Una città in fiamme

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Giuseppe Ruggeri

Una città in fiamme

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martedì 14 Gennaio 2020 - 15:33

Altro fuoco si agita alle pendici delle colline di Antonello. Fuoco è, di regola, espressione naturale dalla simbologia variegata; può assumere un significato purificatore per la sua capacità di dissolvere la materia in polvere, ma anche di distruzione di tutto ciò che trova al suo passaggio. Una distruzione che è tanto più cieca e incontrollata quanto minoreè la vigilanza esercitata nei luoghi dove divampa.

Soprattutto, fuoco è – e resta – sinonimo di abbandono. La recente cronaca cittadina registra due tristi episodi di anziane perite a causa di un incendio scoppiato nelle loro abitazioni. La solitudine delle loro esistenze ha impedito che i soccorsi giungessero con prontezza, il che ha decretato la loro orribile fine. Purtroppo, però, gli eventi incendiari di Messina non si fermano qui e, sebbene per fortuna quest’ultimo non abbia coinvolto persone, di certo non può considerarsi frutto della buona volontà delle istituzioni. Anzi, di queste ultime ratifica, una volta ancora, il colpevole atteggiamento d’insensibilità nei riguardi del degrado in cui continua a versare gran parte del nostro territorio urbano.

Il nuovo incendio di Maregrosso

Il rogo, visto che piove sempre sul bagnato, ha interessato una vasta porzione del litorale di Maregrosso, ormai zona-simbolo per eccellenza di questo degrado, che offende non soltanto gli abitanti di questa terra di frontiera ma anche l’intera comunità, sulla quale l’atteggiamento di cui si parlava necessariamente si riflette in termini quantomeno d’immagine pubblica. Un’immagine indecorosa.

Una comunità, la nostra, nei confronti della quale si persiste da anni a perpetrare l’affronto di promesse mai mantenute, ancorché suggellate da eclatanti manifestazioni pubbliche diventate ormai ridicole passerelle dei politici di turno che sul degrado di questo lembo di città non si fanno scrupolo di costruire il proprio consenso elettorale.

Cosa ne è del Patto della Falce?

Penso al Patto della Falce, che Regione Università e Autorità Portuale hanno presentato ai messinesi come soluzione definitiva agli annosi problemi del “waterfront” sud di Messina. Ai proclami, penso, che designavano il lungo perimetro compreso tra la zona falcata e la periferia di Maregrosso come l’ameno sito che i messinesi avrebbero ripreso a fruire sulle tracce di un tempo. La storia ci ripropone, infatti, l’immagine dei frequentatissimi lidi balneari che negli anni Cinquanta popolavano una striscia di costa affacciata direttamente sul braccio di mare che Ulisse aveva attraversato nel suo avventuroso viaggio di ritorno verso la nativa Itaca.

Ma, diversamente che per l’eroe greco, nessuna Itaca attende più il messinese nostalgico di un’epoca in cui l’armonia con il proprio territorio era alla base del suo benessere e delle “magnifiche sorti e progressive” che ne scaturiscono. Sorti incerte, per non dire inquietanti, aspettano invece una comunità che assiste quotidianamente allo scippo delle sue radici, in un contesto che non riconosce più come proprio.

L’abbandono dell’ex ospedale Regina Margherita

Assistere al rogo di Maregrosso, che fa seguito a quelli scoppiati nell’ex-presidio ospedaliero “Regina Margherita”, lasciato da anni a marcire alle spalle del nostro Museo Regionale mentre avrebbe potuto, grazie ai finanziamenti assegnati a mirati progetti mai realizzati, diventare una splendida “Cittadella della Cultura” (Patto per il Sud, 2015), equivale ad assistere alla consunzione piena e incondizionata del piccolo sogno che ciascuno di noi, nel suo piccolo, coltivava.

Il sogno di una Messina a misura d’uomo, e non di pochi uomini che sempre meno umanità dimostrano di possedere.

Senza dimenticare, tuttavia, che dai grandi incendi – le Twin Towers nel 2001, Notre Dame l’anno scorso – le comunità degne di questo nome hanno sempre tratto spunto per ricostruire. E per ricostruirsi.

Saranno, le nostre strapazzate coscienze civili, all’altezza di tutto questo?

Giuseppe Ruggeri

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