Confiscati beni per 50 mln di euro a Scinardo, imprenditore agricolo vicino ai Rampulla

Confiscati beni per 50 mln di euro a Scinardo, imprenditore agricolo vicino ai Rampulla

Veronica Crocitti

Confiscati beni per 50 mln di euro a Scinardo, imprenditore agricolo vicino ai Rampulla

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venerdì 31 Ottobre 2014 - 08:06

La DIA di Catania e Messina, nei territori delle province di Catania e Messina, ha eseguito un provvedimento di sequestro e confisca di beni emesso dal Tribunale di Catania nei confronti di Giuseppe Scinardo.

Ci sono 3 aziende operanti nel settore della coltivazione e dell’allevamento di bovini e ovini, 324 terreni di oltre 7milioni di metri quadri disseminati tra i comuni catanesi di Militello Val di Catania, Mineo, Vizzini e in quello messinese di Capizzi, 33 fabbricati e 6 veicoli nel vastissimo patrimonio confiscato stamattina all’imprenditore Giuseppe Scinardi. Il valore complessivo è di 50 milioni di euro.
Originario di Capizzi, classe 1938, stabilitosi da molti anni con la famiglia a Militello Val di Catania, Giuseppe Scinardo è considerato un uomo vicinissimo alla ben nota famiglia mafiosa dei Rampulla di Mistretta. Già negli anni ’90, l’imprenditore agricolo aveva stretto legami solidi con i fratelli Sebastiano Rampulla (già rappresentante già rappresentate della famiglia di cosa nostra di Mistretta), Maria Rampulla e Pietro Rampulla. Proprio quel Pietro Rampulla definitivamente condannato dalla Corte di Assise d’Appello di Caltanissetta all’ergastolo poiché ritenuto “l’artificiere” della strage di Capaci, in quanto fu lui a confezionare sia l’ordigno che esplose nel cunicolo dell’autostrada Palermo – Trapani sia il telecomando che venne utilizzato per compiere l’attentato al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo ed ai componenti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

Gli stretti rapporti tra le due famiglie si consolidarono quando, alla fine degli ’90, Tommaso Somma, cognato di Pietro Rampulla, all’epoca latitante, venne “ospitato” all’interno di un fondo rurale della famiglia Scinardo (esattamente di Basilio Scinardo, fratello di Pietro) in contrada “Ciulla”, agro del comune di Mineo.

Scinardo Giuseppe, nel frattempo, si avvicinò all’organizzazione di Cosa Nostra operante nel calatino e facente capo a Francesco La Rocca, e favorì la latitanza dell’allora reggente della famiglia catanese di Cosa Nostra, Umberto Di Fazio, che poi divenne collaboratore di giustizia.

Le indagini appurarono come nelle sue proprietà avvenissero anche i vari summit mafiosi che mettevano in contatto i Rampulla di Mistretta, i rappresentanti della famiglia di Caltagirone e della famiglia di Catania.
Decisive furono le dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, tra cui Di Fazio Umberto e Mirabile Giuseppe, che sottolinearono anche l’interesse degli Scinardo per le energie alternative e segnatamente del loro impegno, in accordo con Cosa Nostra, per lo sviluppo di
progetti relativi a parchi fotovoltaici nella piana di Catania.

La confisca giunta stamani rappresenta un altro duro colpo per la famiglia Scinardo, dopo quello dello scorso aprile che riguardò beni per 200 milioni di euro (Operazione Belmontino e Malaricotta).
L’esecuzione del decreto, effettuata dalla DIA di Catania e di Messina con l’impiego di oltre 50 appartenenti alla D.I.A. presenti contemporaneamente in vari luoghi, è stato eseguito sia nei confronti di Giuseppe Scinardo che della moglie Annina Briga e della figlia Carmela Scinardo.

Ultimo aggiornamento ore 12.20

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