Il Pd: storia di un partito da ricostruire

Il Pd: storia di un partito da ricostruire

Marco Olivieri

Il Pd: storia di un partito da ricostruire

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domenica 09 Ottobre 2022 - 12:55

Tutto da rifare, a livello locale e nazionale. L'editoriale

Il Partito democratico a livello nazionale, regionale e provinciale è da ricostruire. Potrebbe sembrare un problema interno, legato a un singolo schieramento. Ma la presenza di un mondo progressista, legato alla tradizione della sinistra italiana ed europea, rientra nelle necessità di una dialettica democratica da rivitalizzare. Perché rassegnarsi all’idea che una tradizione così antica debba essere ridotta così, con un partito più di stampo liberaldemocratico che governa quando è necessario, con un’identità più “tecnica” che politica? E con gli inevitabili aspetti positivi e negativi, per carità, ma con un profilo che non mobilita il cosiddetto popolo della sinistra e che, soprattutto, non attrae le nuove generazioni. Perché rassegnarsi all’idea che le domande di una sinistra moderna, contemporanea, debbano rimanere inascoltate?

Perché oggi un rider, pensiamo alla persona licenziata ieri per una mancata consegna, ma che in realtà si trovava in ospedale perché travolta e uccisa da un’auto, dovrebbe avere il Pd come punto di riferimento? Perché chi vive il dramma della disoccupazione o delle baracche, o qualsiasi altra forma di precariato, dovrebbe avere il Partito democratico come faro in questa notte liberista dei diritti?

La relazione del segretario regionale Barbagallo

In ambito regionale, nella relazione di ieri, il segretario Anthony Barbagallo ha posto l’attenzione su alcuni aspetti positivi dell’esito elettorale: “I numeri ufficializzano la sconfitta, è chiaro, ma testimoniano che il Pd resta in piedi e viene individuato come la forza più credibile contro la destra. In Sicilia, alle regionali come alle politiche, otteniamo gli stessi seggi del 2018. Alle politiche cresciamo di uno 0.2 (da 11,66 a 11,86) e mandiamo a Roma lo stesso numero di eletti, nonostante la riforma abbia sostanzialmente dimezzato il numero degli eleggibili. I parlamentari nazionali eletti si caratterizzano per la novità (sono tutti al primo mandato). I deputati con una buona dose di freschezza che non guasta: l’età media è poco sopra i 40 anni. E sono rappresentativi anche delle aree interne e delle federazioni più piccole. Alle regionali prendiamo più voti delle politiche (nelle previsioni iniziali era il contrario) e riusciamo a mantenere invariata la pattuglia di 11 deputati”.

“Chi s’accontenta gode così così”, canta Ligabue, e di certo non ci si può accontentare di qualche dato accettabile se intanto, per usare una metafora abusata, la casa sta bruciando. Chi voterà tra qualche anno il Pd e tutto il fronte progressista, se non si correrà ai ripari? La riflessione regionale viene completata da quella nazionale, con la relazione di Enrico Letta e il cammino simbolicamente nel deserto sul piano dell’opposizione, con le tappe in vista del congresso. Ma il problema non è scegliere l’ennesimo segretario, quasi un concorso a eliminazione diretta, ma avere contenuti radicali su giustizia sociale, pace e politiche internazionali, migranti e processi globali, emancipazione del Meridione d’Italia e costruzione di un’Europa del welfare e non del precariato.

A Messina la vicesegretaria provinciale Giuffrida spezza il silenzio

Il Pd messinese, ancora di più, appare assente dal territorio, senza sedi, e incapace di elaborare una riflessione pubblica sulle sconfitte alle amministrative, alle regionali e alle politiche. Un partito scalabile, un tempo sotto il dominio di Francantonio Genovese, e che da poco ha assistito all’addio dell’onorevole Navarra, perché privo di solidi ancoraggi.

In questo silenzio assordante, le dimissioni della vicesegretaria provinciale Laura Giuffrida hanno il merito di alimentare finalmente, se lo si vuole, un dibattito pubblico sull’identità del partito: “Quando si parla di primato della politica, di radicamento del partito, di organizzazione politica, di condivisione delle scelte, di spirito collettivo, ma anche di rigore morale, di coerenza nei comportamenti e di valori non negoziabili, senza però che tali principi, all’interno del partito, vengano adottati nella quotidiana pratica politica, rischio di dovermi dibattere, soprattutto guardando all’esito del voto (in particolare quello regionale), in situazioni che definire per me imbarazzanti è un eufemismo”.

