"InSomnium", un dialogo tra sonno e veglia come metafora della vita

“InSomnium”, un dialogo tra sonno e veglia come metafora della vita

Laura Giacobbe

“InSomnium”, un dialogo tra sonno e veglia come metafora della vita

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martedì 15 Dicembre 2015 - 13:41

In occasione del terzo appuntamento della rassegna, il direttore artistico Auretta Sterrantino ci racconta la nascita di “InSomnium. E si sciolgon le ore” e i presupposti alla base del suo innovativo progetto drammaturgico

Domenica 13 dicembre. Sul palco del teatro Savio è in scena “InSomnium. E si sciolgon le ore”, pièce ispirata al romanzo del 1997 di Jonathan Coe, “La casa del sonno”. Scritto e diretto da Auretta Sterrantino, lo spettacolo si fonda sul rapporto oppositivo tra sonno e veglia, una dicotomia che si fa metafora della vita, ricerca negata di autenticità che si concretizza nella distanza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere.
La miccia che dà il via alla narrazione è l’incontro, in una clinica dove si studiano i disturbi del sonno, di un gruppo di amici, che nello stesso edificio, un tempo alloggio per studenti universitari, hanno vissuto insieme la giovinezza. La costruzione è il luogo dell’ambiguità, la fortezza che cela oscuri frammenti di passato, questioni irrisolte, mezze verità, timori ed ossessioni che la reclusione forzata, a poco a poco, lascia venire fuori. Il direttore artistico Auretta Sterrantino, fondatrice con Vincenzo Quadarella della compagnia QA-QuasiAnonimaProduzioni, ci racconta la nascita di “Insomnium”, ed i presupposti ideologici alla base del suo progetto teatrale.

Nel presentare la rassegna, hai parlato della volontà di portare sul palcoscenico una nuova ricerca drammaturgica. In cosa consiste il tuo progetto e come intendi realizzarlo?
Quando parlo di nuova drammaturgia mi riferisco all’uso di nuove forme e tipologie di scrittura. Diciamo che il tentativo è quello di riuscire a sperimentare, provando però a mantenere un leitmotiv, un punto di congiunzione, uno stile definito. Ma quello che ci interessa è anche il lavoro sulle riscritture. Negli anni passati abbiamo lavorato su Pennac, quest’anno abbiamo avuto, ad inizio rassegna, “Quando come un coperchio”, che raccoglieva riferimenti a Bufalino, Montale, Consolo e Lucio Piccolo. Abbiamo proseguito con “Casa di Bambola”, ed in seguito avremo anche una riscrittura dell’Ulisse di Joyce.

C’è innovazione è anche a livello scenografico?
C’è innovazione in alcuni casi, mentre in altri si rimane sul classico. Alcuni degli spettacoli sono pura e semplice parola, mentre in altri le si dà sì importanza, senza mai minimizzarla o svilirla, ma lasciando che si accordi con tutti altri elementi, come i gesti la musica, i silenzi, le pause… che per me sono essenziali a definire la completezza di uno spettacolo. Il nostro vuole essere un teatro che, pur facendo i conti con le difficoltà economiche, non vuole privarsi di determinati elementi, come la scenografia, o i costumi, che non sono solo elementi di corredo, ma strumenti necessari al meccanismo teatrale. Vogliamo conservare, con onestà e con i mezzi che abbiamo a disposizione, un’estetica che non sia fine a se stessa, ma funzionale alla drammaturgia. Dunque drammaturgia come architettura dell’azione che si svolge in scena.

“InSomnium” è tratto da “La casa del sonno” di Jonathan Coe, che tu hai definito uno dei tuoi romanzi preferiti. Cosa ti ha fatto innamorare di questa storia e perché hai deciso di metterla in scena?
Sicuramente mi ha colpito la scrittura, che è molto lucida e chiara, nonostante l’architettura composita e contorta della trama. Benché non sia un giallo, il romanzo è tutto cosparso di rimandi, allusioni, coincidenze, che fino alla fine tengono il lettore col fiato sospeso. E’ poi affascinante l’alternanza dei vari piani temporali, che si intersecano e si confondono continuamente, dando un senso di spaesamento. Ma l’aspetto più interessante è naturalmente la tematica del sonno, che poi è anche l’occasione per aprire uno squarcio nell’animo umano, per andare ad indagare sui tanti punti oscuri che spesso vi si celano, oltre la superficie delle apparenze. Il rapporto sonno veglia riflette quello tra vita reale e vita sognata e immaginata, tra ciò che si è e ciò che si sarebbe voluti essere… ed è anche un modo per riflettere su come le nostre scelte, fatte talvolta senza una vera consapevolezza, influenzino poi la nostra vita ed il benessere o il malessere che proviamo.

Piuttosto che alla denuncia sociale in chiave ironica, pur presente nel romanzo, hai preferito dare maggiore spazio alla componente angosciosa, che emerge dalla visione distorta che il sogno dà della realtà. Perché?
L’ironia emerge sì, ma in maniera più velata in questo romanzo, rispetto agli altri di Coe. In ogni caso, però, non era quello era l’elemento che più mi interessava. Mi affascinava invece l’aspetto della drammaticità e dell’ambiguità. Ho voluto catturare le atmosfere oniriche del libro, queste suggestioni fortemente simboliche e allusive, che dicono e non dicono… e provare a renderle attraverso la mia personale interpretazione.

Per concludere, di “InSomnium” hai detto: “Da questo spettacolo vorrei che lo spettatore uscisse stordito, scosso e pieno di domande”. Perché? Qual è per te la funzione del teatro?
La funzione del teatro non può essere quella di mero intrattenimento, altrimenti diventa un’arte fine a se stessa. Non si può decidere di assistere ad uno spettacolo semplicemente perché lo si considera più o meno bello, perché la bellezza è un concetto piuttosto arbitrario. L’arte dovrebbe essere capace di suggerire, o meglio di risvegliare in noi emozioni e sentimenti sopiti. Non è qualcosa che può essere netto o limpido, né tantomeno può dare risposte… L’arte deve turbare, è come un vortice che cattura lo spettatore e, in quel lasso di tempo in cui lo tiene avvinto, qualcosa gli dà e qualcosa gli toglie. Il teatro si nutre delle emozioni del pubblico e al tempo stesso il pubblico, attraverso ciò che vede, scopre qualcosa di se stesso.

Laura Giacobbe

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