Il G7, la cultura e dintorni

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Tosi Siragusa

Il G7, la cultura e dintorni

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domenica 11 Giugno 2017 - 06:03

Cortocircuito nelle mostre taorminesi generato da mancate interazioni istituzionali.

In occasione delle mie recenti prove con colloquio finale per l’iscrizione all’elenco dei pubblicisti dell’albo regionale dei giornalisti, ho rispolverato in uno norme, costituzionali e non, carte deontologiche, regole auree e il glossario sulla professione giornalistica, ma soprattutto i nomi di nove giusti che hanno anacronisticamente pagato con la vita l’impegno profuso in una Sicilia che aveva dato loro i natali o utilizzato le loro belle energie. Questi loro nomi: Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Peppino Impastato, Mario Francese, Giuseppe Fava, Mauro Rostagno, Giuseppe Alfano e Maria Grazia Cutuli; le loro foto, come un triste sudario, sono esposte nella sala dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia quale monito imperituro alle nostre coscienze.

Queste allora le riflessioni: se, come sosteneva Umberto Eco, il giornalista dovrebbe essere “lo storico dell’istante o del presente” e se si deve affermare con Indro Montanelli che l’onestà intellettuale dovrebbe essere il primo attributo irrinunciabile di questa professione, dovrebbero potersi rinvenire anche ai nostri tempi copiosi casi da considerare esemplari in tal senso nel comune sentire. Se poi informazione giornalistica dovrebbe anche muoversi nell’alveo di un’attività critica, libera, obiettiva, completa, tempestiva, attuale e essenziale, ogni giornalista dovrebbe potersi fregiare anche su un piano sostanziale del proprio titolo professionale. E al risveglio delle coscienze dovrebbe sempre tendersi, quale fine ultimo di un percorso lavorativo che non deve però essere da martire, eroe, giustiziere, testimone o mediatore. Con queste premesse e riflettendo altresì sull’impatto della comunicazione mediatica, oltremodo iconica – ove la velocità è dea suprema, a scapito della giustezza e precisione e ove l’audience rende prevalente il sensazionalismo e il giornalismo a orologeria – mi sono soffermata a considerare le responsabilità di un giornalista che tratta di cultura. Il settore “de quo” potrebbe infatti sembrare di impatto superficiale e poco incisivo, meno importante comunque della cronaca nera, gialla e delle informazioni politiche. Non è però così, e le regole prima enunciate devono valere in primis per il mondo culturale, ove più che divulgazione andrebbe fatta opera formativa. Or bene, in tale ambito dilaga invece, più che in altri forse, piattume, conformismo e servilismo ai potenti di turno, costituendo eccezione purtroppo una stampa critica e libera. Per restare nel piccolo mondo regionale e messinese, che per l’ipotesi che riporto ha incrociato l’evento internazionale costituito dal G7 taorminese del 26 e 27 maggio, è mia opinione che quella che già si preannunciava quale mera vetrina, si sia sostanziata in mere dichiarazioni di intenti meramente confermative delle precedenti linee sostenute dai rappresentanti dei sette paesi sulle quattro grandi direttrici di marcia dibattute; peraltro gli eventi culturali, organizzati a latere – e solo per i grandi della terra – risulta prima facie siano stati mal pensati (è proprio il caso di dirlo) nonostante abbiano interagito due amministrazioni, quella regionale e quella comunale, e la società “Beni Culturali”. La mia visita del 3 giugno a Palazzo Corvaja (in costanza di informazioni discordanti o inesistenti sui tempi della permanenza a Taormina dei dipinti in esposizione) mi ha fatto apprendere con sconcerto che solo la tela del Caravaggio, proveniente da Genova e già presente negli inventari messinesi, si trovava ancora lì – e non si sa per quanto – in assenza degli Antonello da Messina, già provenienti dal Polo museale di Messina, dall’Abatellis di Palermo e dal Mandralisca di Cefalù, portati via, pare proprio senza preavviso, in prima mattinata il 3 giugno. Mi rassegnavo allora, sbigottita, a deliziarmi unicamente della vista dello splendido Ecce Homo, non comprendendo peraltro in quali spazi espositivi fossero già stati allocati i dipinti di Antonello, attesa la dimensione angusta della sala. Al piano superiore godevo (meno) della esposizione multimediale “Unescosites – Italian Heritage and Art”, dedicata alla Sicilia, dal taglio turistico – promozionale, e incompleta in assenza dei siti palermitani di recente inserimento. Il successivo approccio con l’ex Chiesa del Carmine mi faceva apprezzare, ancora, la mostra “Il Futuro Sopravvenuto” sui maestri futuristi, ove celeberrimi dipinti erano arricchiti dall’esposizione di un campionario di costumi confezionati con stoffe d’epoca e di sculture. Meno interessante mi è apparso invece il pur propagandato come spettacolare presunto autoritratto ​di Leonardo da Vinci della Tavola Lucana, unitamente a sculture diversificate e pannelli di copie di ritratti dello stesso Leonardo; si è appreso che il presunto Leonardo andrà presto a Catania; Messina, la cenerentola siciliana, nel cui territorio metropolitano è allocata Taormina, non ha pertanto fruito dal G7 della minima luce, neanche riflessa, con buona pace degli illustri messinesi che dovrebbero governare il mondo della cultura. Infine, girovagando fra le mostre e gli eventi a carattere culturale attualmente proposti, non si può fare a meno di constatare che in questo periodo pre-elettorale (si preannunciano in tempi ravvicinati più tornate) gli stessi proliferano e la buona qualità sovente non è neanche sfiorata. Le associazioni culturali, gli enti, pubblici e non, destinatari di benefit economici o della concessione di patrocinio o comunque di visibilità da parte delle istituzioni che governano l’ambito culturale, si sono fatti largo sgomitando, e laddove si discute di rinascita cittadina la stessa non sembra sia mai passata attraverso percorsi virtuosi con il rispetto prioritario del principio della leale concorrenza e della necessità di una vera interazione fra soggetti culturali (del tutto inesistente) apparendo invece obiettivo ultimo cinque minuti di gloria fittizia e solitaria.

Mi pare insomma si possa riuscire a organizzare qualcosa di “culturale” (o pseudotale) solo passando attraverso le segreterie politiche. Viene allora da pensare ai favolosi anni '50, quando si respirava vero fermento culturale – Piazza Cairoli era il punto nevralgico di snodo – e gli intrecci politici e d’opinione, forieri però di buoni risultati, erano giustamente di assoluto riferimento nei palazzi del potere. Forse le terribili avversità, allora temporalmente molto più vicine di oggi, non avevano costituito una scusante nella gente di ieri, che persisteva nel perseguire veramente una ripresa. Ai nostri tempi una scarsa preparazione e fantasia si contendono piccoli spazi del territorio, in una guerra senza quartiere volta solo all’apparire, in questa terra – quella siciliana e messinese in particolare – che appare quasi irredimibile.

Tosi Siragusa

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