I Cameristi del Maggio Musicale Fiorentino, interpretare i classici

I Cameristi del Maggio Musicale Fiorentino, interpretare i classici

giovanni francio

I Cameristi del Maggio Musicale Fiorentino, interpretare i classici

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venerdì 10 Novembre 2017 - 07:00

I solisti della famosa orchestra toscana interpreti dei capolavori della musica da camera

I Cameristi del Maggio Musicale Fiorentino hanno eseguito al Palacultura, per la stagione musicale delle Associazioni musicali riunite, un programma assai impegnativo, comprendente due opere di somma importanza nell’ambito della musica da camera, il celebre quartetto K 465 detto “Delle dissonanze” di Wolfgang Amadeus Mozart, e lo splendido quintetto per archi Op. 163, D. 956 di Franz Schubert.

Un folto pubblico ha assistito al concerto, nonostante lo stesso sia iniziato con un’ora di ritardo (alle 19) a causa di un ritardo aereo da Firenze. L’imprevisto fortunatamente è stato tempestivamente comunicato ai soci dal presidente dell’Associazione V. Bellini, per mail o sms, e ciò ha consentito la cospicua presenza degli appassionati, alcuni dei quali tuttavia, non avendo letto il messaggio, hanno aspettato per un’ora al Palacultura l’inizio dello spettacolo, ma l’attesa è stata ampiamente ricompensata dalla mirabile prova dei solisti di questa celebre orchestra, un vanto nel panorama della musica italiana. Il quartetto K 465 – detto appunto “Delle dissonanze”, è l’ultimo dei sei quartetti dedicati ad Haydn che Mozart finì di comporre nel 1785. Famosa è la lettera “Al mio caro amico Haydn” con la quale Mozart dedicò al suo illustre collega i quartetti; Haydn fu uno dei pochi musicisti che in vita comprese nella sua piena profondità la musica del genio salisburghese, e l’affetto che traspare dalla dedica ne è una inequivocabile conferma: “Eccoti dunque del pari, Uomo celebre, ed Amico mio carissimo i sei miei figli. Piacciati dunque accoglierli benignamente; ed esser loro Padre, Guida ed Amico”. L’appellativo “Delle dissonanze” è dovuto alla presenza di accordi dissonanti nell’ incipit del primo movimento.

Oggi, con l’orecchio moderno abituato a ben altre dissonanze, (ad esempio la musica di Strawinski o di Prokofiev) neanche facciamo caso a quelle contenute nell’introduzione del primo movimento, un adagio che precede l’allegro, ma ancora nel diciannovesimo secolo ci furono musicologi che si ritennero in diritto di apportare alcune correzioni, convinti si trattasse di errori di scrittura! Il singolare brano, così misterioso e carico di tensione, fu utilizzato anche da Pasolini per sottolineare i momenti più enigmatici del suo Edipo re. Il quartetto, dissonanze a parte, rappresenta un capolavoro assoluto nell’ambito della musica da camera, e se la struttura formale è simile a quella dei quartetti russi, appena pubblicati, dell’amico Haydn, in Mozart il linguaggio è arricchito da innumerevoli chiaro scuri, sfumature, ricchezze armoniche mai udite prima, e ciò non vale solo per il primo movimento “Adagio. Allegro”, ove, all’incipit misterioso e inquietante, grazie anche alle dissonanze, segue un allegro basato prevalentemente su un unico disegno musicale, che dopo un’apparente serenità iniziale si fa teso e drammatico. L’”Andante cantabile” che R. Strauss annoverò fra “i più importanti tesori musicali”, il “Minuetto”, che al suo interno contiene un appassionato “Trio” in minore, infine il Finale che anticipa già Schubert, sono tutti elementi che concorrono a fare di questo capolavoro un’opera fondamentale per la storia del quartetto d’archi, forse troppo avanti rispetto all’epoca in cui venne scritta. Il Quintetto in do maggiore D956, op. postuma di Franz Schubert, per due violini, viola e due violoncelli, appartiene alle supreme creazioni della musica da camera di tutti i tempi, e costituisce in tal senso il testamento spirituale di Schubert. Composto probabilmente uno o due mesi prima della precocissima morte del musicista, vide la sua prima rappresentazione ben ventidue anni dopo, al Musikverein di Vienna. Ascoltando il lunghissimo primo movimento “Allegro ma non troppo”, dalla durata di oltre venti minuti (ma parliamo di quella divina lunghezza schubertiana, come definita da Schumann) con la sua lenta e quasi maestosa introduzione, che precede il bellissimo tema principale, si ha immediatamente l’impressione di stare per assistere a qualcosa di grandioso. Il tema subentra del tutto naturalmente, come per magia, quasi una cantilena dolcissima, serena ma velata di quella malinconia propria dell’ultimo Schubert. Lo sviluppo è denso di accenti ora drammatici, quasi a ritmo di marcia, ora dolcissimi, e il tessuto armonico si arricchisce di quella forma antica, il contrappunto, che Schubert aveva cominciato a studiare sul finire della propria parabola musicale, e che purtroppo non ci è dato sapere a quali risultati lo avrebbe condotto. Commovente è la ripresa del tema dopo l’intreccio dello sviluppo, introdotta dal ritorno dell’introduzione a sua volta preceduta da splendidi arpeggi del violoncello.

Dopo un movimento che raggiunge vette così elevate sembrerebbe impossibile che la musica si mantenga allo stesso livello, e invece il momento centrale e culminante della composizione deve ancora venire. L’”Adagio” rappresenta forse l’apice del quintetto: dopo una prima parte ieratica, solenne nella sua mistica bellezza, quasi statica, scandita dal pizzicato del violoncello, ecco irrompere con violenza uno dei temi più struggenti mai composti, concitato, e tutto il movimento assume un carattere di fatale tragicità. Lo “Scherzo”, così come l’”Allegretto” finale, pur interrompendo l’insostenibile tensione creata dall’Adagio, si mantengono ad altissimi livelli, con quei ritmi di danza austriaca, quelle atmosfere proprie del clima Biedermeier, appartenenti a molte composizioni giovanili di Schubert, un mondo spensierato, ma che ora avvertiamo come trasfigurato, con un’ombra di inquietudine, di amarezza (si pensi in particolare all’enigmatico Trio del terzo movimento); è la fine del bel mondo viennese, visto, agli occhi del compositore, come ormai lontano, perduto per lo sfortunato musicista, che di lì a poco avrebbe trovato la morte, a soli trentuno anni.

Molto bravi i cinque artisti, – Lorenzo Fuoco e Simone Ferrari violini, Jorg Winkler viola, Viktor Jasman e Sara Airoldi (nel quintetto) al violoncello – nell’accentuare i momenti topici presenti nei due capolavori, interpretazione sobria e appassionata a un tempo. Particolarmente notevole, a mio avviso, l’esecuzione dell’”Andante cantabile” mozartiano, ove gli interpreti hanno saputo cogliere quella rarefatta malinconia che spesso si riscontra nei grandi capolavori del musicista austriaco. Molto applauditi, il Cameristi hanno bissato con il finale del terzo movimento del quintetto di Schubert.

Giovanni Franciò

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