Limosani: "L'occupabilità relega UniMe all'ultimo posto, ma Messina non è Pavia"

Limosani: “L’occupabilità relega UniMe all’ultimo posto, ma Messina non è Pavia”

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Limosani: “L’occupabilità relega UniMe all’ultimo posto, ma Messina non è Pavia”

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giovedì 14 Luglio 2022 - 09:57

Il professore, direttore del Dipartimento di Economia, analizza i dati del Censis

Di Michele Limosani*

Ha ricevuto ampio spazio sulla stampa locale e nazionale il rapporto annuale del Censis sulle università italiane che relega  l’ateneo di Messina agli ultimi posti della classifica di merito. Sono molti i commentatori e gli studiosi che nutrono dubbi di natura metodologica sulle classifiche e sulla loro effettiva capacità di cogliere ciò che aspirano a individuare. La misurazione di un fenomeno complesso, come quello del sistema universitario, impone una certa dose di discrezionalità nella selezione delle informazioni ritenute rilevanti e di semplificazioni al punto che, in qualche occasione, è possibile attribuire allo stesso soggetto valutazioni differenti. Le classifiche, in generale, vanno lette “cum grano salis” ma costituiscono un prezioso strumento a disposizione delle istituzioni nel processo continuo di valutazione e verifica delle proprie attività.

I sei parametri presi in considerazione dal Censis

Il Censis pesa gli atenei italiani sulla base di sei dimensioni: strutture disponibili, servizi erogati, borse di studio, livello di internazionalizzazione, comunicazione e occupabilità. L’Università di Messina ottiene risultati non disprezzabili tra i grandi Atenei italiani per borse (10° su 19), servizi (13°) e strutture (11°); mentre invece va molto male in termini di comunicazione (18°), internazionalizzazione (17°) ed occupabilità (19°). Quest’ultima dimensione, in particolare, sembra penalizzare l’Ateneo di Messina nella classifica generale, visto il ridotto punteggio, appena 66 punti.

“La graduatoria viziata dal contesto in cui questo Ateneo lavora”

Soffermiamoci dunque su quest’ultimo indicatore; cosa suggerisce il dato sulla occupabilità? Una possibilità è che il nostro Ateneo, ma per la verità ciò vale anche per tanti altre Università del Mezzogiorno, è davvero scarso in termini di capacità di aumentare le probabilità dei nostri giovani di inserimento nel mercato del lavoro. Un’ipotesi alternativa è che, invece, l’indice del Censis catturi delle difficoltà nel tessuto socio-economico che rendono la graduatoria viziata dal contesto in cui questo Ateneo lavora. Ci pare particolarmente difficile considerare ceteris paribus le condizioni del mercato del lavoro a cui si rivolgono i neo-laureati di Messina e di Pavia, università che domina la classifica dei grandi Atenei. L’Istat suggerisce che nel 2021 il tasso di disoccupazione nella fascia 25-34 anni nella provincia di Messina è stato del 35.5%, contro il 9.8% in quella di Pavia. Ed il Sole 24 Ore, nella sua classifica sulla qualità della vita nel 2021, poneva Messina al quarto posto per disoccupazione giovanile, contro l’87esimo di Pavia. Numeri che rendono difficile pensare che l’occupabilità dei neo-laureati di queste due realtà sia davvero un qualcosa di comparabile.

Il lavoro a portata di mano di chi vive nelle province più ricche

Inoltre, c’è motivo di pensare che questo fenomeno renda diverse anche le popolazioni studentesche di riferimento. Paragonando i risultati degli studenti di due università, infatti, sia durante che dopo gli studi, assumiamo di stare osservando entità con caratteristiche omogenee. Ora, il lavoro a portata di mano per coloro che vivono nelle province ricche e industrializzate, in cui la possibilità di impiego è una opzione effettiva, rende la decisione di iscriversi all’Università più consapevole e meditata ed introduce una selezione a favore dei giovani più motivati rispetto a quelli che abitano in una provincia più povera, con alti tassi di disoccupazione, dove l’università rappresenta anche un ammortizzatore sociale, un investimento sul proprio futuro poco costoso in attesa di eventi futuri favorevoli. Gli economisti parlano spesso a tale proposito di selection bias.

