Focus Pasolini: “Teorema” del 1968

Focus Pasolini: “Teorema” del 1968

Tosi Siragusa

Focus Pasolini: “Teorema” del 1968

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lunedì 26 Ottobre 2015 - 12:01

Il teorema sull’incapacità del borghese moderno di resistere alla profanazione del proprio falso mondo. La recensione di Tosi Siragusa al film di Pier Paolo Pasolini

Film del 1968, scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini, è divenuto poi omonimo romanzo, che ricalca l’impronta visiva del film ma con diversi snodi e approfondimenti. Cast importante, da Terence Stamp, Silvana Mangano e Massimo Girotti, fino a Laura Betti e Ninetto Davoli. Di genere mitico – psicoanalitico – drammatico, con forte valenza socio politica, fece scandalo per il teorema che si voleva dimostrare l’incapacità del borghese moderno di resistere ad un giovane Dioniso o Jehova, arrivato misteriosamente in visita…., bello affascinante, con occhi azzurri, e l’uomo moderno si perde. L’ospite è forse un messaggero di Dio, che illumina le false sicurezze dei benpensanti…..il resto è matematica degli eventi, a difesa del sacro, parte umana che resiste meno alla profanazione del potere.

L’inviato del fuori è l’istanza a partire dalla quale ogni componente nella borghesissima consorteria familiare che è parte di un quadretto cosmico è sconvolto dall’ospite enigmatico, silenzioso e affascinante, che passa le giornate immenso nella lettura di Rimbaud… dalla serva, al figlio, alla madre, alla figlia…, fino al padre. Su tutti il giovamne non si impone; sono i personaggi della famiglia che gli chiedono di possederli, e l’ospite ha un atteggiamento paterno, forse di amore nei loro confronti, non utilizza parole per convincerli. Si rompe quel falso equilibrio fondato su benessere e educazione, ma in realtà sul vuoto, con nefaste conseguenze e la perdita di ogni certezza.

L’incipit è documentaristico, c’è poi l’immagine di un deserto, ripetuta, con quel colore ocra – polvere (che si ritroverà in “Medea” “Edipo re” e “Porcile”), a sottolineare dialettica fra cinema astrale e terreno…. La serva che ricopre di terra (è un seppellimento) farà da contraltare all’ascesa, all’istanza di creatività che è alla base del film. Le successive sequenze in bianco e nero sul prima dell’arrivo sembrano tratte dal cinema muto. Quella purezza solo apparente è interrotta dal telegramma, che annuncia il visitatore e….irrompe il mondo con luci e colori… Il terzo è messia o demone? Il prima, con Massimo Girotti che esce dalla fabrichetta, il figlio Piero dal liceo, con la sua ragazza, Odetta, vergine educanda, esce di scuola con la foto del padre e Silvana Mangano, la moglie, donna casta e pia, che passa le giornate leggendo nella villa di famiglia, servono solo a preparare il dopo.

Eccellenti il direttore della fotografia, Giuseppe Puzzolini, con quegli spazi solo mentali, luoghi deputati a musei, insignificanti, ove il tempo sembra non esistere, è vago, imprecisato. Le sequenze sono composte da inquadrature, campi e controcampi, carrellate, a dimostrare che quell’insulso spazio – tempo fa affondare gli esistenti in un magma fluido, che serve a dedurre un problema, il montaggio opera su questo materiale, come la morte sulla vita. I personaggi sono sfuggenti, fragili, espressivi, raramente parlano. Il visitatore è come un’istanza poetica, che porta al compimento del proprio destino….è quasi un automa… ed è dolore, distruzione, disperazione. E’ un cinema che distrugge il vuoto delle mimesi, dona consapevolezza, un cinema della soggettività libera indiretta, fattosi stilistico, un cinema di poesia, ove su tutto aleggiano le splendide musiche di Ennio Morricone e Ted Curson.

Tosi Siragusa

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