Sentenza Caso Messina, le precisazioni del giudice Lembo

Sentenza Caso Messina, le precisazioni del giudice Lembo

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lunedì 27 Ottobre 2014 - 08:14

Riceviamo e pubblichiamo le precisazioni e le "note a margine" dell'avvocato Renato Milasi, difensore di Lembo, alla sentenza della Corte di Cassazione relativa al processo sulla gestione del pentito Sparacio

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Procuratore Generale di Catania e delle parti civili Colonna Ugo e Paratore Vincenzo in ordine alla denunciata assoluta insufficienza ed erroneità, anche tecnica, delle motivazioni della sentenza resa dalla Corte d’Appello di Catania depositata il 1° luglio 2013, dopo oltre tredici mesi dalla lettura del dispositivo in aula e per tale effetto l’ha annullata nelle statuizioni adottate sulle posizioni del dottor Lembo Giovanni Lembo – prescrizione del reato di favoreggiamento, previa esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 della legge 203/1991 – e di Antonio Princi – assoluzione dei reati di calunnia e minaccia perché il fatto non sussiste.

Ha annullato altresì la condanna alla pena di anni 7 di reclusione per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, inflitta al dottor Marcello Mondello, accogliendo integralmente i motivi di ricorso dallo stesso presentati – che il Procuratore Generale della Cassazione dott. D’Ambrosio ha definito “tutti fondati” ed allo stesso modo si è testualmente pronunciato sulla impugnativa del dott. Lembo.

La Suprema Corte ha confermato la sentenza di condanna resa a carico di Luigi Sparacio, dichiarando inammissibile il ricorso presentato, con il quale si chiedeva soltanto un più mite trattamento sanzionatorio rispetto alla pena irrogata di 6 anni e 4 mesi reclusione; ha dichiarato inammissibili soltanto i motivi di ricorso del dottor Lembo correlati alla ritualità della costituzione di parte civile dell’Avvocatura dello Stato e del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Catania, che aveva a suo tempo proposto ricorso autonomo avverso la sentenza del Tribunale in sede, già gravata d’appello dal sostituto Procuratore presso la Procura ordinaria.

Per il resto la Corte Suprema, con statuizione ineccepibile dal punto di vista tecnico, si è limitata dichiarare precluso l’esame dei motivi di ricorso del dott. Lembo con il quale si censurava la sentenza di primo e secondo grado e ne denunciava gli errori, le omissioni ed il travisamento dei fatti nonché il mancato esame di documenti incontrovertibili e di qualificate deposizioni testimoniali, quali dati di discolpa semplicemente e scrupolosamente ignorati dai giudici etnei.

L’esame di tutte queste estese censure era inibito alla Corte Suprema appunto, perché l’accoglimento dei motivi della Procura Generale di Catania, si ripete, correlati unicamente al difetto di motivazione ed alla grossolana erroneità delle argomentazioni di supporto della decisione nella parte che interessavano le due posizioni, a volte congiunte, non consentivano l’accesso alla disamina nel merito delle obiezioni dei soggetti privati ricorrenti, in questo caso, solo il dott. Lembo, o del dott. Princi, semplice controinteressato.

E’ certamente vero che il Procuratore Generale D’Ambrosio ha anticipato la volontà di esercitarel’azione disciplinare contro i componenti del Collegio penale di Catania, ma è altrettanto vero che ha chiesto ed ottenuto la trasmissione degli atti alla Procura ordinaria di Catania, e non per la difformità tra il dispositivo della sentenza ed il testo integrale – questo difetto semplicemente stigmatizzato – ma per la mancata apposizione del visto di deposito sul ricorso del Procuratore Generale di Catania da parte del Dirigente dell’Ufficio, vizio palmare dell’atto che poteva comportare la declaratoria di nullità del ricorso del P.G., pur tuttavia reputato ammissibile anche a tali abnormicondizioni dalla Corte di Cassazione.

Non è affatto vero però che la Corte Suprema abbia nella condotta del dott. Lembo “ ravvisato l’aggravante di aver agevolato l’associazione mafiosa “ né che in Corte d’Appello questa sia stata “ riqualificata in aggravante semplice.

Che poi le lungaggini del processo abbiano “ giovato al principale imputato, l’ex applicato della Procura Nazionale antimafia Giovanni Lembo “ è contraddetto dai fatti sicuri che dimostrano il vivo interesse alla definizione della sua posizione da parte del dott. Lembo, il quale ha presenziato a tutte le udienze dibattimentali di primo e secondo grado (oltre 150), ha richiesto a suo tempo di essere giudicato con il rito immediato, non ha mai chiesto il differimento dei processi per impedimento suo o dei suoi difensori ed ha sollecitato per iscritto il deposito delle motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado, tardivo comunque in entrambi i casi, ed effettuato dopo un anno quasi dal Tribunale e dopo quindici mesi dalla Corte d’Appello, fatti per i quali il Consiglio Superiore della Magistratura ha informato la Procura Generale presso la Cassazione al fine di promuovere l’azione disciplinare per il colpevole e “ biasimevole “ ritardo, iniziativa alla quale si aggiunge quella di stesso tenore di tre giorni fa.

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