Franco Di Mare, la vita straordinaria di un uomo e il suo Vivere per raccontarla

Franco Di Mare, la vita straordinaria di un uomo e il suo Vivere per raccontarla

Laura Giacobbe

Franco Di Mare, la vita straordinaria di un uomo e il suo Vivere per raccontarla

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lunedì 21 Dicembre 2015 - 13:33

Intervista allo scrittore e giornalista partenopeo, a Messina per presentare il suo ultimo romanzo "Il teorema del babà" edito da Rizzoli

Uno dei grandi nomi del giornalismo italiano, per tanti anni in giro per il mondo come corrispondente di guerra, oggi conduttore televisivo per la Rai con Uno Mattina, marito e padre innamorato. In occasione di un firma copie organizzato dalla libreria “La gilda dei narratori”, Franco Di Mare ci ha concesso un’intervista, e con la semplicità degli animi grandi ci ha raccontato di sé, della sua vita e del suo ultimo romanzo, “Il teorema del babà”.
Uno sguardo schietto, quello con cui ci guarda, riflesso di una esistenza piena, di chi ha incrociato tante volte il dolore sul suo cammino, ma ha trovato la forza nei propri ideali e la guida nelle proprie radici… di chi ha saputo scovare il proprio talento, innamorarsene e metterlo al servizio degli altri con onestà e rettitudine. Ci dà l’idea di un uomo che ha trovato la sua compiutezza, la sua serenità, e che oggi riesce a guardare l’imperfezione del mondo e a coglierne, nonostante tutto, la bellezza… per farne dono, con le parole, a chi non riesce ancora.

Come può, chi ha toccato con mano le atrocità della guerra, tornare alla quotidianità portando dentro quel senso di impotenza e di sgomento?
Non è facile, devi riuscire a chiudere la porta e a lasciare fuori quello che ti porti dentro. E’ un po’ come per gli oncologi che combattono contro la morte ogni giorno. A volte ce la fanno, a volte no… Sai di lottare contro qualcosa che è più grande di te, ma continui comunque a lottare, perché sai che la tua lotta è giusta. Bisogna prendere consapevolezza che non si possono risolvere i problemi del mondo, ma che è giusto che ci impegniamo comunque, perché siamo parte di una comunità e abbiamo dei doveri verso la comunità, non soltanto verso i fatti nostri. Forse la cosa più difficile è tornare a casa e vedere la gente che se la prende per sciocchezze, quando altrove la questione è “mangerò o non mangerò oggi? Riuscirò a sopravvivere o sarò morto prima di arrivare a stasera?”

Parlando di giovani e difficoltà lavorative, lei ha detto che bisogna riuscire ad “intercettare la propria vocazione”…
Si, e non è una cosa semplice. Chi è fortunato ci riesce subito, ma a volte si finisce per fare qualcosa di totalmente lontano dalla propria vera vocazione. Magari ci si ritrova a fare l’ingegnere e si avrebbe voluto essere un pianista o viceversa. In questo senso, le guide sono fondamentali. Bisogna avere dei genitori che lascino fare e degli insegnanti che riescano a percepire dove tende l’animo di quel loro alunno. Solo così si può aiutare un bambino a leggere dentro di sé ed a capire chi è veramente prima di diventare vecchio.

Lei come ha capito che la sua vocazione era quella di raccontare storie?
Perché mio padre le raccontava a me. Mi ha educato alle storie fin da quando ero bambino, e lo ha fatto con la tecnica che si usa per catturare le spigole sottacqua. Ci si apposta dietro uno scoglio e si aspetta che la spigola venga fuori da sola, per catturarla. E’ il principio della curiosità. Lui rientrava a casa con un libro e si metteva in un angolino a leggere. Se gli chiedevo “che cos’hai lì” mi diceva “niente, non è per te”, lo faceva apposta. Io, incuriosito, mi affacciavo a guardare, e allora lui mi diceva “vieni qua che papà ti legge”.E io mi innamoravo della lettura. La spigola ero io.

Quanto c’è di tecnica e quanto di sensibilità nel mestiere del giornalista?
E’ un’arte complessa che si apprende con l’esperienza. Il bravo giornalista si mette al servizio della notizia, deve farsi da parte, scomparire per lasciare spazio all’intervistato. Però nello stesso tempo deve riuscire ad intuire cosa accade nell’animo di chi ha di fronte, sapere tacere o incalzare al momento giusto. E’ un’abilità che non è da tutti, e che richiede cultura, attenzione e sensibilità.

Nel suo ultimo romanzo, “Il teorema del babà”, la cucina e l’amore sono messi a confronto. Qual è per lei l’ingrediente fondamentale per la solidità di una coppia?
Gli stessi che servono per fare il babà: cura, attenzione, dedizione… nel babà servono pochi ingredienti, ma basta poco per combinare un disastro. E lo stesso nell’amore. Se non ce ne si prende cura, un piccolo errore si accumula a un altro e piano piano il sentimento si spegne. Ci vuole una grande attenzione e un grande ascolto.

Un altro tema è quello dell’apparenza che domina il nostro tempo. La svolta arriva quando i personaggi gettano la maschera e si mostrano nella loro interezza, nella loro autenticità…
Questi personaggi sono degli archetipi, mostrano ciò che siamo nella vita di tutti i giorni. C’è chi all’apparenza vorrebbe non cambiare niente, chi invece sembra voler stravolgere tutto. Ma noi non siamo mai soltanto quello che appariamo, siamo anche ciò che abbiamo dentro e a volte le due cose non coincidono. La vita è una lotta continua tra ciò che vogliamo e ciò che dobbiamo essere, però la nostra autenticità, chi siamo veramente, è qualcosa di insopprimibile, che viene fuori nelle manifestazioni più strane, con l’arte, con la rabbia, con la follia… ma prima o poi viene fuori. Le persone più felici sono quelle che hanno risolto la loro relazione con se stessi.

Il sentimento di amore-odio con cui ha descritto il rapporto con la sua terra, Napoli, è un concetto familiare anche a noi siciliani. Cosa consiglierebbe a chi sceglie di partire e a chi, invece, decide restare?
Noi siamo i luoghi della nostra infanzia, dicono gli psicanalisti, e io sogno che un giorno le mie ceneri vengano sparse sulle acque del mare dove sono cresciuto… così sogno che avvenga, come una fine che è anche un inizio eterno. Anche chi scappa non potrà mai dimenticare i luoghi in cui è cresciuto, perché sono parte della sua stessa essenza. Eppure la terra, a volte, da madre diventa “matrigna”, quando ci tradisce, quando non ci guarda… Si legge nell’Antologia di Spoonriver, “il brutto della vita è che i nostri cuori inseguono stelle che non ci guardano”. Allora, io non ho consigli veri da dare a chi decide di partire o di restare, ma di sicuro provo una grande simpatia per chi rimane, perché chi rimane si incazza, ma lo fa con un amore sviscerato. E’ come l’amore per una donna che ti tradisce. La ami perché ti scorre sotto la pelle, sai che ti tradirà, ma continui ad amarla perché credi che prima o poi il tuo amore vincerà. Allora chi resta e si incazza, magari sarà chi riuscirà veramente a cambiare le cose.

Laura Giacobbe

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