Da Messina il manifesto per il nuovo anziano. Al Dicam il convegno internazionale di studi
Messina – La società della performance, della produzione e del consumo lascia indietro tutti quelli che non possono stare al passo e non “servono” più. Tra questi gli anziani che, con le nuove tecnologie in costante cambiamento rapido e l’avvento dell’AI rischiano di trovarsi ancora più ai margini. In una società che invecchia come la nostra ciò vuol dire mettere ai margini una parte sempre più grande della popolazione. Ecco perché restituire valore all’anziano oltre gli stereotipi è una sfida che la nostra civiltà accelerata deve accettare. O almeno dovrebbe.
I nuovi anziani

Non soltanto per restituire dignità ai new ageing, sempre più numerosi e con un’aspettativa di vita sempre più lunga, ma perché il reale valore dell’anziano è proprio quello che può restituire una prospettiva umanizzante a una società che, spinta nell’accelerazione dei nuovi processi produttivi, rischia la disumanizzazione.
Convegno internazionale a Messina
Ha certamente accettato la sfida, intanto, il convegno internazionale di studi filosofici che si è tenuto al Dicam dell’Università di Messina, organizzato dallo stesso Dipartimento di civiltà antiche e moderne UniMe e dal Dipartimento di Teologia morale dell’Università di Malta. “Il futuro dell’anziano, prospettive umanistiche” è il titolo del simposio che vede nel comitato scientifico i professori Marco Centorrino, Anita Di Stefano, Maria Laura Giacobello, Marianna Gensabella, Pietro Grassi e Ray Zammit, con la segreteria organizzativa di Emanuela Giorgianni (al link la locandina con sessioni e partecipanti).
Anziano o vecchio?
Due giorni di tavole rotonde e dibattiti con nomi internazionali del mondo accademico, filosofico, teologico e sociologico che hanno analizzato gli stereotipi che ruotano intorno e schiacciano l’anziano e che hanno origine nella rivoluzione industriale e, più indietro, nel paradigma scientifico moderno. Stereotipi alimentati dal cinema e i media che si muovono tra la rappresentazione del “vecchio”, bisognoso di assistenza e peso per le famiglie e il welfare e il “nuovo vecchio”, integrato solo a patto che sia ancora produttivo, utile, performante, anche al prezzo di scadere nel giovanilismo macchiettistico. Perché i nuovi anziani sono già tra noi e i mass media se ne sono già accorti e ci puntano. Il riferimento nel titolo è a Orietta Berti come simbolo della donna over ancora attiva e di successo, un ottimo modello se riferito alla gente di spettacolo ma a rischio caricaturale se traslato alla gente comune.
Derive tecnologiche e umanità in cerca di nuove dimensioni
Eppure, è la riflessione che arriva dal convegno messinese, sono proprio le caratteristiche dell’anziano che offrono una chiave di salvezza dalla disumanizzazione. Gli innegabili limiti dettati dal decadimento fisiologico, il pensiero lento, la prospettiva della malattia e della morte che sempre più tendiamo a rimuovere (è del 2018 il primo articolo su Nature che ipotizza la possibilità teorica, per la scienza, di giungere all’immortalità), sono quelle che, oggi come nelle civiltà più antiche, contribuiscono a guidare le generazioni più giovani, le chiamano al confronto, offrono uno specchio di saggezza e di umanità insomma, sono essenziali per la costruzione del pensiero e della coscienza di una società intera, soprattutto quella chiamata alla sola azione come quella che ci si prospetta.
Quali prospettive per i nuovi over
Spunti sono arrivati anche sul piano etico e morale: come uscire dalla dicotomia tra anziano e vecchio e cosa offrire? Spiritualità (laica e religiosa) e non solo medicalizzazione, relazioni e non soltanto compiti, per esempio. Insomma una chiave di realizzazione individuale che, lungi dal sottrarlo alla legittima esigenza di voler “invecchiare bene”, lo obblighi a non invecchiare.