“Il nostro Ateneo ha comunque molto da lavorare…”

Per concludere; certamente il nostro Ateneo dovrà lavorare molto per ribaltare questa classifica ma soprattutto dovrà introdurre discontinuità nelle linee di politica universitaria fin qui adottate sul lato dei servizi offerti ad i propri studenti, della comunicazione della internazionalizzazione ed, in ultima analisi, sui propri output di ricerca e di terza missione. Per diventare quell’ascensore sociale di cui la città ha bisogno e che merita. Ma a scanso di equivoci sarebbe opportuno operare nelle analisi comparate confronti tra entità omogenee per non mischiare “sauri e opi” o, se preferite, le mele con le pere.

                                                                                   *Direttore Dipartimento di Economia

9 commenti

  1. Eugenio Sturiale 14 Luglio 2022 10:25

    “cum grano salis” ??
    Al dotto direttore del dipartimento di economia, che ha redatto l’articolo inerente l’ateneo di Messina, posso solo dire di parlare come mangia!!
    E soprattutto di leggere le classifiche per quello che sono e non “accampare” banali e non giustificabili motivazioni a discolpa delle posizioni in fondo alle classifiche che occupano Messina e gli altri Atenei siciliani.
    Dimostrazione lampante ne è il fatto che le nove province della Sicilia, occupano gli ultimi posti anche nei parametri di vivibilità, trasporti, qualità della vita etc. etc

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  2. Bene, Messina non è Pavia. Ci voleva un accademico a chiarirlo perché non ce ne eravamo accorti. Ora tutto giusto ma una domanda sorge spontanea. Quanto spende la nostra Università rispetto a quella di Pavia? E poi, visto che i benefici appaiono insostenibili, la classe accademica che non può ritenersi immune dal livello critico segnalato dal Censis è giusto che goda dello stesso emolumento di un omonimo del Nord? Chiedo per un amico che si è trasferito a Pavia..

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  3. Bravissimo, chiaro e realista. Di Limosani ne avremmo bisogno qualcuno in più.

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  4. Andiamo nella pratica, l’Università di Messina non funziona perchè per trovare un professore, che non risponde mai al telefono, neanche per email, servono mesi e mesi, ognuno va al Nord perchè funzionano, fatevi una ragione di vita

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  5. Certo, un accademico che ricorre all’espressione ” sauri e opi ” fa ben sperare circa il processo di internazionalizzazione del nostro ateneo.

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  6. Caro prof. Michele giustifico l’atteggiamento per così dire patriottico/nazionalista ma la domanda nasce spontanea: cosa fa l’ateneo per l’occupazione giovanile? Perché se non fa nulla è chiaro che la fuga di cervelli diventa lo sport più preticato dai laureati messinesi. E allora inventate delle attività di ricerca, contattate le aziende del territorio, i liberi professionisti per far sì che i migliori restino! Caro prof. Le università non debbono solo formare ma anche “ingegnare” mi passi il termine altrimenti il rendimento che non sarà mai sopra l’uno non arriverà neanche allo 0,001%.

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  7. In quel “sauri e opi” c’è tutto…..Ove residuassero margini di incertezza quell’espressione fuga ogni dubbio

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  8. …SIETE UNO SPASSO !!! 14 luglio 1962 lasciavo Messina con la laurea di chimica in tasca e mi trasferivo in Alto Adige… lì perchè lì mi avevano offerto un posto di lavoro ben retribuito… ho conosciuto lì altri laureati in fisica, in chimica, in ingegneria tutti provenienti da diverse regioni d’Italia… un gruppo di ricercatori destinati allo studio di tecnologie speciali (silicio titanio litio plasma) ed ora dopo 60 anni devo ancora leggere che a Messina i cervelli fuggono perchè l’università soffre di OCCUPABILITA’ !!!

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  9. Il professor Limosani sta demarcando con chiarezza il fatto che alcuni parametri di misura adottati dal Censis dipendono dalle realtà economiche e strutturali locali. Ha precisato che questi parametri intaccano le valutazioni ma non si è fermato qui.
    Ha aggiunto che ci vuole discontinuità nelle linee di politica universitaria fin qui adottate: basta raccomandazioni, basta ricercatori che ottengono riconoscimenti solo perchè ‘sono amici di’ (e non per meritocrazia), denunciare costantemente i professori che non rispondono alle mail…. rompere con la tradizione attuale basata sul vecchio stampo baronale

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