Violenza sulle donne. Perché è difficile ascoltare la loro voce?

Violenza sulle donne. Perché è difficile ascoltare la loro voce?

Emanuela Giorgianni

Violenza sulle donne. Perché è difficile ascoltare la loro voce?

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giovedì 26 Novembre 2020 - 08:00

Troppe le forme di violenza sulle donne. E troppa la difficoltà ad ascoltarle.

25 novembre 2020.
Un femminicidio in Calabria, uno a Padova.

Così si è risvegliata ieri l’Italia, così è cominciata la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne.

La violenza non ha calendario, per questo contro la violenza è necessario combattere tutti i giorni. Prima ancora, però, è necessario ascoltarla tutti i giorni, perché per combattere bisogna conoscere, e per conoscere bisogna ascoltare; ed essere ascoltate, per le donne, a volte, resta ancora un privilegio.

I dati

6 milioni 788 mila donne hanno subito nel corso della loro vita qualche forma di violenza fisica o sessuale.

In Italia, ogni 3 giorni una donna è vittima di femminicidio. Il 31% delle donne è stata vittima di violenza fisica o sessuale.

La legge n. 69 del 19 luglio 2019 (c.d. Codice Rosso) ha come obbiettivo rafforzare la tutela delle donne con diverse nuove misure, per esempio accelerando la procedura penale; intervenendo su alcune fattispecie del codice penale preesistenti, aumentando la pena per il delitto di maltrattamenti, atti persecutori e violenze sessuali; ed inserendo quattro nuovi delitti nel codice penale: diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (il cosiddetto revenge porn), deformazione della persona mediante lesioni permanenti al viso, costrizione o induzione al matrimonio, violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati.

Neanche questo passo importante, sebbene servino ancora fondi, strutture e politiche efficaci, è bastato a segnare una battuta d’arresto per una violenza così radicata nel nostro sistema, per una violenza che è, prima di tutto, un problema culturale. Solo nel 2020, 91 sono state le donne a perdere la vita in Italia.

Solo a Messina e solo nel periodo tra gennaio e settembre 2020 sono stati troppi gli atti persecutori emersi, le violenze, i maltrattamenti. E Messina, quest’anno, ha perso la sua Lorena.

Non si può negare la drammaticità di questi dati, la drammaticità di una violenza di genere, fatta dagli uomini sulle donne in quanto donne. Nonostante ciò, troppo spesso viene negata, per questo solo il 14% delle donne ha il coraggio di denunciarla.

Perché sanno che non riceverebbero ascolto. Perché quando si parla di violenza sulle donne c’è sempre un “però”.

Quel “però”

Però, se non si fosse comportata così magari non le sarebbe successo niente”. Questa è solo una delle tante frasi che si sentono quando si parla di violenza fisica o sessuale, seguite dalle ancor più aberranti domande: “ma come era vestita? Era ubriaca?”; o dalle considerazioni sul carnefice in questione, del tipo: “però è un padre di famiglia, però è un così grande imprenditore”.

Questa mera retorica che cerca di sminuire l’accaduto, deresponsabilizzando il carnefice e trovando una colpa nella vittima, è ancora una volta violenza, una violenza altrettanto dolorosa, e preoccupante, perché riguarda tutti, perché forse tutti noi, uomini o donne, siamo stati sfiorati da questo “ragionevole dubbio”, e non bastano prove palesi, non bastano lividi, ferite ed una faccia spaccata dai pugni a dissolverlo.

Questa mera retorica è elemento di un sistema che alla vittima toglie voce, elemento di un sistema che lascia sola chi è sopravvissuta, che sola la fa sentire, e spaventata.

“Non tutti gli uomini”

Non è la storia di un singolo caso, lontano da noi, e quindi più difficile da comprendere come reale, non è la storia di quelle 91 donne che quest’anno hanno perso la loro vita in Italia, è la storia di tutti, una storia dal peso collettivo, figlia di un sistema che va avanti così da millenni, di cui il femminicidio è solo l’atto finale, ma che si compone di tantissime forme di violenza diversa, più difficili da riconoscere e troppo spesso tollerate o giustificate con la semplice frase “non tutti gli uomini sono così”: il “me ne lavo le mani” dei Ponzio Pilato dei nostri tempi.

Non essere così non è un pregio, un vanto, un merito, è la minima decenza umana, perché la violenza non è la normalità.

Per celebrare questa giornata non basta, quindi, dichiararsi contro il femminicidio e la violenza, è necessario riconoscere e ascoltare chi questa violenza l’ha vissuta, comprendendo perché sia così difficile parlarne, senza sminuirla, senza distaccarsene, senza pensare che non ci riguardi. Bisogna difendere narrazioni diverse, che ad una cultura della vergogna sostituiscano quella del rispetto.

Tante forme di violenza

Se un ex fidanzato diffonde le foto intime della sua ragazza quella è violenza, (ed un reato). È violenza, non una goliardata maschile. Un fischio o un commento indesiderato per strada sono violenza, non di certo una lusinga. La paura di tornare sole a casa la sera è violenza. La differenza di trattamento economico nelle aziende è violenza. La mercificazione del corpo è violenza. Il giudizio su ogni scelta è violenza.

“Non indossare quella gonna” è violenza; “non puoi uscire con il tuo amico” è violenza; “ti accompagno all’università, altrimenti come faccio a sapere se qualcuno ti guarda e tu ricambi lo sguardo” non è protezione, è violenza; la reazione di gelosia scatenata per lo scambio di un sorriso educato è violenza; dire ad una donna che non vuole figli di essere incompleta è violenza, così come è violenza dire ad una mamma “che hai da fare tutto il giorno?”; dire ad un bambino “piangere è da femminuccia”, anche quello è violenza.

È violenza ogni forma di controllo della libertà dell’altro.

Per combattere la violenza sulle donne bisogna fare attenzione, quindi, anche a quella violenza silenziosa, che fa sentire inadeguate, che rende insicure, quella violenza che ti vuole diversa, che cerca di manovrarti. Non lascia lividi ma è altrettanto dolorosa.

E per combattere la violenza sulle donne forse, anziché fare un passo in avanti, basterebbe farne uno indietro, lasciando che siano le vittime a parlare e limitandosi ad ascoltarle.

Ridare loro la voce che questo sistema tende a negare, e permetter loro di alzarla anche per tutte quelle donne che adesso non la hanno più.

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