Lo zampino della zolla africana, nuova ipotesi sul mistero dei fuochi di Caronia

Lo zampino della zolla africana, nuova ipotesi sul mistero dei fuochi di Caronia

Lo zampino della zolla africana, nuova ipotesi sul mistero dei fuochi di Caronia

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domenica 12 Ottobre 2014 - 22:25

Potrebbe essere legato ad un complesso fenomeno geofisico il giallo dei misteriosi incendi del paese di Canneto di Caronia, che dal 2004 ad oggi convive con questi fenomeni, apparentemente inspiegabili. Una teoria, molto attendibile, ci riporta ai movimenti tettonici in sviluppo sul basso Tirreno

Dopo oltre 10 anni di studi, una commissione speciale incaricata di fare piena luce sugli anomali principi di incendi che hanno reso Canneto di Caronia famoso in tutto il mondo, con tanto di intervento di scienziati e addirittura agenti dei servizi segreti italiani, finalmente potrebbe esserci una svolta sulla verità. In questi anni, di ipotesi, più o meno fantasiose, se ne son fatte parecchie. Dagli esperimenti segreti militari (che solitamente per chiare convenzioni vengono effettuati su aree disabitate per decine di chilometri), agli extraterrestri, al dolo volontario. Nel frattempo, mentre si valutavano queste ipotesi, gli abitanti di questa splendida frazione rivierasca della fascia tirrenica dovevano fare i conti con improvvisi incendi, che in ogni ora del giorno e della notte devastavano intere abitazioni, rendendole inabitabili. Fra i tanti studi realizzati da team di fisici ed esperti in fenomeni di elettromagnetismo, quello che più di tutti potrebbe spiegare l’origine di questi anomali roghi ci conduce alla pista “geofisica”. Difatti, proprio in quell’area, ubicata di fronte l’area di “subduzione eoliana”, la zolla africana, incuneandosi e sfregandosi al di sotto di quella europea, origina particolari fenomeni sismici e vulcanici. L’enorme deformazione che si ottiene, nello sfregamento fra le opposte zolle, oltre a produrre terremoti, può comportare anche una significativa alterazione molecolare. Alcuni studi effettuati negli Stati Uniti d'America, da un gruppo di scienziati, avrebbero dimostrato come intere masse rocciose, sottoposte a compressione lungo un asse centrale perpendicolare a due superfici principali, possono essere interessate da significative alterazioni molecolari che comportavano la liberazione di elettroni che abbandonavano la roccia lungo l’asse di compressione e alla creazione di lacune elettriche, definite p-holes, nelle molecole che stavano cedendo gli elettroni in fuga lungo l’asse di compressione. Continuando la compressione, gli elettroni tendono a salire lungo l’asse e le parti esterne della roccia continuano a fornire elettroni alla parte centrale della roccia stessa. Ci sono quindi dentro la roccia una corrente elettrica di elettroni negativi dall’esterno verso l’asse e lungo questo verso l’esterno, e una corrente di p-holes positivi verso l’esterno. Il p-holes però non è libero di muoversi come un elettrone, e quindi l’espansione dei p-holes si ferma sulla superficie della roccia. Ma se la compressione continua a deformare la roccia aumenterà il numero di p-holes presenti sulla superficie. Questo è il caso di Caronia. A seguito dell’azione di compressione, esacerbata dai movimenti della placca africana, i p-holes che arrivano sul fondo del mare non entrano in acqua, ma essi si muovono sopra il fondo in tutte le direzioni, raggiungendo la costa e disperdendosi sulla terra ferma. Se questi p-holes, in scorrimento sulla terra ferma, incontrano un gruppo di case (come l’abitato di Canneto) essi tendono a penetrare nei muri di queste, accumulando cariche elettriche positive, se prosegue la compressione delle masse rocciose sotto il fondale marino. Non è un caso se gli oggetti che bruciano abbiano una componente metallica. Questo perché questi oggetti metallici, stando vicini a muri e pavimenti carichi di p-holes, tendono a perdere elettroni, che vengono risucchiati proprio dai p-holes presenti del muro. I famosi incendi vengono innescati dalla scarica elettrica degli elettroni del metallo sui p-holes presenti nel muro. I muri e i pavimenti, carichi di questi p-holes, non fanno altro che incentivare queste intense scariche di elettroni che fuoriescono dagli oggetti metallici, i quali tendono ad infiammarsi, sviluppando i principi di incendio. Non sarà un caso, infine, se la riapparizione del fenomeno, in queste settimana, sia correlata all'incremento dell'attività sismica lungo il basso Tirreno e la zona eoliana.

Daniele Ingemi

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