente è risultato essere l’uomo, la cui mancata presenza ha generato un assordante silenzio. Preconcetti maschilisti hanno sempre pesato nel tempo, a partire da Esiodo – che attribuisce ad una donna, Pandora, la comparsa nel mondo di ogni sofferenza- e citando anche la Bibbia – per cui la donna è più amara della morte – anche fra le menti cosiddette illuminate: si citano, e solo a titolo esemplificativo, Kant, Schopenhauer, Darwin, Nietzsche, Freud, Einstein, tutti scettici sulla possibilità che un cervello sublime avesse potuto albergare in un corpo femminile. Dunque, donne, per alcuni pericolosi giocattoli, instabili e biologicamente inferiori, un minus in campo scientifico, artistico, del pensiero filosofico e anche ai nostri tempi ancora si fatica socialmente a riconoscere appieno nell’esistenza delle donne un poter essere, al di là dei ruoli di figlie, sorelle, mogli e madri e anche in campo politico e professionale si contano molti distinguo. Conoscere e superare culturalmente il pregiudizio con adeguati percorsi educativi si rivela presupposto fondamentale per sconfiggere anche la conseguente violenza ancora perpetrata nei confronti della donna. Oggi dunque è ancora necessario lottare intorno al corpo, alla libertà delle menti e delle coscienze femminili e come sostenuto dal personaggio archetipico, Virginia Woolf nel monologo di apertura, nel conflitto fra i sessi sono importanti anche gli atteggiamenti femminili, ove spesso però l’asticella dei sogni e delle personali ambizioni è ancora tenuta troppo bassa: “Siate elevate, spirituali, e potrete incidere sull’avvenire”. Molte battaglie son certo ancora da fare per questa benedetta parità, ma uscire dal cono d’ombra è la prima condizione,e pretendere attenzione e identiche opportunità, e combattere, combattere sempre per buttare giù muri e pregiudizi, facendo circolare buone energie con coraggio, pazienza, pervicacia e resilienza.

In linea con la mia idea di teatro quale arma di istruzione di massa e di formazione – sulla scorta dei nostri antenati, i teatri antichi all’aperto – e di imitazione della vita per farla divenire migliore, questa rappresentazione ha voluto ragionare sul femminile, nell’arte e non solo, attraverso sette immense artiste e undici personaggi, storicamente esistiti (quale Cleopatra) o creati per artifizio e resi imperituri e immortali, figure mitologiche o esemplari nel comune sentire. Potrebbe erroneamente sembrare a prima vista che il tratto comune di queste figure sia la soccombenza – e infatti tutte hanno vissuto la loro personale Stalingrado – ma è invece la passione, ed è per questo che, reali o immaginifiche, esse vivranno sempre, vittoriose e fulgide nella memoria. L’interrogativo di fondo, consegnato agli spettatori, unitamente all’esortazione di farsi strumento di trasmissione del loro ricordo è: “Ci si libererà mai dalla condizione di solitudine femminile?”

Tosi Siragusa

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