Sfogo dei dipendenti Atm: «Giocate quanto volete ma nel frattempo pagateci»

Sfogo dei dipendenti Atm: «Giocate quanto volete ma nel frattempo pagateci»

Sfogo dei dipendenti Atm: «Giocate quanto volete ma nel frattempo pagateci»

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mercoledì 29 Giugno 2011 - 07:31

I disservizi trasporto pubblico costringono lavoratori e utenti a bordo degli stessi mezzi, che il più delle volte però sono fermi in deposito. Oggi sono 17 i bus che mancano all’appello. I lavoratori scrivono agli amministratori

Si lamentano gli utenti, si lamentano i rappresentanti delle istituzioni e, come ormai avviene da tempo, si lamentano anche i dipendenti. Parlando di Messina non è semplice indovinare a quale delle tante problematiche cittadine si faccia riferimento, in questo caso però (che novità!) parliamo di Atm. Alla cronica carenza di autobus, (oggi 17 i mezzi rimasti fermi in deposito, informano dagli uffici dell’azienda), si aggiunge l’altrettanto endemica sofferenza occupazionale che vede ancora una volta i lavoratori protagonisti di una lettera/sfogo diretta ai vertici aziendali e politici, perché «nella città di Pinocchio – scrivono – tutto può accadere. Non pagano gli stipendi a noi dipendenti pubblici, pur se, non omettiamolo, l’Atm è ancora pubblica. Ciò vuol dire che il Comune deve farsi carico, suo malgrado, dei debiti dell’azienda. Allora qualcuno ci spieghi come mai noi dipendenti siamo considerati “pubblici” solo nei doveri, per cui non possiamo scioperare se non garantendo le fasce orarie, non possiamo gridare la nostra disperazione non andando a lavorare, giacché rischieremmo una denuncia per interruzione di pubblico servizio. Al momento di corrisponderci lo stipendio però ci si dimentica di questa nostra posizione “privilegiata”, trattandoci alla stregua dei lavoratori privati (non ce ne vogliano codesti)»

I lavoratori parlano di continue menzogne diventate humus, parte integrante di un territorio, che confondono le idee ai cittadini per mascherare in maniera maldestra le inefficienze altrui. «Così – si legge nella lettera – l’ilarità del cittadino comune non si sfoga nelle stanze di Palazzo Zanca, ma, con le cadenze necrofile della ripetitività infernale di una catena di montaggio, sempre e contro quel povero disgraziato che, con assurdo senso di responsabilità, continua a lavorare pur senza percepire la maturata retribuzione, nonostante le bollette che crescono, nonostante debba pagare lui quella crisi che non ha creato, lui criticato senza neanche conoscere, diventato ormai parte di un popolo larva, talmente senza dignità da strisciare e a implorare».

E sempre a proposito di stipendi, i dipendenti affermano:« è una parola che fa paura a quelli che comandano, a chi sguazza nel letame che ha creato, a chi protegge se stesso ed i suoi privilegi, a chi è cosciente di rubare ogni giorno il respiro, la dignità, la stessa vita di chi nel fango affonda, di chi beve il fango fino ad affogare. Una parola molto semplice, eppure radicale e forte.
Così coloro i quali del servizio pubblico dovrebbero beneficiare, i cd “cittadini-utenti”, si ritrovano a dover andare a casa o al lavoro a piedi. Spesso si nota una migrazione. Chi aspetta invano alla fermata, quando arriva, avverte che manca l’autobus e tutti se la fanno a piedi. Una sregolatezza fuori controllo, ormai assurta a livelli parossistici da mercato, che è sintomo della discesa agli inferi di un’intera città, assurta a squallido cliché.»

In ultimo una considerazione che suona quasi come un avvertimento: «Qualcosa faremo questo è certo. Non più silenzio, né immobilismo, non da parte nostra almeno. Se non lo facessimo l’ulteriore passo sarebbe quello definitivo nel vuoto, nel baratro. Potete giocare all’infinito, ma nel frattempo pagaterci».

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