Perché io sto con Fini

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mercoledì 15 Settembre 2010 - 08:11

L'unica cultura che riconosco è quella delle idee che diventano Azioni... Sempre, ovunque e prima di tutto...ITALIANI

Perché io sto con Fini,

di Giordano Gaetano.

Se si ripercorrono con attenzione le dichiarazioni e le battaglie fatte da Gianfranco Fini in questi ultimi anni emerge un quadro coerente, che è a mio avviso l’essenza del “finismo”, è ciò per cui io mi considero convintamente un “finiano”.

Innanzitutto la centralità dell’idea di res publica, a cui si collega l’idea di nazione intesa come condivisione di valori fondamentali e desiderio di un futuro comune.

Da qui due conseguenze: il primato dell’interesse generale sugli interessi particolari e dell’idea di bene comune su quello dei singoli, così come la consapevolezza che la nazione non ha una identità etnica, ma ha un carattere essenzialmente culturale che si fonda su una scelta: io amo l’Italia, io merito l’Italia, perchè credo nell’Italia e in ciò che essa rappresenta. La nazione non come un fatto ineluttabile, aprioristico, ma come un atto di volontà.

Il secondo punto è una rinnovata e non qualunquista, non demagogica riproposizione della questione morale. Nessuno ha titoli per scagliare la prima pietra, ma così non si può più andare avanti, la res publica rischia di affondare sotto un tasso di illegalità diffusa che tocca trasversalmente ogni settore della società. La prima risposta concreta è dunque la centralità delle regole, la questione del primato della legge e del suo rispetto. Insomma la questione della legalità.

Con essa va di pari passo il rispetto verso le istituzioni, tutte le istituzioni, e un ruolo non certo secondario hanno le istituzioni rappresentative della sovranità popolare, a cui spetta fare le regole, innanzitutto il Parlamento, e la magistratura, che quelle regole deve far rispettare. Ovviamente una magistratura che sia messa nelle condizioni di allontanare da sè interpreti deviati, cancellando il correntismo e introducendo il principio di responsabilità al suo interno.

Ma se esiste un interesse generale della res publica e valori fondamentali comuni della nazione è evidente che occorre saper unire e non dividere, c’è bisogno di una politica che sappia ricomporre le fratture della società, che ristabilisca rapporti di collaborazione e di dialogo civile tra maggioranza e opposizione. Da qui la necessità che sulle regole fondamentali si proceda non per avvantaggiare una parte a danno dell’altra, ma per far sentire tutti partecipi di una casa comune.

E veniamo così alle riforme: di cosa ha bisogno la res publica?

Quale è il vero handicap che paralizza lo sviluppo? E’ quello che da almeno 15 anni a questa parte fa sì che l’Italia cresca meno degli altri Paesi. Certamente il debito pubblico.

E allora è chiaro che occorre finalmente avviare una grande, seria, coraggiosa politica di risanamento del debito pubblico che non può essere basata su provvedimenti occasionali, sui cosiddetti tagli lineari, ma su riforme strutturali, non a tutti costi popolari. Uno statista è quello che sa fare quelle riforme che servono al Paese, non necessariamente quelle che servono a vincere le elezioni. In questo contesto, pur riconoscendo l’importanza del federalismo fiscale, non è corretto rinviare ad esso ogni aspettativa di risanamento, perchè: 1) del federalismo fiscale non si conoscono ancora i costi, che probabilmente in una fase iniziale saranno elevati; 2) i suoi benefici si esplicheranno non prima di 5 anni e l’Italia non può aspettare 5 anni; 3) non risolverà nel breve periodo i problemi di risanamento e di competitività del Mezzogiorno, che non può continuare ad essere il “problema dello sviluppo italiano”.

Risanare il debito pubblico e avviare una sempre più efficace lotta all’evasione fiscale (l’altra grave emergenza della repubblica) per poi che fare?

Essenzialmente tre cose, che devono essere avviate prima del termine della legislatura, stanno infatti nel programma che legittima la nostra presenza in Parlamento:

1) abbassare le tasse sulle famiglie, sulle imprese, sulla casa;

2) investire in ricerca e istruzione;

3) investire nella lotta alla criminalità, innanzitutto per liberare dal cancro opprimente delle mafie intere aree della penisola, che non cresceranno finchè l’economia sana sarà sottoposta al giogo del ricatto criminale.

Più in generale occorre ripartire dal programma del Polo delle libertà del 1994, quel programma che non è stato ancora pienamente attuato. Bisogna dunque innanzitutto avviare una grande stagione di liberalizzazioni, che non renda più opprimenti quei lacci e lacciuoli che paralizzano la vita di ognuno e che nessuno finora ha avuto la capacità di sciogliere in modo radicale semplificando realmente la vita del cittadino.

Infine la certezza della pena. Si è parlato tanto di giustizia e di rapporti fra politica e giustizia, forse se ne è parlato troppo; si è parlato troppo poco di ciò che più interessa al cittadino: che i delinquenti una volta condannati vadano in galera e ci restino.

In questo contesto anche la politica, che richiede esperienza e competenza, e non improvvisazione, deve tornare ad essere credibile iniziando dalle candidature, e dalle nomine, evitando di dare l’impressione che ci sia una casta di oligarchi che promuove solo chi fa comodo, chi è in vario modo compiacente o personalmente utile e non chi può ben rappresentare gli interessi generali degli elettori e le esigenze di una buona amministrazione.

E così si tocca il tema centrale della riforma della legge elettorale che consenta finalmente ai cittadini di scegliere chi li deve rappresentare, senza peraltro scadere in quella compravendita di voti che è tipica del sistema delle preferenze. Ma si tocca anche il tema della occupazione politica delle società ancora controllate dagli enti locali e quello, spesso collegato, dei doppi o meglio dei plurimi incarichi della politica. Dunque sono necessarie privatizzazioni reali e non mascherate, innanzitutto per recidere le unghie ad un moderno feudalesimo che continua a gestire in modo clientelare anche l’economia e basta con i parlamentari che fanno i presidenti di provincia e i sindaci di importanti comuni o con gli amici degli amici che occupano numerose poltrone in cda di enti pubblici.

Questi sono i temi messi sul tavolo della politica italiana dal “finismo”, che a me piace chiamare destra repubblicana: se avranno legittimità all’interno del Governo ne contribuiranno a ridare slancio e centralità, anche nel delicato rapporto con l’alleato leghista. In ogni caso dopo il 22 aprile hanno avuto una loro rappresentanza ufficiale all’interno della destra italiana e non sarà più possibile ignorarli.

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