In scena al Teatro Auditorium di Pace del Mela, “L’assunzione”.

In scena al Teatro Auditorium di Pace del Mela, “L’assunzione”.

Laura Giacobbe

In scena al Teatro Auditorium di Pace del Mela, “L’assunzione”.

Tag:

domenica 07 Dicembre 2014 - 17:21

La regista Laura Giacobbe ci racconta i retroscena del suo debutto.

E’ il 14 agosto, la vigilia della festa dell’Assunzione; una torrida giornata di scirocco in una cittadina del sud d’Italia. E’ questa l’atmosfera in cui si dipanano le vicende narrate da “L’assunzione”, la piece che segna il debutto della regista Laura Giacobbe, per molti anni aiuto regista di Ninni Bruschetta.
I due protagonisti sono Mario e Antonio (Mario Incudine e Antonio Alveario), un giovane disoccupato che si da da fare come può per tirare avanti ed un intellettuale imborghesito, che vive scrivendo tesi di laurea a pagamento; due amici, tra loro molto diversi, che con la scusa di un tubo da riparare si ritrovano a parlare della vita, innescando, quasi senza volerlo, un acceso dibattito sulla durezza dei tempi che viviamo.
Lo scenario è quello di una città come tante d’Italia, attraversata dalla crisi; la crisi occupazionale, ma anche e soprattutto la crisi dei valori, una realtà in cui, per sopravvivere, spesso e volentieri si è costretti a scendere a patti con la propria coscienza.
Questi personaggi, un po’ scalcinati, con le loro storie ci raccontano il loro punto di vista, come tante finestre che, affacciando su un unico cortile, vedono la stessa realtà da tante diverse angolazioni: il ragazzo di buona volontà, che nonostante la speranza di un futuro migliore cominci a venire meno, si mette in gioco e lotta fino all’ultimo per non perdere l’integrità morale; il professore innamorato della propria cultura, ma costretto a vederla svilita in una società in cui la meritocrazia è un’utopia e l’impegno un disvalore; e poi c’è chi è cresciuto per la strada, ed ha imparato che, se non ti fai rispettare con le maniere forti, rischi di venire schiacciato.
Un’atmosfera densa, accorata, mantiene però viva, al suo interno,la speranza riposta nel divino, che sembra l’ultimo scoglio a cui appigliarsi per porre fine alle angosce della quotidianità.
Con queste parole, la regista ci racconta i retroscena del suo debutto:

-Come è nato il progetto di questo spettacolo?
-Lo spettacolo nasce da una mia semplice idea di scrittura: quella di utilizzare questo fenomeno devozionale, che è la vara, come spunto per raccontare i tempi in cui viviamo, con tutte le varie problematiche sociali, dal bullismo, alla mancanza di meritocrazia, all’incapacità delle istituzioni di far fronte a questo stato di cose.
Sono contenta del risultato finale, vista anche la disponibilità non proprio elevata di mezzi economici su cui potevamo contare. Ma sono contenta soprattutto della grande coesione che si è creata all’interno della compagnia.

-All’interno dello scenario di crisi che dipingi, la fede sembra l’unico valore a rimanere in piedi. Tuttavia questa immagine della Madonna che fa da sfondo alle vicende, da punto di riferimento per i devoti sembra venire strumentalizzata, trasformandosi in mezzo per allontanare da sé la responsabilità.

-Si, diciamo che viene sottolineata la vacuità dei messaggi che chi si trova al potere spesso rivolge al popolo. In questo caso viene presentata l’immagine dei cittadini che, devoti, guardano alla Madonna come ultima ancora di salvezza, ma nello stesso tempo sperano di ricevere dalle istituzioni un conforto più concreto. Al contrario, tutto ciò che ricevono sono frasi standardizzate, che affidano alla Madonna il compito di far fronte alla crisi, permettendo loro di sciacquarsi la coscienza.

– Ognuno dei personaggi cerca la propria strategia di sopravvivenza alla crisi. A volte è costretto a scendere a compromessi e sembra che ognuno di loro provi a crearsi una giustificazione. Il professore dice “Io non me lo posso permettere di vergognarmi”. Mario giustifica la sua intenzione di derubare il suo principale, definendo questo atto un risarcimento, per l’offesa che questi gli ha arrecato pubblicamente.

-Si, questi comportamenti dimostrano come, purtroppo, nei momenti di difficoltà, scricchiola la fede e scricchiola anche l’onestà di ognuno di noi. La differenza tra i due personaggi sta in questo: Mario è fondamentalmente un onesto, e resiste al compromesso finchè può, mentre il professore è un intellettuale, di quelli che parlano tanto e concludono poco. La sua figura è costruita per essere una denuncia all’assenza di coinvolgimento attivo da parte degli intellettuali, di fronte alle problematiche sociali. A questo proposito, per me una delle frasi più belle di tutto il testo, è la frase detta da Mario al professore, che fa così: “Le cose che mi fanno la bocca amara, per te hanno il sapore della tua opinione”. Come a voler dire che c’è chi può permettersi il lusso di “fare l’impegnato nel sociale”, senza però sporcarsi le mani.

-In questa lotta tutti contro tutti, sembra trionfare la legge del più forte, incarnata dalla figura di Neanderthal, il boss del quartiere, che ottiene il rispetto con l’intimidazione.

-Si, eppure vediamo come anche lui sia una figura molto complessa e non così elementare come appare all’inizio. Innanzitutto scopriamo la sua tenerezza, dietro questa maschera che si è costruito. Intuisce le carenze della società nella mancanza di tutela e di servizi sociali per le persone in difficoltà. Così decide di chiudere in casa il fratello disabile, per proteggerlo tanto da tutto quello che c’è, quanto da tutto quello che NON c’è la fuori. Ma Neanderthal svolge anche una funzione mediatica,lancia un messaggio che dice “mai sottovalutare i disperati”, perché se le istituzioni non aiutano, ognuno deve pensare per sé. Sono le carenze della società a creare la delinquenza!

-Uno spettacolo di forte denuncia, in cui tu riesci comunque a disegnare un finale positivo. Come?

-La soluzione, in fondo semplicissima, i personaggi la trovano nella più elementare forma di bontà, forse l’unica cosa che ci può ancora salvare dal disantro: il delinquente Neandertal si riscatta salvando Mario dalla disonestà, offrendogli un lavoro onesto e utile nell’assistenza del fratello. Mario trova un’occasione nobilissima di riscatto nell’aiuto del più debole. Infine il professore comprende che non si può solo parlare, ma che per poter avere voce in capitolo ed essere credibili, bisogna imparare a sporcarsi le mani.
La morale della storia in fondo è questa: che siamo tutti sotto lo stesso cielo, e in questa realtà che chiamiamo illegalità, ognuno di noi ha una parte di responsabilità.

0 commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenta
Tempostretto - Quotidiano online delle Città Metropolitane di Messina e Reggio Calabria

Via Francesco Crispi 4 98121 - Messina

Marco Olivieri direttore responsabile

Privacy Policy

Termini e Condizioni

info@tempostretto.it

Telefono 090.9412305

Fax 090.2509937 P.IVA 02916600832

n° reg. tribunale 04/2007 del 05/06/2007