Caso Antoci, è scontro tra l'ex presidente del Parco e Claudio Fava

Caso Antoci, è scontro tra l’ex presidente del Parco e Claudio Fava

Alessandra Serio

Caso Antoci, è scontro tra l’ex presidente del Parco e Claudio Fava

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giovedì 03 Ottobre 2019 - 07:53

Dura reazione dell'ex presidente del Parco dei Nebrodi al dossier della Commissione regionale antimafia: "prendo le distanze dalla delegittimazione della magistratura messinese"

Dopo la relazione della Commissione Regionale Antimafia Siciliana presieduta da Claudio Fava sull’attentato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi, scampato ad un agguato a maggio 2016, arriva forte il commento di Giuseppe Antoci sulla vicenda.

“Rimango basito di come una Commissione, che solo dopo tre anni si occupa di quanto mi è accaduto, possa arrivare addirittura a sminuire il lavoro certosino e meticoloso che per ben due anni la DDA di Messina e le Forze dell’Ordine hanno portato avanti senza sosta, ricostruendo gli accadimenti con tecniche avanzatissime in uso alla Polizia Scientifica di Roma e che oggi rappresentano per l’Italia un fiore all’occhiello. Tali tecniche sono state utilizzati inizialmente per ricostruire due attentati: quello di via d’Amelio e quello perpetrato contro di noi quella notte sui Nebrodi” – dichiara Antoci.

“Di tutto questo la Commissione non ha tenuto conto, al contrario, con mio grande rammarico, ha prestato il fianco, attraverso una relazione ove si evidenziano più tesi, al mascariamento e alla delegittimazione, utilizzando audizioni di soggetti che non citano mai le loro fonti bensì il sentito dire o esposti anonimi che la magistratura, dopo attenta valutazione e trattazione, ha dichiarato essere calunniosi. Senza considerare – continua Antoci – che alcuni dei soggetti auditi hanno in corso procedimenti giudiziari sul piano generale, e in particolare per diffamazione sull’accaduto, o procedimenti passati, conclusi con la penale affermazione del reato di falso.

Antoci cita i magistrati della DDA di Messina nel loro dispositivo:
un vero e proprio agguato, meticolosamente pianificato, organizzato
ed attuato con tecniche di tipo “militare”
. Appariva in dubbio che gli
attentatori avessero agito non al fine di compiere un semplice atto
intimidatorio e/o dimostrativo, ma al deliberato scopo di uccidere”.

“I killer del commando mafioso – scrivono i magistrati della Procura – avevano ostruito le carreggiate con massi al fine di costringere l’autovettura a rallentare l’andatura; subito dopo avevano sparato all’indirizzo del mezzo blindato, attingendolo nella sua parte inferiore, nella immediata vicinanza della gomma posteriore sinistra, e ciò al probabile fine di bloccare la corsa del mezzo”.

Ancora: “al contempo, la presenza delle bottiglie molotov induceva a ritenere come gli attentatori, una volta bloccata l’autovettura blindata, volessero incendiare quel mezzo e così costringere i suoi occupanti a scendere da esso, in modo che questi ultimi non potessero più beneficiare della protezione del veicolo blindato”.

Infine, GIP scrive nel suo dispositivo finale: “….innegabile che tale gravissimo attentato era stato commesso con modalità tipicamente mafiose…(…) con la complicità di ulteriori soggetti, che si erano occupati di
monitorare tutti gli spostamenti dell’Antoci e di segnalarne la partenza dal Comune di Cesarò…(…)
…un vero e proprio agguato meticolosamente pianificato e finalizzato non a compiere un semplice atto intimidatorio e/o dimostrativo, ma al deliberato scopo di uccidere…

“Non potrà mai il Presidente Fava trovarmi d’accordo – continua Antoci
– su quanto espressomi durante la mia audizione, quando mi affermò che
i Magistrati e le Forze dell’Ordine hanno lavorato male. Non è così, proprio non è così… Hanno invece dato il massimo di quello che potevano dare, mettendo le migliori intelligenze in campo e le migliori ultime tecniche investigative e informatiche esistenti.

Come mai – aggiunge Antoci – la Commissione, come prevede la legge
Regionale, non si è occupata anche dei milioni di euro che sono stati
colpiti dal Protocollo Antoci e delle possibili connivenze che andavano verificate all’interno dell’apparato regionale che per anni ha assistito inerme ad un affare che, per molti versi, si è rivelato per la mafia maggiore del lucroso mercato delle droga? Sulla mafia dei terreni nessuna inchiesta. Sul loro sistema di collusioni nessun accertamento. Nessun atto a favore dei poveri agricoltori e allevatori che per anni hanno subito le vessazioni dei mafiosi rubando loro la dignità, i diritti e il futuro.

“Non si fa politica – aggiunge Antoci – giocando con la vita delle persone, dando spunti a delegittimatori e mascariatori. Bisogna essere rigorosi e cauti, ci va di mezzo la sicurezza e la vita della gente. Ma purtroppo passando il tempo – continua Antoci – le cose pare si dimentichino ed io non pensavo che proprio Claudio Fava dimenticasse ciò che è stato detto e fatto contro suo padre ed il mascariamento che ha subìto quando tutto veniva sminuito e legato a fatti personali e non alla mafia”.

“Ho depositato alla Commissione regionale una relazione di 27 pagine,
con 15 allegati di atti del procedimento, che sono di una chiarezza
disarmante, unite ad intercettazioni telefoniche chiarissime e
pesantissime. Ho chiesto di renderla integralmente pubblica senza
tagli e omissioni, perché ritenevo che le persone dovessero sapere e
comprendere tutto. Risultato? Solo un sunto. Ma perché? Devo dunque
pagare il fatto di aver colpito con un Protocollo oggi Legge e con
un’azione senza precedenti la mafia dei terreni? Non ho pagato
abbastanza, rischiando la vita e perdendo la libertà mia e della mia
famiglia? Insomma, alla fine ecco il risultato della Commissione: tre
tesi, a Voi la scelta!”.  Beh, alle intelligenze lasciamo le
conclusioni, mentre alla magistratura ne lasciamo le conseguenti
azioni”
– conclude Antoci.

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