La storia di maternità negata dietro la sentenza per maltrattamenti del Tribunale di Barcellona
Barcellona – E’ giustizia amara quella ottenuta da una quarantenne residente nell’hinterland di Milazzo. Perché malgrado la condanna per violenza inflitta dal Tribunale di Barcellona all’ex marito la donna di fatto non riesce a vedere suo figlio da anni, anche se i giudici hanno stabilito da tempo l’affido condiviso.
La sentenza
Il verdetto è di qualche giorno fa. La giudice Spina del Tribunale di Barcellona ha condannato il 45enne a cinque anni di reclusione, l’interdizione dai pubblici uffici per altrettanti anni, 10 anni di sospensione della responsabilità genitoriale e 40 mila euro di risarcimento del danno. Una sentenza esemplare, andata oltre la richiesta dello stesso Pubblico Ministero che aveva sollecitato la condanna a poco più di due anni.
Per la giudice Spina, però, le denunce della ex moglie sono provate. Dietro la sentenza c’è la storia amara di una donna che alla fine del rapporto col marito, rampollo di una famiglia messinese in vista, si è vista isolata, buttata fuori di casa, strappata al rapporto col figlio. Un rapporto che non è riuscita a ricucire malgrado i provvedimenti del giudice civile che avevano disposto l’affido condiviso a entrambi i genitori.
Una storia di violenza
La vicenda prende le mosse circa 7 anni fa. Il marito, ha raccontato la donna nelle denunce, la picchiava e maltrattava anche davanti al bimbo piccolissimo. Spaventata, la neo mamma sporge querela e avvia la separazione, trovandosi letteralmente buttata fuori casa, con la famiglia di lui che le nega di vedere il bambino, ancora piccolissimo e in fase di allattamento. Per un lungo periodo la donna trova rifugio in una casa famiglia messinese, dove arriva con i lividi volto delle botte.
Maternità negata
La giustizia intanto fa il suo corso e il procedimento penale nato dalla denuncia si muove parallelo a quello civile per la separazione, definita 4 anni fa circa, e l’affidamento del bambino. Il giudice dispone l’affido condiviso e il piccolo viene collocato a casa della nonna paterna. Di fatto non riuscirà più a istaurare un rapporto con la madre. Per ben 5 anni la donna non è riuscito a vederlo affatto ed oggi è il piccolo che non vuole vederla.
Adesso la giustizia penale ha messo un primo punto fermo sulla vicenda, anche se il processo è ancora al primo grado di giudizio. E la donna spera che la sentenza apra le porte al comunque difficile cammino per ricucire il rapporto col figlio negato.
Nel processo sono stati impegnati l’avvocata Claudia Mancuso per la parte civile e l’avvocato Diego Foti nella difesa dell’imputato.

Come al solito la maledetta “privacy” impedisce di conoscere il cognome del soggetto incriminato. Peccato, sarebbe stato esemplare per stare alla larga da certa gente “perbene”….
E’ inutile fare questi articoli senza nome e cognome appellandosi ad una privacy inesistente vista la condanna, che la rende pubblica in automatico.
Altrimenti date la sensazione che il tutto sia stato pubblicato perché non avevate niente di interessante da dire che non ledesse l’interesse di qualcuno.
La cosa brutta è che non farà nemmeno un giorno di galera al massimo qualche mese ai domiciliari e forse neanche quello, alla madre nessuno la ripagherà per la sottrazione del figlio, tutto questo nonostante le denuncie che ha fatto, perché in Italia nelle aule dei tribunale c’è scritto, la legge è uguale per tutti, ma poi più piccolo, ma molto piccolo c’è la scritta ” o quasi”.
MA CHI SAREBBE QUESTO “RAMPOLLO”? SECONDO ME E’ QUALCHE “ZAURDO”