Aspettando il 2020: “Progetto Beethoven” dell’Orchestra Keiròs

Aspettando il 2020: “Progetto Beethoven” dell’Orchestra Keiròs

giovanni francio

Aspettando il 2020: “Progetto Beethoven” dell’Orchestra Keiròs

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lunedì 09 Aprile 2018 - 08:25

Il ritmo travolgente della Settima di Beethoven cattura il pubblico del Palacultura. Evento a cura dell'Accademia Filarmonica con l'Associazione Bellini

Sabato 7 aprile, per la stagione musicale dell’Accademia Filarmonica, abbiamo avuto la fortuna di ascoltare finalmente una sinfonia di Beethoven, e quindi un’orchestra, evento sempre più raro di questi tempi. L’Orchestra Keiròs, composta da giovani musicisti e diretta da Samuele Galeano, ha offerto al pubblico del Palacultura un impegnativo programma di musica romantica, eseguendo nella prima parte la celebre Ouverture “Le Ebridi” op. 26 di Felix Mendelssohn e la Serenata per archi in mi minore op. 20 di Edward Elgar, mentre la seconda parte è stata dedicata alla celeberrima Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92 di Ludwig Van Beethoven.

Presente nel repertorio di tutte le principali orchestre del mondo, l’Ouverture “Le Ebridi” di Mendelssohn è uno dei più suggestivi pezzi sinfonici del romanticismo tedesco, e trae spunto dal viaggio che il musicista fece in Scozia nel 1829. Mendelssohn fu affascinato dagli splendidi paesaggi scozzesi, che gli ispirarono anche il suo capolavoro sinfonico, la sinfonia n. 3 in la minore, detta appunto “Scozzese”. “Le Ebridi”, in particolare, fu composta in seguito alle impressioni che suscitò al musicista la visita dell’isola di Staffa, ove trovasi una grotta di stalattiti, ed infatti l’ouverture è anche nominata “Grotta di Fingal”. È un brano denso di lirismo romantico, fatto di temi indimenticabili, ai quali la tonalità in si minore conferisce una atmosfera misteriosa, in assonanza con i brumosi paesaggi della Scozia. La Serenata in mi minore di Elgar è una delle composizioni più eseguite del musicista inglese, forse la più nota dopo le “Pomp and Circumstance marches”; strutturata in tre movimenti, “Allegro piacevole”, “Larghetto” e “Allegretto”, ha carattere nostalgico e melodico, addirittura struggente nel secondo movimento, comunque di piacevole ascolto. Corretta ed equilibrata l’esecuzione dell’orchestra, adottando forse un tempo un po’ dilatato nel brano di Mendelssohn, ma nel complesso un’interpretazione più che apprezzabile di entrambi i brani. La settima sinfonia di Beethoven rappresenta uno dei grandi momenti della storia della sinfonia. “Apoteosi della danza” la definì Richard Wagner, ed infatti è proprio il ritmo l’elemento caratterizzante di tutti i quattro movimenti di questo capolavoro. Composta nel pieno della maturità artistica del sommo musicista, ben quattro anni dopo la “Pastorale”, la settima presenta caratteri assolutamente nuovi ed inauditi rispetto a tutte le sinfonie che l’hanno preceduta. Una lunga introduzione “Poco sostenuto”, più lunga di ogni altra introduzione mai scritta prima, cede con esitazione al “Vivace” che finalmente sembra come liberarsi a poco a poco, con il suo ritmo puntato – una cellula tematica che caratterizzerà l’intero movimento – fino alla trionfale e trascinante conclusione. Il seguente splendido “Allegretto”, in la minore, dal fascino “indefinibile ed inquietante” secondo Carli Ballola, noto biografo di Beethoven, ha il ritmo di una marcia dal sapore fatale ed ineluttabile, sembra evocare una processione, e dopo un momento di relativa serenità consolatoria in maggiore, riprende il ritmo ineluttabile, fino al sinistro ed enigmatico accordo finale.

Dopo un “Presto” dal carattere festoso e bucolico, ecco il vertiginoso finale “Allegro con brio”, un brano dal carattere quasi orgiastico, demoniaco, che ci trascina nell’apoteosi della danza. Anche nella esecuzione della Settima l’Orchestra Keiròs ha mostrato apprezzabili qualità, a cominciare dalla nitidezza e precisione nei fiati (tranne qualche trascurabile sbavatura nei corni) messi così a dura prova dalla partitura beethoveniana. La scelta dei tempi leggermente più rallentati nei movimenti veloci ha permesso di mettere in rilievo diverse sfumature, e nel complesso l’esecuzione è apparsa equilibrata ma anche non priva di personalità nella direzione di Galeano. Purtroppo ha nuociuto l’organico ridotto dell’orchestra, composta da un numero troppo esiguo di archi – in particolare i violoncelli – per eseguire una grande sinfonia di Beethoven. A parte ciò è stato entusiasmante per il pubblico assistere ad una più che dignitosa esecuzione di questo immenso capolavoro, che da troppo tempo mancava nelle sale da concerto cittadine.

Giovanni Franciò

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