Dal partito su misura del capo politico all’elezione del giovane Leanza ma manca il radicamento nei territori

Le elezioni regionali sono state paradigmatiche per il Partito democratico. L’elezione di Calogero Leanza, figlio dell’ex presidente della Regione Vincenzo Leanza e figura storica della Dc, con più di quattromila voti, ha comportato due esclusioni eccellenti: quella del segretario provinciale del Pd Nino Bartolotta e quella dell’ex segretario della Cgil di Messina Giovanni Mastroeni. La forza elettorale di Leanza nei Nebrodi e i consensi anche a Messina hanno portato a questo risultato che conferma l’assenza di un radicamento solido della struttura partitica nei territori.

Andrà pure valutato se il Pd potrà liberarsi della sua tendenza a dipendere da un capo politico sganciato da una tradizione progressista più marcata a sinistra. Prima Francatonio Genovese. Poi la parentesi, per una legislatura, di Pietro Navarra, che però sostiene di non aver mai dominato il partito. Tuttavia, l’ex deputato in questi cinque anni ne è stato punto di riferimento a livello nazionale.

Ora quale futuro si prospetta? Il giovane Leanza farà riferimento alla tradizione democristiana del padre o costruirà qualcosa di nuovo in termini politici? La sua politica all’Ars e dentro il partito saranno un banco di prova. Ma il Pd ha bisogno di recuperare una dimensione collettiva del fare politica, con un reale radicamento nei territori. Qualcosa cambierà? Il Pd appare più un partito d’apparati. Fino ad ora la sintesi tra tradizioni comunista italiana e socialista, liberal progressista e democratica cristiana sociale non ha funzionato.

“Una forza politica da resuscitare, non da ricostruire”

Il re è nudo e il partito, con i suoi uomini e le sue donne, è chiamato a una “resurrezione”, altro che ricostruzione, osserva l’ex consigliere comunale Alessandro Russo: “Un partito vecchio, autoreferenziale, che non scende in piazza da anni in mezzo alla gente (per dire: neanche a sostegno delle donne iraniane in questi giorni, per tacere delle mille rivendicazioni di piazza a livello locale), attaccato alle poltrone di governo e con ormai un’unica identità nascosta, ossia “governare-per-governare”. Un partito che si tiene in vita sulla base di correnti di appartenenza a leader mediocri ma intoccabili, che esclude i giovani che non siano allineati, le donne che non siano allineate, chiunque abbia uno spirito più autonomo – percepito come pericolo mortale dall’eterna leadership. Che ripropone da decenni le stesse facce da ministro, sottosegretario, capi corrente. Un partito politicamente morto, da far resuscitare, non ricostruire. La chiamerei Operazione Lazzaro“.

In questo quadro, una ricostruzione è possibile solo intervenendo dalle fondamenta. Identità, valori, idee, spazio alle nuove generazioni: tutto deve essere messo in discussione e liberato. Altrimenti, se si vuole un partito che viva di rendite di posizione in funzione dei dirigenti del momento, la sinistra che non c’è andrà cercata altrove, aspettando tempi migliori.

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2 commenti

  1. Il Partito Democratico è la sede naturale dei socialdemocratici ovvero della maggioranza degli Italiani. Molti guardano a questo partito perche’ i valori ispiratori sono volti a costituire una società giusta ed equa, basata sulla meritocrazia. Dall’imprenditore all’operaio, passando per il mondo delle libere professioni e dei giovani.
    Tuttavia, anche il partito democratico è fatto di uomini, direi purtroppo dei soliti uomini, e questo è il grande problema.
    Nelle segreterie dei partiti si annidano spesso persone che ben apprendono le dinamiche di funzionamento di un partito, per garantirsi posizioni e pass partout per tornate elettorali.
    Cari dirigenti il vero Partito Democratico è fuori dalle stanze delle segreterie ed è fatto di uomini e donne che in voi non ripongono alcuna fiducia, perché mostrate di essere troppo impegnati a garantirvi le vostre posizione e giammai vi siete posti il problema di cercare candidati nuovi, idee nuove.
    Segretario Barbagallo perché non ha rimesso il mandato nelle mani della gente e del popolo del PD. Cosa significa che è stata approvata la sua mozione che servirà per condurre il partito al nuovo congresso? Significa che lei non ha avuto il coraggio di dimettersi immediatamente. Mi creda questi giochetti li conosciamo bene ed è per questo che noi popolo del PD (no dirigenti come voi) non ne possiamo più di una organizzazione del Partito Democratico in queste condizioni.
    È giunta l’ora di cominciare a far politica e di far valere quella tessera che ogni anno sottoscrivo per coerenza, guardandomi bene dal confondermi con le segreterie del partito che per molto tempo in passato ho frequentato.
    I nostri voti PD sono stati spalmati in favore del M5S perché in questa campagna elettorale Conte è stato l’unico che ha detto qualcosa di sinistra.
    E allora.. Barbagallo si dimetta. Letta si dimetta. Provenzano cominci a parlare da giovane perché lei, nonostante l’età fa discorsi anacronistici, da vecchi.
    W il Partito Democratico, quello nuovo che verra’.

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  2. Ma quando mai è nato il PD.

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